Come preannunciato, l'altra sera s'è tenuto l'annuale concerto dell'Accademia tedesca a Roma, nel corso del quale sono stati presentati due lavori - complessi e ricchi dal punto di vista esecutivo e strumentale, dei borsisti compositori: Anna Korsun , di origine ucraina, e Samy Moussa, canadese di nascita. L'Accademia tedesca ha dimostrato, anche in questa occasione, la sua è ampiezza di vedute che raggiunge una comunità internazionale e senza confini. Non ripetiamo i nomi degli esecutori perchè li abbiamo citati tutti annunciando lo stesso concerto.
A far da contrasto a questi due brani, della durata ciascuno di poco più di un quarto dora, tre brevi brani 'sacri' di Giacinto Scelsi, monodici, per coro maschile, scritti cinquant'anni fa. Al lussureggiante panorama di suoni e voci dei compositori di Villa Massimo, quella breve trilogia di Scelsi faceva da contraltare: complessivamente di una decina di minuti, scarna, lineare che poteva voler dire come la musica si può fare con grande dispendio di mezzi e di idee, ma anche, e più semplicemente, con una linea di canto semplice e ugualmente efficace.
In verità i tre brani di Scelsi ( Pater noster , Ave Maria, Alleluja) ci hanno fatto venire in mente alcuni antecedenti, più originali, se possiamo dire. Innanzitutto il gregoriano, al quale Scelsi sembra essersi ispirato e non solo, perchè lo avrebbe anche 'imitato'; ma poi anche Stravinsky che, vero, è polifonico, ma che ha saputo trovare una soluzione davvero affascinante per quelle preghiere.
Veniamo ai brani dei compositori borsisti che richiedevano agli esecutori prestazioni vocali e strumentali nel contempo, e dispiegavano sul campo una ricchissima batteria di percussioni ( tam tam e gong) e corni.
Il pubblico era stato disposto circolarmente, nel punto della basilica dove si incontrano navata e transetto, al centro il podio per il direttore; gli esecutori, disposti anch'essi circolarmente, ma alle spalle del pubblico, in un secondo cerchio.
Del brano d'apertura della Korsun, per '20 performer che cantano e suonano', diretto con molta fatica da Tonino Battista, intitolato Ulenflucht, che dovrebbe significare 'Crepuscolo', e che è stato per buona parte al limite dell'udibile, ascoltato nonostante ciò in religioso silenzio, non sappiamo dirvi molto, anzi quasi nulla. Il gioco, che si intuiva ricchissimo, delle articolazioni fra suoni (emessi da strumenti 'poveri') e voci, lo abbiamo più immaginato che sentito con le nostre orecchie, ostacolato anche dalla disposizione infelice acusticamente nella monumentale magnifica basilica.
Il secondo dei due brani (Stasi) diretto dal suo autore, Moussa, con corni e percussioni, ovviava all'inconveniente, con attacchi singoli o simultanei dei corni e colpi di gong che l'eco spandeva, diffondendo ora colori sgargianti ora sonorità morbide quasi mistiche, che sapeva di oriente ( musica tibetana) al quale l'autore dichiara di essersi ispirato. Il pubblico ha gradito molto, dopo che ha potuto ascoltarlo questo brano, a differenza del precedente.
Il concerto rappresentava un saluto del pubblico romano al direttore di Villa Massimo, Bluher che a luglio, dopo 17 anni, lascerà l'incarico, per limiti di età, ma anche una sorta di biglietto da visita del direttore uscente che alla musica ha prestato attenzione considerevole negli anni di permanenza a Roma.
Sarà così anche con la nuova direttrice?
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