Nel Regno Unito i nuovi positivi sono in forte aumento (oltre 30mila ogni giorno), con un incremento del 43% negli ultimi sette giorni, quando si è registrata anche una crescita di ricoveri (44%) e decessi (42,5% in più) di pazienti Covid. A causare questa ripresa dei contagi è la variante Delta B.1.617.2, che ora rappresenta il 95% dei positivi identificati. Dietro l’angolo sta anche la Delta plus B.1.617.2.1 e la Epsilon B.1.427/B.1.429, temibili la prima per la elevata trasmissibilità, la seconda per la capacità di evadere la risposta anticorpale neutralizzante.
Nonostante il quadro epidemiologico tutt’altro che sereno, il premier Boris Johnson ha confermato il «ritorno alla normalità» pre-Covid dal 19 luglio, con la rimozione delle ultime restrizioni, tra le quali l’obbligo delle mascherine al chiuso, i limiti per le riunioni nei locali e il lavoro da casa.
La decisione è stata motivata della necessità di «cominciare a imparare a convivere con il virus» e «a gestire con attenzione i rischi legati al Covid». Di parere opposto sulla cancellazione a breve delle misure sociali contro il contagio sono le associazioni dei medici e molti studiosi inglesi. Non è la prima volta che Johnson si trova ad agire in disaccordo con la maggioranza della comunità scientifica del suo Paese e, successivamente, ha dovuto ricredersi e correggere la rotta. Così è stato all’inizio della pandemia, quando propose in sostanza il fisiocratico «laissez faire, laissez passer» nella versione della «immunità di gregge (comunità)» per effetto della libera diffusione dell’infezione nella popolazione. Il titolare di Downing Street si convertì presto alla profilassi vaccinale, che Oltremanica ha raggiunto ora la copertura del 67% della popolazione (prima dose), dietro al Canada (69%) e prima di Israele (65%). Nonostante questo risultato, i contagi – nel Regno Unito, come in Israele – hanno ripreso a salire. Ma in quest’ultimo le misure di contrasto sociale dell’infezione sono state rafforzate e non ne è per ora prevista la rimozione.
Le ragioni per cui il governo israeliano ha scelto questa strada sono simili a quelle dei medici e ricercatori britannici. Se gli attuali vaccini sembrano conservare una certa efficacia contro le conseguenze più gravi (ospedalizzazione, decesso) della infezione da Delta – comunque inferiore a quella verso la Alpha, che ha dominato in precedenza – non così è per l’infezione e la trasmissione del virus, come la rapidissima diffusione di Delta anche tra le popolazioni più vaccinate mostra inequivocabilmente. E uno studio apparso su “Science” (1 luglio) ha mostrato come la variante Epsilon riesca a sfuggire alla neutralizzazione da parte degli anticorpi prodotti naturalmente o indotti dalla vaccinazione.
Così, il rischio serio è che si riesca a contenere le ospedalizzazioni e i decessi (un numero dei quali è registrato anche tra i vaccinati completamente), ma non la replicazione del virus e la disseminazione del contagio, che sono comunque la causa di una sintomatologia non trascurabile e dell’insorgenza e diffusione di nuove varianti. Se non si riduce il numero dei contagi (e dunque delle occasioni offerte al virus per mutare durante le sue replicazioni) e non solo quello dei ricoveri – avvisano gli studiosi – la popolazione diverrà una “fabbrica di varianti”, alcune più aggressive o sfuggenti nei confronti dei vaccini. Per contenere la trasmissione non basta la vaccinazione con gli attuali preparati (che non offrono garanzie di una immunità sterilizzante): serve mantenere un efficace livello di profilassi dei contatti fisici interpersonali, almeno fino a quando il numero dei positivi è in crescita.
Anche il paragone, fatto da esponenti del Governo britannico, tra Covid-19 e influenza stagionale con la quale conviviamo da lungo tempo, ha destato dissenso tra i medici. Non solo per la maggior gravità della sintomatologia del primo e il più alto numero di ricoveri e decessi, ma anche per l’assenza sinora di una campagna di investimenti e promozione delle terapie domiciliari anti-Covid, che invece risulta ormai consolidata per l’influenza. Su quest’ultimo punto, anche il nostro Paese dovrà fare dei decisi passi in avanti per consentire quel «ritorno alla normalità» che tutti auspichiamo, pur in presenza di una residua circolazione del virus.
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