Daniel Barenboim compie fra pochi giorni settantacinque anni, la DGG pubblica per l'occasione un cofanetto celebrativo, usciranno anche libri - Barenboim ne ha scritti già, ed alcuni, anche a quattro mani, sono di grande interesse, e il settimanale L'Espresso - in esclusiva, viene sottolineato orgogliosamente - lo incontra (forse alla presentazione della iniziativa discografica, ci viene il sospetto) per una lunga intervista, anche interessante e bella, se non fosse per la solita lista della spesa - manco fosse il famoso Questionario di Proust- che Riccardo Lenzi è solito porre a tutti i musicisti che intervista, e che consiste nel chiedere all'intervistato notizie sui famosi musicisti incontrati nel corso della carriera. Lenzi lo fa anche con Barenboim, distogliendolo da riflessioni, sicuramente molto più interessanti, e che entrano nello specifico della personalità del musicista e della sua folgorante carriera, ancora in pieno svolgimento e tuttora intensa.
Barenboim racconta del suo essere 'ebreo' da cui scaturisce il 'senso di giustizia', che lo ha portato, nel corso della carriera, ad aiutare alcuni talenti, e torna a ribadire che fino a quando israeliani e palestinesi non si riconosceranno reciprocamente come 'nazione '- e altrettanto non faranno anche tutte le altre nazioni nei loro confronti - non potranno sedersi attorno ad un tavolo per decidere del loro futuro, che resterà certamente incerto fino a che ambedue si considereranno solo come popoli, la cui sorte prescinde da qualunque reciprocità.
Barenboim tocca anche il problema, anzi la drammatica situazione attuale del Venezuela di Maduro - cui recentemente, povero mondo, Maradona ha professato il suo sostegno, in cambio di un bel sacco di dollari (come compenso per commentare in un paese allo stremo le partite del prossimo mondiale in Russia) - promuovendo a pieni voti l'opera del 'Sistema' di Abreu, mezzo di riscatto sociale attraverso la musica, al quale , invece modestamente, noi abbiamo rimproverato più volte di stare a guardare senza prendere posizione anche in una situazione tragica come quella che il paese sta attraversando.
Parla anche dei due ultimi Papi, Barenboim, lodando senza riserve l'operato di papa Francesco, anche in funzione della convivenza fra i popoli e della pace mondiale, e dopo aver accennato alla sensibilità musicale del suo predecessore, Papa Ratzinger, del quale rammenta il discorso ' musicologico, più che pastorale' alla Scala.
Infine, Lenzi, raccoglie un consiglio, diciamo professionale, del pianista/direttore: i direttori artistici o musicali imparino ad invitare nelle stagioni loro affidate anche altri artisti, meglio se più bravi di loro stessi, come generalmente non fanno per timore di essere oscurati; perchè dai più bravi si impara sempre. Il consiglio potrebbe girarsi anche a Berenboim il quale dichiara di aver agito secondo questo principio, quando era alla Scala con Lissner. Barenboim ricorda bene? Se la memoria non ci inganna, alla Scala in quegli anni non si sono visti direttori nuovi, bensì solo direttori giovani, molto giovani.
E poi, come lamentavamo, la solita lista della spesa. Furtwaengler, Klemperer, Celibidache, Arrau, Fischer, Rubinstein , Argerich naturalmente, sua compagna fin dalla fanciullezza... manco fosse il 'Questionario di Proust' per farsi raccontare dal musicista di turno fatti e fatterelli, magari riportare anche dichiarazioni, meglio ancora giudizi di uno sull'altro ecc...
Perchè Lenzi non ha chiesto a Barenboim qualcosa di Karajan ? O forse glielo ha chiesto e Barenboim s'è rifiutato di rispondere? Con lui Baremboim non ha avuto rapporti, neppure di vicinato o di lontano?
E perchè non gli ha chiesto, ad esempio, anche di Carlo Zecchi, che sa bene chi sia, ma forse non sa che è stato l'insegnante dei giovanissimi Barenboim e Abbado alla Chigiana di Siena? Questo sarebbe stato, nella solita lista, un paragrafo nuovo.
Se per caso gli sfugge il nome di Carlo Zecchi, gli consigliamo di leggere,andandolo a cercare su Music@ ( nel sito del Conservatorio Casella, c'è, in rete, la raccolta completa della bella rivista) ciò che di lui scrisse, alla morte, Vincenzo Vitale : ' anche una scala fatta da Zecchi era una meraviglia!" (in verità quel ricordo di Zecchi lo chiedemmo noi a Vincenzo Vitale e lo pubblicammo su Piano Time, dal quale l'abbiamo poi ripreso per ripubblicarlo su Music@.
Dobbiamo dare atto a Lenzi di non averci fracassato i marroni questa volta anche con i suoi anglismi - fra i quali svetta il termine 'conduttore' e derivati per indicare il direttore d'orchestra - però, ciò riconosciutogli, per una volta almeno, la prossima ci risparmi la stantia 'lista della spesa'. Grazie!
Nessun commento:
Posta un commento