1924, 1 aprile. (Dopo l'ascolto del Pierrot lunaire di Schoenberg a Palazzo Pitti, Firenze) Devo confessarti una mia opinione: fino a quando madre natura doterà gli uomini di un apparecchio uditivo quale questo che abbiamo, formato dalla tromba di Eustachio dal martello, dall'incudine, dalla staffa, dal timpano e che so io... cotesta chiamiamola pur musica, tanto per intenderci ( e fece un cenno indicativo con la mano) l'orecchio umano a parte gli 'snob', la vomiterà sempre... Se un giorno non sappiamo fra quante migliaia di secoli, l'organo auditivo e il sistema nervoso che vi si connette avranno subito una radicale trasformazione, allora potrebbe anche darsi che cotesta musica fosse ben accetta, mentre quella nostra del sistema tonale, e relativa superstruttura cromatica, potrà diventar repellente. Comunque sono contento di aver avuto modo di toccare con mano, anzi con le orecchie, i fatti come si presentano oggi. Io non sono né uno 'snob' né un 'neofita'.(Guido Marotti/Ferruccio Pagni,1926)
Puccini fu l'unico a muoversi in quell'occasione, in un'epoca in cui Ildebrando Pizzetti scriveva di Schoenberg.' Oltre che un disgraziato, egli è in quanto musicista uno sventurato Se questo era il giudizio di un Pizzetti, figurarsi Mascagni, Giordano e compagnia bella! Sicché Puccini, anche se non gradì il Pierrot lunaire, si comportò come una mosca bianca quando si mosse per andarlo a sentire. ( Massimo Mila, 1974)
Nessuno era più di Puccini al corrente del vasto e complesso movimento musicale mondiale. Egli conosceva e studiava a fondo ogni nuovo lavoro interessante. E precisamente, ricorderò oggi che vidi il maestro per l'ultima volta il 1 aprile u.s. a Firenze, al concerto per il quale la Corporazione delle nuove musiche faceva conoscere al pubblico di quella città Pierrot lunaire di Arnold Schoenberg. Puccini era venuto appositamente da Lucca per assistere a questa audizione, e, dietro suo desiderio, ebbi l'onore di presentarlo a Schoenberg, che dirigeva. Ed era invero uno strano spettacolo il vedere a colloquio quei due uomini, così diametralmente opposti nelle loro arti, e nondimeno reciprocamente pieni di ammirazione. ( Alfredo Casella, 1926)
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