E' accaduto che l'altro ieri sia sia letta sul Fatto una intervista al senatore Mannino, ex DC, tante volte ministro, accusato e poi prosciolto da reati gravissimi - mafia e dintorni. Foto di Calogero Mannino con opportuna ed azzeccata didascalia. Ed è già molto, essendo i lettori costretti tante volte a vedere foto con didascalie errate e a leggere, l'indomani, le reclamate rettifiche e le scuse di questo o quel giornale.
Così fan tutti, il degrado e la sciatteria serpeggiano dappertutto. Nessuno più ne è esente, neanche fra i piccoli giornali che hanno una foliazione ridottissima, come il Fatto, perchè anche i piccoli giornali aggiungono al problema della sciatteria quello del poco personale, per risparmiare (come del resto hanno insegnato anche i grandi giornali).
Nel leggere l'articolo-intervista notiamo alcune anomalie - il panegirico di Fava, il giudizio durissimo sulle liste di destra ecc.. Conoscendo le travagliate vicende giudiziarie dell'intervistato, attribuiamo tali anomalie alla sua volontà di togliersi qualche sassolino dalla scarpa, ma anche, più disinteressatamente, alla sua conoscenza approfondita, oltre la facciata, dell'ambiente politico siciliano di ieri e di oggi.
E la cosa finisce così.
L'indomani, quando esce il giornale, Calogero Mannino - il suo avvocato per lui - chiama il giornale e dice che lui quell'intervista non l'ha mai fatta e che perciò esige una rettifica, con la precisazione che l'intervistato si chiama sì Mannino, ma è suo fratello, che di nome fa Antonino, detto Nino, il quale a sua volta smentisce di chiamarsi Calogero, nel corso di una sacrosanta protesta presso il giornale.
Travaglio offre a Mannino Calogero una intervista, lui la rifiuta - naturalmente. E Travaglio è costretto l'indomani a rivelare l'accaduto sul suo editoriale quotidiano , intitolato 'L'Ora illegale', ma che forse avrebbe fatto meglio a titolare 'Figura di merda'. Naturalmente tenta una spiegazione che, come sempre in questi casi, è più grave dell'errore. L'equivoco sarebbe avvenuto perchè nella agenda della segreteria di redazione c'era il telefono di Mannino e il giornalista ha telefonato per intervistarlo. Ma se il giornalista si occupa di politica come fa a non sapere che di Mannino ve ne sono due, Calogero e Antonino, detto Nino, ambedue politici, solo che hanno militato in due partiti diversi: Dc e PCI?
Tanto per restare nelle fratellanze politiche, il Fatto sa, per esempio, che di Giro ve ne sono due, ambedue dello stesso partito ed ambedue, ora l'uno ora l'altro, sottosegretari, e che, infine, solitamente quando uno è sveglio ed attivo l'altro fa il ghiro? E' bene che se lo appunti, per non ricadere in futuro nello stesso errore.
L'errore madornale, imperdonabile ed anche tragico, nel quale è incorso Il Fatto del 'puntiglioso' e 'precisino' Travaglio, ci ha fatto venire in mente un caso analogo del quale fummo noi protagonisti molti anni fa, poco meno di una ventina.
Accadde all'Auditorium di via della Conciliazione, dove eravamo andati ad ascoltare, per ragioni professionali, un concerto diretto da Antonio Pappano, con Horacio Lavandera pianista.
Durante l'intervallo del concerto, trasmesso in diretta da Radio 3 - una radio per la quale noi avevamo fatto in passato molti programmi ma dalla quale, in quel momento, eravamo costretti a girare alla larga, perchè caduti in disgrazia agli occhi dei dirigenti di allora, la Carlotto e Dall'Ongaro. Sulla loro gestione dei fatti musicali nutrivamo molte riserve e tante volte le avevamo espresso nella nostra attività giornalistica. Durante l'intervallo del concerto, si avvicinò a noi il cronista di Radio 3, che era che il giovane compositore Antonioni, il quale prima di porci il microfono ci presentò così: "abbiamo con noi il maestro Marcello Panni al quale chiediamo un giudizio sul concerto".
Premettiamo che Pappano era una delle prime volte, se non la prima, che veniva a dirigere l'Orchestra di Santa Cecilia, ed il giovane pianista era fresco di vittoria al Busoni di Bolzano. In seguito Pappano si stabilì a Roma e noi siamo stati, ben felici, il primo suo biografo.
Prendemmo il microfono,e correggemmo immediatamente, in diretta, il povero Antonioni che non poteva più rimediare in nessun modo, ma che aveva una qualche scusa per essere incorso in quell'errore, e cioè che altre volte ci avevano scambiato per Marcello Panni. Ma, evidentemente, Antonioni non conosceva Panni e neppure noi che di mestiere facevamo il critico musicale e che avevamo diretto la più importante rivista di pianoforte uscita in Italia, la gloriosa Piano Time. Ma per tanta ignoranza - come del resto per il giornalista del Fatto - non c'è scusa che tenga.
Dopo esserci presentati per quello che eravamo, aggiungemmo anche che da Radio 3 noi eravamo stati banditi, ed anche che le nostre competenze in fatto di musica pianistica, rendevano eventualmente il nostro giudizio forse più affidabile di quello del m. Marcello Panni. Nel frattempo il povero Antonioni sbiancò, e ci lasciò parlare a lungo, mentre in cuffia - come ci rivelò, terminato il collegamento - dalla redazione gli lanciarono una sfilza di insulti, avendo egli offerto il microfono, gratuitamente, ad uno dei nemici dichiarati di Radio 3. E noi naturalmente ne avevamo approfittato. Non contenti, l'indomani, per ulteriore vendetta - dopo che la prima il caso ce l'aveva offerta su un piatto d'argento - scrivemmo al direttore della rete (Valzania) per raccontargli l'esilarante episodio, facendogli notare come anche nel nostro caso il diavolo aveva fatto le pentole ma non...
Più avanti, quando divenimmo direttore artistico del Festival delle Nazioni di Città di Castello, ci fu un avvicinamento con Radio 3 ( Radio 3 con noi, per l'esattezza; e ne conosciamo bene le ragioni non dichiarate!) ed una volta, durante un concerto dei Berliner, nel nuovo auditorium, direttore Simon Rattle, fu proprio Dall'Ongaro a farci intervistare sempre da Radio 3 durante l'intervallo, in diretta, premettendo: così non potrai più dire che Radio 3 non ti intervista mai.
In seguito i rapporti con Radio 3 tornarono ad essere pessimi, come prima, specie dopo la nostra uscita da Città di Castello. E noi abbiamo continuato a criticare, all'occasione e non a caso e neppure per interessi o vendette personali, il modo in cui Dall'Ongaro - sempre lui - continuò a gestire la musica in quella rete radiofonica pubblica. Dall'Ongaro, non ci porse più il microfono, si risentì e ci denunciò, ma perse la causa,
Lui, poi, è diventato sovrintendente di Santa Cecilia, e noi abbiamo continuato a fare, ed ancora continuiamo, con lo stesso puntiglio, il nostro lavoro di cronista musicale. Anche da questo blog.
Ma quest è naturalmente ancora un'altra storia.
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