Praticamente nei più noti teatri lirici italiani il direttore artistico non c'è più. Ne ha assunto le funzioni il sovrintendente tuttofare , il quale si avvale di una 'segreteria artistica' che manda avanti la bottega, dopo che il sovrintendente-direttore artistico ha 'parlato'. Da non sottovalutare, nella diarchia di fatto annullata a favore di una monarchia artistica assoluta, il ruolo, ove presente, del direttore musicale, ma anche quello delle agenzie che rappresentano gli artisti, sulle quali non si è mai scritto abbastanza.
Ad esempio, solo per citare un caso, va via fra un paio d'anni Pappano da Santa Cecilia e chi lo sostituirebbe eventualmente? Quasi certamente un direttore della stessa sua agenzia, la IMG Artists. Già ora è entrato nell'organigramma, come 'ospite', forse per farsi le ossa, Hrusa della stessa IMG di Pappano. Per non rinunciare al potere che la presenza di un direttore musicale in una importante istituzione ha, un'agenzia sarebbe pronta anche a fare lo sciopero della fame ed a protestare in piazza.
Chi non è convinto del peso contrattuale delle agenzie, basta che consideri lo scandalo del Regio di Torino nell'epoca Graziosi - solo di pochi mesi fa, e se ne convincerà immediatamente.
I maggiori teatri lirici italiani hanno al vertice un sovrintendente-direttore artistico e, semmai, anche un direttore musicale. Lo ha la Scala (Meyer, Chailly), Santa Cecilia ( dall'Ongaro, Pappano, anche se l'Accademia ha uno statuto speciale), Maggio Fiorentino ( Pereira, Gatti fra qualche mese), San Carlo ( Lissner, Valcuha sostituito a breve da Ettinger), Fenice (Ortombina), Arena di Verona (Gasdia, che nelle sue mani ha accentrato molti altri incarichi); Comunale di Bologna (Macciardi) ma anche la più giovane fra le fondazioni liriche, quella di Bari, Petruzzelli ( Biscardi, Bisanti).
Per non tralasciare nessuna annotazione di carattere amministrativo e, nel nostro caso, anche artistico, serve ricordare che Milano, Firenze, Napoli hanno sovrintendenti non italiani. Per alcuni non vorrà dire molto, ma annotarlo serve.
L'unico teatro in Italia che ha i tre ruoli occupati regolarmente è il Massimo di Palermo, dove c'è un sovrintendente (Giambrone, eterno, finchè dura il sindaco Orlando, al quale egli è legato a triplo filo, giacchè ci ha anche un fratello politico, e lui stesso è stato suo assessore) un direttore artistico (Marco Betta) ed un direttore musicale, nel caso specifico molto intraprendente ( Omer Meir Wellber) ; e l'Opera di Roma, fino a prima dell'uscita di Fuortes, giacchè per ora mantiene il direttore artistico Alessio Vlad, e il direttore musicale Gatti, a breve, Mariotti.
Negli alti teatri, minori - ma non ce ne vogliano per questa classificazione, perchè le gerarchie esistono e si fanno sentire- sopravvivono 'separati' i ruoli del sovrintendente e direttore artistico: Regio di Torino (Purchia,Schwarz), Verdi di Trieste ( Pace, in uscita per Liegi, Paolo Rodda), Carlo felice di Genova ( Orazi, Conte), Teatro di Cagliari ( Colabianchi, Puddu)
Si potrebbe aggiungere che alcuni di questi teatri, che difiniremmo di 'secodan fila' nel panorama attuale, hanno alle spalle una storia gloriosa. Ci viene in mente quella del Teatro Comunale di Bologna, che ha avuto in passato sovrintendenti e direttori di rilievo ( naturalmente non pensiamo nè a Mazzonis, nè a Sani e nenche a Tutino).
A questa dannosa semplificazione/riduzione dei ruoli per accentrarli in un'unica persona, ha contribuito la sciagurata riforma (Veltroni?) che per evitare che sovrintendete e direttore artistico, solitamente indicati da partiti diversi, finissero per scannarsi, ha preferito accentrare il potere interamente nelle mani del sovrintendente, il quale, se crede, si avvale di un direttore artistico.
Perchè il Corriere della Sera auspicava ieri che a Roma venisse mantenuto l'attuale direttore artistico, Vlad? Perchè, semplicemente, un nuovo sovrintendente, potrebbe sostituirlo o accentrare nelle proprie mani anche quel ruolo, fidando nella collaborazione del direttore musicale, che esiste.
Infine, due semplici annotazioni. I teatri lirici, anche quelli più disastrati, sembrano aver chiuso i bilanci, grazie alla pandemia ( purtroppo!) in pareggio. Non ci voleva molto: non hanno fatto praticamente nulla ed hanno continuato a ricevere i finanziamenti statali. L'unica entrata mancante è stata quella del botteghino. Ma se non c 'è produzione non ci sono neanche spese.
Finita la pandemia, come speriamo, sono tornate le stagioni 'normali'. I cartelloni segnalano le anomalie di sempre. Gli artisti ospiti stranieri sono in numero assai maggiore di quelli italiani. Ai quali si è ricorso, causa pandemia, in questi ultimi due anni, con la giustificazione che anche in Italia esistono artisti di grande valore.
Perchè allora, finita la pandemia - ripetiamo: come speriamo - il valore degli artisti italiani viene nuovamente misconosciuto?
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