giovedì 31 dicembre 2015

L'Italia all'Opera. A proposito di Musica & Unità d'Italia: Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi



L’ora della liberazione è suonata. E’ il popolo che la vuole: e quando il popolo vuole non v’è potere assoluto che le possa resistere, scriveva Giuseppe Verdi, musicista; ma avrebbe potuto scriverlo Giuseppe Mazzini, patriota.
Fu la musica - inni e melodrammi - a provocare il Risorgimento italiano? Certamente no. Ma se non fu la musica a provocarlo, almeno la musica e i luoghi ad essa consacrati, soprattutto i teatri, costituirono ed alimentarono una spinta verso la liberazione e l’unificazione? Cioè a dire, indirettamente, potrebbe la musica esserne stata involontaria suggeritrice o quantomeno fiancheggiatrice ? O più semplicemente ma efficacemente, la musica accompagnò e sostenne i moti rivoluzionari ed il processo di unificazione?
In questi ultimi mesi, con l’avvicinarsi del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, mentre sembra definitivamente sopita la discussione, inutile e stantìa, sulla sostituzione dell’Inno di Mameli-Novaro, con il ‘Va pensiero’ di Verdi-Solera (anche se episodi di sabotaggio si verificano ancora, per giunta in sedi istituzionali ed occasioni ufficiali, protagonisti importanti, ma incoscienti, esponenti della Lega), sul ruolo che la musica ebbe nel processo di unificazione si è dibattuto ampiamente, con libri, articoli, saggi ed anche in pubblici incontri. In tale dibattito, primeggiano ancora luoghi comuni duri a morire, mentre rarissime sono le occasioni in cui l’argomento Musica-Unità d’Italia viene affrontato con rigore e metodo storico. Tuttavia, per noi non si tratta di arare un terreno vergine.
E tanto per indicare immediatamente una linea di tendenza sul ruolo che la musica ebbe nel processo di unificazione dell’Italia, basta andare a mezzo secolo fa, ad una celebre sequenza del film di Luchino Visconti, ‘Senso’, girata a Venezia nel Teatro La Fenice, durante una rappresentazione de ‘Il trovatore’ di Giuseppe Verdi. In un teatro pieno zeppo sia nei palchi che nella platea, dove si notano parecchie divise militari austriache, il tenore, Manrico, ha appena finito di cantare ‘Di quella pira’, la celebre romanza, e il coro di uomini armati gli fa eco e attacca: ‘All’armi, all’armi/Eccone pronti a pugnar teco,/o teco a morir….’ In quel preciso istante, come fosse suonata una parola d’ordine, il teatro comincia ad agitarsi, dai palchi piovono volantini contro gli Austriaci, e i soldati avvertono in quel preciso istante che in teatro, luogo di semplice finzione, ora non più, sta per cominciare la reale rivolta degli italiani, veneziani in primo luogo, contro il nemico. La vita, la situazione reale s’è saldata al palcoscenico, dal quale scoppia la miccia della rivolta. Esattamente quel che voleva ed auspicava Giuseppe Mazzini nel suo ‘Filosofia della musica’(1836), sostenendo che il melodramma non poteva più limitarsi a soddisfare il pubblico, doveva cambiarlo, ed esso stesso doveva prima mutare, attraverso una riforma musicale consistente nell’abbandono dell’imitazione di Rossini, per andare verso la creazione di un’arte progressiva, sintesi della storia patria con le scuole musicali europee. E, secondo Mazzini, l’unico musicista in grado di attuare tale riforma, era Gaetano Donizetti (il cui ‘Marin Faliero’ andato in scena nel 1835, entusiasmò gli animi, perchè che vi si narrava del contrasto fra la classe popolare custode della moralità e dell’amor di patria ed una fazione di aristocratici degeneri ma detentori del potere; e del Doge che si mette dalla parte del popolo e congiura contro gli stessi nobili. Senonchè il Donizetti, benchè ideologicamente apolitico, assunto da Mazzini ad artefice del cambiamento, ebbe a deludere il pensatore e patriota, quando nel 1841, si avvicinò all’impresario della Scala e del Teatro di corte di Vienna, Merelli ( lo stesso che propose a Verdi il ‘Nabucco’) e, nel 42, accettando l’ incarico di ‘maestro della corte’ asburgica dall’imperatore Ferdinando (Per una assai simile circostanza, anche il genovese Paganini era stato oggetto di critiche feroci da parte di Mazzini, quando accettò un’onorificenza di Francesco I. Mazzini gli rinfacciò di aver portato l’arte musicale ad una prostituzione mercantile, per giunta con il peggior nemico dell’Italia). Chi altri, allora, se non Donizetti? Rossini ?
Rossini no, perchè aveva incarnato l’arte come gioco e diletto, per Mazzini, con l’unica eccezione del ‘Guglielmo Tell’. Rossini, poi, era sembrato addirittura contrario ai movimenti risorgimentali, al punto che si sentì costretto a difendersi in una famosa lettera inviata nel 1864, ad un suo amico palermitano, Filippo Santocanale, avvocato, patriota e deputato liberale: “…alcuni miserabili miei concittadini mi hanno fatto reputazione di codino, ignorando gl’infelici che nella mia adolescenza artistica musicai con fervore e successo le seguenti parole :”Vedi per tutta Italia/ rinascere gli esempi/ d’ardire e di valor!/ Quanto valgan gl’Italiani/ al cimento si vedrà” Cita nella lettera anche il suo Inno dell’Indipendenza, scritto quando entrò il re Murat a Bologna ( quell’inno così cantava: “Sorgi, Italia, venuta è già l’ora:/ l’alto fato compir si dovrà;/ dallo Stretto di Scilla alla Dora/ un sol regno l’Italia sarà!. E il ritornello: “ Del nemico alla presenza/ quando l’armi impugnerà/ un sol regno e indipendenza / gridi Italia e vincerà; e fu accolto con grande calore, tanto che gli fu dato il nome di ‘Marsigliese’ italiana). E, ancora : “ per distruggere l’epiteto di codino, dirò che ho vestito le parole di libertà nel mio ‘Guglielmo Tell’ a modo di far conoscere quanto sia caldo per la mia patria e per i nobili sentimenti che la investono. Vi scrivo tutti questi particolari e vi do sì a lungo la pena di leggermi, perché ho ragione di supporre che non mi avete in gran concetto ‘politicamente’, e onde abbiate in mano un’arma per difendermi, ove venissi attaccato…”. Il ‘Guglielmo Tell’ ma anche ‘Mosè’ furono riprese molte volte nei teatri italiani; in quest’ultima, gli esuli e patrioti italiani lessero la propria avventura mentre scorreva la storia del popolo ebreo incatenato ed oppresso. Pesarono comunque sulla sua reputazione di ‘conservatore’ i rapporti che egli ebbe sia con Ferdinando I, re di Napoli ( per il quale scrisse ‘Elisabetta, regina di Inghilterra’) che, successivamente, con Carlo X, re di Francia, per la cui incoronazione, nel 1825, egli scrisse ‘Il viaggio a Reims’.
E Bellini (1801-1835)? Il suo ‘belcantismo’ fu interpretato dal Mazzini come simbolo dell’individualismo; ed il suo continuo girovagare oltre che la brevissima esistenza lo estraniarono di fatto dal movimento risorgimentale. Tuttavia anche nella sua opera si colsero echi risorgimentali, per lo meno taluni passaggi assai noti furono letti come tali e presi a pretesto per mandare messaggi di rivolta allo straniero dominatore. Si sa della convulsa serata scaligera, nel corso di una rappresentazione di ‘Norma’ nel 1859, quando al coro di ‘Guerra, Guerra’ seguì in teatro un subbuglio memorabile. E sempre a proposito del celebre coro, Alessandro Luzio, sul ‘Corriere della Sera’ del 20 marzo 1929, riferì che Wagner si era meravigliato che tale coro, a causa del suo travolgente impeto xenofobo, non fosse divenuto l’inno nazionale italiano. C’è, infine, il caso de ‘I Puritani’, nel cui finale due bassi ( in quel caso Tamburini e Lablache, a Parigi) cantano all’unisono: ‘Suoni la tromba, e intrepido/ io pugnerò da forte/ Bello è affrontar la morte/ gridando: libertà”. Bellini, dopo il successo parigino, ne scrisse al suo amico Francesco Florimo, descrivendone fin nei minimi particolari l’entusiasmo del pubblico del Theatre des Italiens di Parigi. Scene non nuove e neppure rare, se Heinrich Heine nei suoi resoconti di viaggio, a proposito di una prima alla Scala, riferisce di un dialogo fra un inglese ed un italiano. L’inglese dice all’italiano ‘voi sembrate morti ad ogni cosa, tranne che per la musica, che sola ha ancora la potenza di scuotervi…’
Verdi, la cui stella non brillava ancora anche per la giovane età, non era ovviamente entrato negli orizzonti di Mazzini, a metà degli anni Trenta, avendo egli solo 22 anni. Vi entrò dopo il suo primo grande successo, nel 1842, con ‘Nabucco’, a proposito del quale è bene ricordare, per evitare strumentalizzazioni ed enfatizzazioni antistoriche, che non fu il ‘Va pensiero’ ad essere ripetuto a grande richiesta la sera della prima alla Scala, bensì il coro finale ‘ Immenso Iehovah’, preghiera al dio di Israele. E la ragione, quasi sicuramente, non stava nella musica, bensì nel testo che, nell’originale, suonava: “Spesso al tuo popolo/ donasti il pianto/ ma i ceppi hai franto/ se in te fidò”. La censura non gradì e il testo fu modificato in : Tu spandi l’iride/ l’uom è contento/ tu vibra fulmine/ l’uom più non è”. Che la storia della cattività babilonese del popolo ebraico, potesse essere letta come metafora, non del tutto inconsapevole e casuale, della situazione delle popolazioni della nostra penisola sotto il dominio austriaco, non va dimenticato. E la censura l’aveva capito. Perché Verdi, la cui coscienza civica e politica fu ben evidente, con i suoi primi due grandi successi ( ‘Nabucco’ e ‘Lombardi alla prima crociata’) cominciò ad esercitare una vera azione politica attraverso la sua musica. Il pubblico vedeva dappertutto allusioni, ma Verdi le scopriva prima del pubblico, adattandovi musica ispirata, che finì spesso, per far nascere la rivoluzione in teatro , come Luchino Visconti aveva ben descritto in quella celebre scena di ‘Senso’.
Dopo l’estremizzazione degli anni passati che, ad ogni piè sospinto, vedeva in Verdi il patriota, oggi si è passati all’estremizzazione opposta che si spinge addirittura a negare tale sentimento nel musicista. Verdi certamente non voleva finire in galera o in esilio come altri patrioti, o come lo stesso Wagner che partecipò attivamente ai moti rivoluzionari e dovette andare in esilio in Svizzera, perchè in cima ai suoi pensieri ( di Verdi) c’era il lavoro di compositore, per svolgere il quale, forse accettò qualche compromesso, ad esempio assoggettandosi alla censura, come nel caso dell’’Ernani’ e della ‘Giovanna d’Arco’.
Il sentimento patriottico di Verdi emerge in diverse occasioni, lontano dal palcoscenico, chiaro e forte. Come da una lettera, famosissima, datata 21 aprile 1848, rientrato da Parigi, all’indomani delle ‘Cinque giornate’ di Milano. In quella lettera indirizzata a Francesco Maria Piave scriveva:
“ Figurati se io volea restare a Parigi sentendo una rivoluzione a Milano. Sono di là partito immediatamente sentita la notizia, ma io non ho potuto vedere che queste stupende barricate. Onore a questi prodi! Onore a tutta l’Italia che in questo momento è veramente grande! L’ora è suonata, siine persuaso, della sua liberazione. E’ il popolo che la vuole: e quando il popolo vuole non v’è potere assoluto che le possa resistere. Potranno fare, potranno brigare finchè vorranno quelli che vogliono essere a viva forza necessari, ma non riusciranno a defraudare i diritti del popolo. Sì, ancora pochi anni, forse pochi mesi e l’Italia sarà libera, una, repubblicana. Cosa dovrebbe essere? Tu mi parli di musica!! Cosa ti passa in corpo? Tu credi che io voglia ora occuparmi di note, di suoni. Non c’è, né ci deve essere che una musica grata alle orecchie degli Italiani del 1848. La musica del cannone… Io non scriverei una nota per tutto l’oro del mondo; ne avrei un rimorso consumare della carta da musica, che è sì buona da far cartucce!”. Dopo le ‘Cinque giornate’, i riferimenti metaforici alla situazione non avevano più senso. Occorreva parlar chiaro. Da ciò scaturì anche l’inno su testo di Mameli, chiestogli da Mazzini e che Verdi accompagnò con un biglietto che terminava. ‘ possa quest’inno, fra la musica del cannone, essere presto cantato nelle pianure lombarde” (quell’inno non riuscì a scalzare ‘Fratelli d’Italia’, ormai popolarissimo). Naturalmente negli anni
Cinquanta, le opere non potevano più esser politicamente esplicite e Verdi dovette assoggettarsi alla censura. Emerge, tuttavia, con chiarezza dal pensiero di Verdi che egli auspicava un’Italia unita, ma non voleva che si raggiungesse l’obiettivo attraverso una rivoluzione e relativo spargimento di sangue.
Poi venne il 1861 e la proclamazione dell’Unità d’Italia, sotto il re Vittorio Emanuele II. Cavour , già ministro sabaudo, fu incaricato di reclutare per il nuovo Parlamento italiano le più belle menti della nazione. Così scrisse a Verdi, invitandolo a candidarsi:” la sua presenza darà credito al gran partito nazionale che vuole costituire la nazione sulle solide basi della libertà e dell’ordine”… ed anche del genio musicale. La storia della militanza parlamentare di Verdi è ben nota. Viene eletto nel collegio elettorale di San Donnino. Nella prima sessione del Parlamento italiano, (febbraio - maggio 1861), Verdi fu sempre presente; poi, prima di partire per la seconda sessione, venne a sapere della morte di Cavour, mentre impegni professionali lo attendevano, e da quel momento cominciò a disertare il Parlamento, come egli stesso ammise in una lettera autoironica, indirizzata a Piave: ”Volendo o dovendo fare la mia biografia come membro del Parlamento, non vi sarebbe che a stampare nel bel mezzo di un foglio bianco, a grandi caratteri – i 450 non sono realmente che 449, perché Verdi, come deputato, non esiste”. Ciò nondimeno, Verdi – come scrisse Alberto Savinio – fu il ‘Garibaldi della musica (e Garibaldi il Verdi dei campi di battaglia); Verdi dal cuore a melagrana e dall’occhio umido di commozioni patriottiche, Verdi che all’unità italiana dà l’acciaio dei suoi canti diritti come spade, e il rimbombo dei suoi cori liberatori”.
L’anno seguente l’Unità d’Italia, nell’ Inno delle nazioni, scritto per l’Esposizione di Londra, su testo di Arrigo Boito, ritornò sul tema dell’unità d’Italia, utilizzando ‘Fratelli d’Italia’ e facendo cantare al tenore: “e tu, mia patria… Italia mia… che il Cielo vegli su te/ fino a quel dì che grande,/ Libera ed Una tu risorga al sole”.
Nei giorni delle recenti celebrazioni unitarie, al ‘Corriere della Sera’, un noto musicologo italiano, Eduardo Rescigno, ha rinvenuto una eloquente lettera di Verdi, datata 3 gennaio 1855, ed indirizzata al direttore dell’Opéra di Parigi, Mr. Crosnier, nel periodo in cui Scribe stava scrivendo il libretto de ‘I Vespri siciliani’ ( edizione francese, naturalmente, che precedette quella italiana) “ Contavo sul fatto che il signor Scribe, come mi aveva promesso sin dall’inizio, avrebbe cambiato tutto ciò che offende l’onore degli italiani. Più rifletto su questo soggetto, più mi persuado che sia rischioso. Ferisce i Francesi perché vengono massacrati; ferisce gli Italiani perché il signor Scribe, alterando il carattere storico di Procida ne fa ( secondo il metodo da lui preferito) un comune cospiratore armato dell’inevitabile pugnale. Mio Dio! Nella storia di ogni popolo ci sono virtù e crimini, e noi non siamo peggio degli altri. In ogni modo io sono innanzitutto italiano e, costi quel che costi, non mi renderò complice di una offesa al mio Paese”.

Ciò che di questi tempi mette pensiero - vogliamo sottolinearlo - è che proprio mentre si celebra un importante anniversario dell’Unità d’Italia, accompagnata dal melodramma, e da quello di Giuseppe Verdi in misura preponderante, quello stesso melodramma italiano, si stia tentando di mettere a tacere.
( da un nostro intervento pubblico in occasione delle celebrazioni dei 150 anni  dell'Unità d'Italia)

mercoledì 30 dicembre 2015

Ninni Cutaia al posto di Salvo Nastasi al Ministero, come Direttore generale dello Spettacolo dal vivo

Ad ottobre, all'indomani dell'uscita di Nastasi dal MIBACT, per insediarsi a Palazzo Chigi, come Vice segretario generale, ed a Bagnoli come Commissario al risanamento, arriva dal Ministero la promozione a Ninni Cutaia, il dirigente  di più alto grado al Ministero, addentro ai misteri italiani dello spettacolo dal vivo.
 Fino ad oggi  neanche una voce flebile, uscita dalla sua bocca,  è filtrata all'esterno, relativamente alla toppa da mettere  all'ultimo disastro compiuto da Nastasi, prima di andarsene, e cioè a come risolvere con un minimo di logica vera, l'applicazione della legge del luglio 2014, per la spartizione del FUS,  che Nastasi ha affidato ad un algoritmo, che avrebbe  dovuto introdurre criteri di equità, basati su parametri certi, ed invece ha gettato nel panico e nella disperazione  buona parte delle istituzioni, piccole medie e grandi, finanziate da sempre dal FUS: oltre centocinquanta soggetti sono stati fatti fuori, senza preavviso e ad attività già avanzata se non conclusa, da quell'infame algoritmo, benedetto da Nastasi e Francechini ( è inutile che anche 'mezzo disastro' Franceschini si nasconda dietro il paravento dell'algoritmo!).
 Franceschini, che quando si tratta di aprire bocca  non ci pensa due volte, s'è difeso dicendo: chiedevate che la politica uscisse fuori dalla gestione dei fondi della cultura? Lo abbiamo fatto, affidando tale compito ad un algoritmo, ora non potete lamentarvi quando l'algoritmo ha fatto piazza pulita.  Certo, 'mezzo disastro', lei ha ragione. Solo che l'algoritmo pilotato da Nastasi, non ha fatto piazza pulita (altrimenti non si capirebbero gli stanziamenti  aggiuntivi della legge finanziaria al mondo dello Spettocolo  - tre milioni per festival , cori e bande; come non si capiscono gli stanziamenti del ministero al MAXXI delle amiche Melandri e Veaute, o al Teatro Valle, per favorire la mogliettina Di Biase, ex presidente della Commissione cultura al Comune di Roma), bensì tabula rasa. In un sol colpo ha  distrutto quanto costruito in decenni.
 Una cosa non abbiamo capito di questa operazione barbarica a firma Nastasi e Franceschini: i soldi risparmiati  dove sono andati a finire? A finanziare  le istituzioni amiche o a ridurre la dotazione del FUS  destinata allo spettacolo dal vivo, magari per ricostruire la platea del Colosseo che farà passare 'mezzo disastro' Franceschini, come il ministro 'delle ricostruzioni'?
 Adesso, a fine anno, si  fa sentire anche Cutaia, a proposito dell'ultima tegola piovuta sulle Fondazioni liriche, a seguito della pronuncia della Consulta, sollecitata da un lavoratore ingiustamente licenziato dalla Fondazione del Maggio Fiorentino - come si chiamava un tempo - che ora, invece, ha mutato la sua ragione sociale in 'Opera di Firenze'.
 Il caso era stato portato all'attenzione di tutti, per la sua possibile grave incidenza sui bilanci futuri delle fondazioni, che a fatica si stanno risollevando dalla allegra gestione degli anni passati, dal quotidiano 'Il messaggero', qualche giorno fa (in  tale occasione ne abbiamo scritto su questo blog) con un articolo di Valeria Arnaldi che aveva sentito anche il presidente dell'associazione che riunisce le Fondazioni liriche italiane, Cristiano Chiarot, sovrintendente di  quella veneziana. il quale, preoccupato dei possibili futuri risvolti della cause tuttora pendenti nelle varie fondazioni ( circa un migliaio) aveva annunciato la costituzione di un pool di giuristi che aiutassero a sbrigare la matassa, e la richiesta di aiuto al ministero senza la cui mediazione difficilmente una situazione simile poteva risolversi.
 A stretto di giro di posta, appena qualche giorno dopo, sempre dal Messaggero, e sempre Valeria Arnaldi, intervista  sull'argomento Ninni Cutaia il quale autorevolmente dichiara: abbiamo interpellato un pool di giuristi per capire come uscirne ( ma è lo stesso pool delle Fondazioni o un secondo?). E basta. Non dice altro, oltre che la situazione rischia di mandare a monte il lavoro di risanamento che si sta svolgendo nelle Fondazioni. E c'era bisogno  che ce lo dicesse lui?
Temiamo che questa  inutile uscita di Cutaia serva al Messaggero per accreditarsi come 'portavoce' delle soffiate del ministero, allo stesso modo in cui lo ha fatto con Nastasi in tutti questi anni.
Ma se Cutaia vuol fare sapere che esiste e lavora, batta un colpo, quando ha qualcosa da dire. Come  ci piacerebbe sentire anche la voce di un altro alto dirigente del mondo dello spettacolo, e cioè di Carlo Fontana che, da quando si è insediato alla presidenza dell'AGIS, abbiamo saputo solo che ha salutato Nastasi, ringraziandolo per la collaborazione - ringraziamento reciproco - ai danni dello spettacolo,  ed ha incontrato Cutaia che ha preso il suo posto. E poi? E poi basta!

venerdì 25 dicembre 2015

La nuova tv di Campo Dall'Orto

I giornali di questi giorni sono prodighi di informazioni ed anticipazioni sulla 'borsa' dei cambiamenti epocali che il nuovo amministratore delegato della RAI sta per portare nell'azienda che dipenderà dalle sue direttive, 'perinde ac cadaver', autorizzato a decidere autonomamente per tute le grandi questioni, figuriamoci per le piccole, estromettendo di fatto il CdA, ridotto a consesso di  raccomandati da consultare per farli illudere che esistono.
Circolano molti nomi, alcuni dei quali sono già bruciati per il semplice fatto della loro pronuncia o 'nomination', come si dice oggi, mentre i trombati, quelli più sicuri, sarebbero  quasi tutti i capi bastone, fatta eccezione per gli intoccabili. Come Marzullo che, può cambiare anche il paese, ci può essere anche una rivoluzione, ma lui resta lì a vigilare sulla 'cultura', della quale - è chiaro - a nessun timoniere della tv è mai fregato nulla e mai nulla fregherà. E le sottoscrizioni dei mesi ed anni passati? E Antonio che farà? Ha dichiarato: "Campo dall'Orto", il mio. L'erba del vicino non mi attrae, non la guardo neppure. A che serve spiantare erbette ed erbacce, se poi altre bisognerà piantare?
 Cosa si coltiva nel suo orto? cosa dispenserà la sua tavola, ornata di santini vaticani? antipasti toscani e  pietanze renziane ; e, perciò,  in virtù della regionalità di questo/a o quello/a, della iscrizione nella renziana società di questo/a o quello/a,  qualche avvisaglia di cambiamento si può già azzardare. Ed anche qualche novità assoluta.
 Ad esempio nessuno toccherà gli abbronzatissimi  comici o le cuoche pacioccone, gli uni e le altre compensati con pacchi di soldi; difficilmente cambieranno i vertici delle reti che fanno ascolti, mentre, per compensazione, non cambieranno quelli che di ascolti non ne fatto affatto - più facile che  siano cancellate le stesse aziende tv, specie quelle della categoria 'culturale'. E Marzullo? Antonio è ancora combattuto: esserci o non esserci nella mia tv?
Potrebbero però entrare,  in tutte le categorie, senza  allontanare i timonieri in prima o seconda, anche  altri protagonisti. Alcuni sono già entrati, fra i comici ed anche fra le cuoche: riconoscibili immediatamente: parlano tutti toscano.
 Fra le novità assolute, corre voce di una nuova rubrica giornaliera in allestimento, nella tv della mattina, replicata nel pomeriggio, cinque giorni su sette, dal titolo 'renziano': 'Banca Amica', affidata al dott. Boschi, affiancato dalla figlia ministro dell'attuale gabinetto governativo, che passerebbe dalle riforme alle Finanze. C'è  però qualche resistenza nel CdA, che comunque conta nulla,  ma che  vorrebbe la rubrica direttamente affidata a Maria Elena che farebbe ottimi ascolti anche lì, come in Parlamento; mentre al padre dell'ex  ministro,  verrebbe affidato il ruolo di esperto, a chiusura di puntata,  che rispondere alle domande degli telespettatori, nella rubrica: "se ti sbianca ( il conto) la banca, corri per boschi'.

martedì 22 dicembre 2015

Zubin Mehta's story. Sul 'Corriere della Sera', in tre atti.

La storia del direttore Zubin Mehta si arricchisce di un nuovo atto, il terzo, sempre ad opera del 'Corriere della Sera'.
 Nel primo atto veniva rappresentato il disappunto del direttore cacciato - la verità è  proprio questa - dopo trent'anni di onorato servizio all'Opera di Firenze, contro la sua volontà.  Nulla poteva contro il sindachetto di Firenze ed il sovrintendente del teatro  che avevano preso tale decisione chiamandovi a sostituirlo Fabio Luisi. E questo accadeva una settimana dopo che Mehta aveva aperto la stagione al San Carlo di Napoli che lo reclamava come direttore principale, mentre Nardella,  nel caso vedovo inconsolabile di Mehta, fingeva di tenere molto alla sua  presenza  a Firenze. Questo primo atto della 'Zubin Mehta's story' recava la firma di Valerio Cappelli, il primo a raccogliere il pianto amaro, disperato del direttore .
 Il secondo atto della storia, sempre ad opera del 'Corriere', veniva inscenato da Marco Gasperetti, il quale capovolgeva la situazione. Mehta sapeva già della sua uscita, e lo sapeva già a Napoli, ha finto solo di cadere dalle nuvole, quando è stato dato l'annuncio dell'arrivo di Fabio Luisi a Firenze.
Perchè allora tacere, anche quando Nardella rivendicava la 'fiorentinità' di Mehta, e non gridargli pubblicamente: 'ipocrita e bugiardo d'un sindachetto!'? Per  proprio tornaconto. Messo a conoscenza di tale avvicendamento, ormai deciso, stava trattando con Nardella e Bianchi, il sovrintendente, un'uscita 'onorevole', diciamo così. Che avrebbe ottenuto con quell'incarico da direttore 'emerito onorario a vita' - una  vera idiozia per la prima volta utilizzata -  che gli sarebbe servito per continuare a dirigere a Firenze, e, nello stesso tempo, permesso di girare il mondo e magari di fermarsi sempre più spesso a Napoli. E tutto questo mentre non pochi critici non erano entusiasti della inaugurazione del San Carlo. E noi, fra questi, che  abbiamo spento la tv dopo il primo atto, quando abbiamo capito che la regia faceva acqua e il direttore tirava a campare non potendo dare (o ottenere) di più, e con la protagonista assolutamente fuori ruolo, la quale, proprio perchè ha fatto centinaia di volte  Carmen, sarebbe ora che si metta a riposo ( ma questo nessuno glielo ha detto). Dunque, alla fine del secondo atto, Zubin Mehta faceva la figura non del condottiero pugnalato alle spalle, ma del perdente opportunista che tratta la sua resa, cercando di trarne il vantaggio maggiore.
Terzo  atto, ancora sul 'Corriere', che si è distinto fra tutti i giornali nel seguire questa vicenda. Autore Enrico Girardi. che ha difeso l'operato di Mehta a Napoli: il direttore a Napoli ha fatto bene, con le forze  che aveva a disposizione. In sostanza, l'orchestra è quella che è,  e di più non poteva ottenere, la regia era scialba ed inconsistente, e il cast di basso profilo, salva solo la Buratto ( Micaela). Fine.
 A questo punto, a sipario calato, entra in scena il teatro sempre  attivissimo a  cantar vittoria: la 'Carmen' è stata seguitissima sui social, ed anche il pubblico al San Carlo è stato numeroso ( non importa se poi i giornali hanno scritto che gli applausi sono stati assai tiepidi); anche la cena  di gala è stata molto apprezzata - Mattarella l'ha gradita ed ha promesso di tornare a cenare al San Carlo - al punto che  una seconda cena viene allestita questa volta per i poveri, rivelando anche il volto 'solidale' del teatro napoletano.
 La storia finisce con il classico 'e vissero tutti  abbastanza felici e contenti', compreso Mehta.

Dalla Consulta possibile tegola mortale sulle teste delle Fondazioni lirico-sinfoniche italiane

Un lavoratore dell'Opera di Firenze licenziato ingiustamente ricorre alla Consulta, la quale  gli dà ragione  e perciò va riassunto. E sentenzia: " il divieto assoluto e retroattivo di convertire i contratti di lavoro a termine in contratti a tempo indeterminato, anche a seguito di violazioni delle norme su contratti proroghe e e rinnovi, è ILLEGITTIMO".
Tale sentenza potrebbe avere ricadute infinite su centinaia di cause intentate da dipendenti delle Fondazioni lirico-sinfoniche italiane che si trovano nelle stesse condizioni. E' bastato il semplice sospetto per mettere in agitazione i vertici di tutte le nostre istituzioni musicali, perché di cause in piedi, in dette istituzioni, ve ne sono a centinaia: 120 a Roma, oltre 200 a Bari, addirittura 400 a Verona, a Firenze una cinquantina, e a Palermo 20 ma solo di cause promosse da direttori d'orchestra.
 Un vero ciclone si abbatterebbe se la sentenza venisse estesa a tutti i reclamanti, capace di travolgere le Fondazioni che a fatica,  con tanta fatica, cercano di mettere i conti in ordine.
 La presidenza dell'associazione delle fondazioni corre ai ripari,  consultando un pool di giuristi, ma il pericolo c'è, altrimenti non ci sarebbe tanto allarme.
 Le Fondazioni conoscono da tempo il problema e, non conoscendo l'esito della risoluzione, almeno fino a ieri, hanno sempre accantonato fondi  da destinare a simili controversie nel caso in cui i lavoratori avessero sentenza favorevole.
Ma ora la sentenza della Consulta potrebbe  aggravare irrimediabilmente la situazione. Che fare, quale soluzione proporre, al di là del parere dei giuristi interpellati?
 I vertici delle Fondazioni se lo chiedono. Forse un intervento del Governo e del ministro Franceschini  per non vanificare la faticosa messa in ordine dei conti delle istituzioni musicali?Oppure Fuortes, che sia all'Auditorium che a Bari ha fatto ricorso a contratti di questo genere, potrebbe offrire una consulenza gratuita (per i tanti esterni  di cui si è sempre servito a Roma, dove di pianta organica , oltre gli impiegati non c'è traccia e  per il tipo di contratto con cui ha formato la nuova orchestra di Bari, al Petruzzelli, nei mesi in cui è stato Commissario)?
 Il Governo dovrebbe insomma mettere una pietra 'tombale' su tale decisione, aggirandola. Ma in questo modo farebbe un decreto simile a quello del Governo sulle banche: salverebbe le Istituzioni, fottendosene dei lavoratori irregolarmente impiegati ed ingiustamente licenziati  dopo molti anni di lavoro, nella sostanza 'dipendente' e 'a tempo indeterminato'. Ma il Governo non può sbagliare una seconda volta. E le Fondazioni, potrebbero  essere affondate in caso contrario?

lunedì 21 dicembre 2015

Santa Cecilia ha un calendario di concerti per il Giubileo?

L'esecuzione della 'Creazione' di Haydn, oratorio celeberrimo quanto poco eseguito,  è stata annunciata come apertura della serie di concerti dell'Accademia di Santa Cecilia di Roma per il Giubileo. FALSO. Perchè il Giubileo è stato annunciato in aprile, e la programmazione dell'Accademia era bell'e pronta. Più volte dall'Accademia è stato anticipato nei mesi passati che  si stava approntando un numero di concerti per il Giubileo. Ad oggi nessuna 'stagione giubilare' è stata resa nota. Allora perchè raccontare falsità? Brani sacri o che al sacro si ispirano, in qualunque stagione di concerti, sono stati sempre presenti, nè potevano mancare nella programmazione di Santa Cecilia, come del resto non mancano. Ma questi brani sono in programma indipendentemente dal Giubileo.
Allora, se non si è ritenuto opportuno - come , al contrario, si fece nel Giubileo del Duemila quando l'Accademia promosse alcuni concerti solenni  - aggiungere alla stagione normale una serie appositamente pensata per il Giubileo, non è peccato mortale.
Peccato mortale sono le bugie, le falsità  dette per approfittare di certe occasioni e non incorrere nella scomunica delle autorità ecclesiastiche che, non a causa della santa titolare dell'Accademia, ma per mille altri legami, influiscono su tante decisioni  che con la Chiesa non c'entrano.
 Qui poi non ci sono in ballo soldi e fondi speciali, in una Roma disastrata che già fa fatica a non essere  affossata nei mille problemi. E perciò non c'era voglia da parte di nessuno di procurarsi un posto al banchetto solito, come è accaduto per l'EXPO di Milano, dove invece  di soldi ne sono circolati.
 Che l'Accademia non partecipasse a tali iniziative giubilari, l'ha detto l'altro giorno Carlo Fuortes quando, annunciando i suoi concerti per il Giubileo ( quattro di numero in cinque mesi! ) ha sottolineato che per la prima volta a Roma, tre istituzioni musicali si accordavano per un programma comune ( Teatro dell'Opera, Cappella Sistina, Pontificio Istituto di Musica sacra), e fra queste Santa Cecilia  non c'era .

domenica 20 dicembre 2015

Zubin Mehta s'è salvato dalle 'Idi' del Maggio.

Zubin Mehta, volevano farlo fuori senza un briciolo di galateo, e di rispetto per il suo passato ( forse solo per quello, se il suo presente, a detta di molti, non è molto lusinghiero per lui, la critica lo bistratta, come ha fatto per la sua recente 'Carmen' a Napoli) Nardella  il 'sindachetto'  ( senza offesa per il grande sindaco, solo perchè l'appellativo 'alla De Luca' è divertente) e il sovrintendente dell'Opera di Firenze ( ex Maggio Fiorentino), Francesco Bianchi.
Ma il noto direttore ha sventato la congiura che mirava a colpirlo alle spalle per  fargli fare la fine di Cesare, benché egli godesse di un salvavita fino a tutto il 2017, quando scade il suo contratto con l'Orchestra.
 Sia chiaro, i vertici bene hanno fatto a cercare ed individuare il suo successore anzitempo - così si deve fare in maniera che il passaggio da uno all'altro, venga programmato e previsto in ogni particolare, senza scossoni per l'istituzione.  E, infatti, da mesi si parlava della successione a Mehta, e sulla bocca di molti era corso il nome di Gatti, il quale ha atteso invano la nomina - come è accaduto  anche per la Scala, dove l'ha spuntata Chailly, nonostante la sua lunga collaborazione con Pereira a Zurigo; alla fine il direttore milanese è volato ad Amsterdam per assumere l'incarico di direttore al Concertgebow ( chissà che non ripercorra in futuro lo stesso tragitto di Chailly: dopo Amsterdam, Lispia e poi, succedendo a Chailly, la Scala).
 Mehta perciò sapeva che al 2017 sarebbe terminato il suo incarico,  ma in questi giorni, quando secondo una ricostruzione fatta oggi dal 'Corriere', a firma Marco Gasperetti, di segno opposto a quella di ieri di Valerio Cappelli, avrebbe fatto l'offeso solo per ottenere  una migliore  uscita, con un titolo ( strombazzatto dall'ufficio stampa del teatro, come fosse una grande cosa, mentre non lo è affatto, e se  viene adottato ora per la prima volta è solo perché è apparso una farsa a tutti quelli che hanno  finora governato l'orchestra fiorentina),  che suona : direttore 'onorario a vita', e che gli permetterebbe di dirigere ancora a Firenze e nello stesso tempo anche altrove, come ha sempre fatto, principalmente in Israele; e forse d'ora in vanti a Napoli, magari con un incarico ufficiale.
 Insomma tutta quella manfrina Mehta l'avrebbe fatta per ottenere una più vantaggiosa - anche meritata - indennità di fine servizio, dopo trent'anni alla guida dell'orchestra fiorentina, che a lui deve molto. Nonostante la manfrina del direttore, il comportamento dei dirigenti fiorentini è, secondo noi, da censurare.

Sul fronte economico, risulta abbastanza inspiegabile l'uscita di Bianchi che ha voluto smentire, a pochi giorni di distanza, la relazione del commissario Pinelli, quello che gestisce il Fondo salvafondazioni liriche. Il quale non più tardi di una decina di giorni fa, parlando dell'Opera di Firenze, nella sua relazione semestrale ( relativa al primo semestre 2015), rilevava  un deficit di 4,5 milioni di Euro nei primi sei mesi, e metteva in guardia il teatro fiorentino che, andando avanti così  avrebbe chiuso il bilancio in netto passivo. Bianchi ha detto che prevede di chiudere il bilancio annuale in pareggio, e perciò nonostante le perplessità espresse dal Commissario sul possibile pareggio di bilancio dell'Opera di Firenze, Bianchi avrebbe dichiarato che quel passivo è stato colmato ed altro non ve ne sarà per il secondo semestre. Speriamo. Altrimenti, nel 2016, proprio l'Opera di Firenze che al Fondo governativo ha chiesto 34 milioni di Euro, per mettere una pietra sopra i suoi debiti pregressi di gestione e di patrimonio, dovrà portare i libri contabili in tribunale e dichiarare fallimento. Che avverrebbe proprio quando il governo dell'ex sindaco Renzi- ne approfitti, questo è l'ultimo treno per Firenze - ha dato il via libera ai fondi per il completamento dei lavori nel nuovo teatro.

Giacomo Puccini .Pubblicato da Olschki il primo volume (1877-1896) dell'espistolario

Quando l'intero epistolario sarà completato, comprenderà ben nove volumi, il nono relativo al solo 1924, più altri due, per Supplementi e Documenti. Ma per la pubblicazione completa sarà necessario attendere anni, forse decenni. Intanto sfogliamo il primo volume, che racconta Puccini dagli inizi alla 'Bohéme'.

Anche in Italia, tutti noi che a vario titolo ci occupiamo o siamo interessati alla musica, anche da semplici ascoltatori, se che per qualche motivo vogliamo conoscere più da vicino i grandi musicisti, non abbiamo motivo per lamentarci. Da qualche tempo possiamo leggere anche nella nostra lingua, l'epistolario completo di musicisti come Beethoven ( fatto tradurre dall'Accademia di Santa Cecilia) o Rossini, edito dalla omonima Fondazione pesarese, e, più recente ancora, di Mozart tradotto in lingua italiana da un mozartiano doc, che di mestiere fa il notaio e di nome fa Marco Murara.
Invece, per Puccini, il nostro operista più rappresentato nel mondo assieme a Verdi, del quale è nota buona parte della ricchissima corrispondenza, s'è dovuto attendere, per l'avvio della pubblicazione dell'epistolario completo, che il Ministero dei beni e delle attività culturali, con la tempestività e l'accortezza che contraddistingue da sempre la sua attività, costituisse nel 2007- dunque l'altro ieri - il Comitato per l'Edizione nazionale delle opere di Giacomo Puccini. Nella quale 'edizione' si è ritenuto opportuno anzi importante includere, accanto ovviamente alle opere, anche l'epistolario del musicista dal quale ci si attende nuova luce sulla genesi , composizione e successiva fortuna, dei suoi capolavori, che si contano in dodici appena, ma intramontabili.
A fronte dei quali dodici titoli si stima che quando la pubblicazione dell'epistolario, di cui ora è uscito il primo volume, presso l'editore Olschki, relativo agli anni 1877-1896, sarà completato, potrebbero essere quasi ventimila le lettere pubblicate, salvo ulteriori aggiunte; già oggi se ne conoscono ottomila circa, ed ogni giorno sbucano fuori delle altre, anche nelle aste internazionali dove i cimeli pucciniani, soprattutto manoscritti musicali o lettere e cartoline, costituiscono ancora un grande richiamo per collezionisti e pucciniani doc. Ancora l'altro ieri, su ebay, una semplice cartolina di Puccini veniva proposta all'acquisto per 1.500,00 Euro. Una bella somma per una semplice cartolina con firma e qualche rigo di scritto.
Il primo volume, 688 pagine, che abbraccia il periodo degli studi del musicista, dei primi successi fino al capolavoro, fresco come la sua giovinezza, Bohème, tenuta a battesimo il 1 febbraio del 1896, da Arturo Toscanini a Torino, contiene ben 784 lettere, includendovi le poche inserite nell'appendice. E ci svela una personalità molto più complessa del musicista che credevamo di conoscere a fondo. Dapprincipio prevale la fitta rete di rapporti con la famiglia e gli amici, quasi tutti legati a Lucca; andando avanti nel tempo, emerge la figura indipendente di un musicista, dalla marcata individualità, man mano che egli si sente più sicuro di sé come compositore. Dal momento in cui le sue opere ottengono riconoscimenti in Italia e all'estero, i destinatari delle sue lettere cambiano. Scrive più sovente a direttori, al suo editore Giulio Ricordi, ai cantanti; e lo si sa spessissimo in viaggio per seguire da vicino la concertazione e messinscena delle sue opere. Ma di edizioni delle lettere di Puccini se ne conoscono più d'una, sebbene l'edizione critica appena avviata si vede costretta a correggere date, destinatari ed anche la stessa lezione di alcune di esse, male interpretate in passato. E c'è anche un particolare curioso che attesta come anche le finanze del musicista vanno rapidamente evolvendosi a suo favore. Dalle prime lettere scritte su carta semplice e dozzinale, si passa a lettere su carta più pregiata ed anche intestata.
In breve, la storia delle più note edizioni, parziali dell' espistolario pucciniano, fino ad oggi.
Il primo a raccogliere e pubblicare un buon numero di lettere fu un suo amico, che fu anche librettista di alcune sue opere ( La rondine, Il tabarro, Suor Angelica e, in coppia con Renato Simoni, Turandot): Giuseppe Adami, nel lontano 1928. Uno dei collaboratori che più da vicino avevano conosciuto e lavorato con il musicista, al punto da fargli dichiarare in una lettera del 1923: ” Adamino conosce meglio di tutti al mondo il suo Giacomo Puccini”. Quella primizia epistolare pucciniana era ordinata in maniera singolare, con scopi che diremmo didascalici. Le 240 lettere ivi contenute erano distribuite in dodici capitoli, ciascuno dei quali dedicato ad un titolo operistico pucciniano, del quale le lettere spiegavano e raccontavano genesi, gestazione, abbozzi e composizione ed ogni altra notizia utile.
Dopo quella prima impresa editoriale, quasi all'indomani della prematura morte del musicista per cancro, a Bruxelles, nel 1924 che aveva 66 anni, si dovette attendere la fine degli anni Cinquanta del secolo passato, per vedere la pubblicazione, a cura di Eugenio Gara, dei 'Carteggi pucciniani'; e, nello stesso anno, delle 'lettere a Riccardo Schnabl' ( confidente per molti anni del musicista, conservate al Conservatorio di Milano) a cura di Simonetta Puccini, nipote del compositore; mentre poi dovevano passare oltre quindici anni, per 'Puccini com'era' a cura di Arnaldo Marchetti, che conteneva 400 lettere; ed infine le lettere, appena quattro, dello scrittore e giornalista Ferdinando Fontana (che scrisse i libretti de Le villi ed Edgar) a Puccini, pubblicate nei Quaderni Pucciniani, nel 1992, ancora a cura di Simonetta Puccini.
A queste pubblicazioni, strettamente riservate alla corrispondenza, occorre aggiungere anche le lettere pubblicate nelle numerose biografie del musicista, seppure in misura molto inferiore rispetto agli espistolari, e con l'handicap che, delle lettere citate, vi si possono leggere soltanto degli stralci, funzionali a ciò che il biografo vuole far conoscere o dimostrare. E i biografi pucciniani , anche in Italia, sono finora numerosi: fra tutti Mosco Carner, Casini, Pinzauti fino al più recente Michele Girardi, accreditato studioso dell'opera del musicista, il quale ha intitolato la sua biografia critica: 'L'arte internazionale di un musicista italiano', allo scopo preciso di capovolgere una prospettiva critica negativa riguardante l'opera, nel suo complesso, avanzata da un noto storico della musica, Fausto Torrefranca ( in 'Giacomo Puccini e l'opera internazionale', 1912; un 'pamphlet che attesta la malafede del suo autore', secondo Michele Girardi), due anni dopo il battesimo a New York, della Fanciulla del West, con il concomitante obiettivo di opporre a Puccini, sostenendola a spada tratta, la cosiddetta 'generazione dell'Ottanta', e cioè, Gianfrancesco Malipiero, Alfredo Casella, Ottorino Respighi, fra i principali esponenti.

Le lettere.
Apre la raccolta, una lettera inviata da Puccini a sua madre, Albina Magi, datata 10 novembre 1880 e spedita da milano , nella quale, dopo averla ringraziata per la lettera inviatagli con riposta pagata – 'perché ho la stoja', che tradotto vuol dire: sono senza il becco di un quattrino - le comunica che ha passato l'esame di ammissione al Conservatorio di Milano, nonostante l'età, perché gli hanno assicurato che giudicheranno prevalentemente il valore degli elaborati scritti. E lui è stato il migliore. Adesso ha bisogno di vestiti e scarpe nuove, e spera anche che comincerà a mangiare decentemente, ora che va ad abitare 'davanti a Trattoria'.
L'ultima lettera pubblicata in questa prima raccolta reca la data del 30 ( o forse 31) dicembre del 1896. E' indirizzata al m. Carlo Angeloni, insegnate di 'contrappunto' , del quale con orgoglio si vantava di essere stato allievo, al quale chiede di rispondere con sollecitudine alla richiesta di Mascagni, al quale Puccini lo aveva segnalato, che lo voleva come insegnante al Liceo musicale di Pesaro. Angeloni non accetterà, anche per il magro stipendio.
Segue un'appendice contenente otto lettere delle quali si pubblicano date e destinatari, e sommariamente anche il contenuto, ma il cui testo integrale, per rispettare la volontà degli eredi del maestro', non viene pubblicato. Strana circostanza e decisione per una edizione critica completa della corrispondenza di Puccini, a quasi un secolo dalla morte del musicista e con l'unica erede , la nipote Simonetta, che non si dice per quali ragioni non vuole pubblicati i testi delle lettere suddette. Per le quali bisognerà attendere...

Una lettera ( BOX)
(Inviata ad Elvira Bonturi, sua convivente e futura moglie (Puccini la sposerà nel 1904, dopo ventennale convivenza, alla morte del suo primo marito), da Roma, su carta intestata 'Hotel de Milan Rome, e datata 11 febbraio 1896, nel corso delle prove per la 'prima' romana di Bohème, una decina di giorni dopo la 'prima' a Torino)

Cara Elvira
Son dolori! Siamo senza Musetta! E anche la Pandolfini ( Mimì, ndr.) – vale poco. Buono Apostulo ( Giovanni Apostolu, Rodolfo ndr.) e discreti gli altri meno Colline che è ottimo – Mascheroni (direttore d'orchestra ndr.) Cane al solito.
Io ritengo che tu resti ancora a Milano tanto con questa baraonda di prove ti dovrei lasciare sola sempre – tanta è la confusione che c'è – acccidenti al teatro all'arte a tutto!

In fretta perchè sono le 11 e vado a mandar giù alla peggio un boccone. Saluta Ida Cioncio Beo – tuo Topisio ( soprannome usato dal musicista, che nella versione femminile, Topisia, indicava Elvira, ndr.)

sabato 19 dicembre 2015

Villa Verdi (Sant'Agata) a Villanova d'Arda e Villa Puccini a Torre del lago: ville dei misteri

Dopo aver premesso che gli eredi di una grande personalità non si rendono mai degni della eredità da custodire, anche perché non sono all'altezza, non sembri duro ribadire che la loro custodia della memoria si limita soltanto agli affari economici, e sotto tale bandiera è organizzata. In parole povere, GLI EREDI DI UNA GRANDE PERSONALITA' PENSANO QUASI ESCLUSIVAMENTE AI SOLDI ED A SPILLARLI A CHICCHESSIA, in nome della loro discendenza di sangue. Qualunque iniziativa li coinvolgerebbe soltanto nel caso in cui ci fossero di mezzo soldi; in cambio dei quali  svendono nome e memoria e cimeli.
 Che c'entra questo con le residenze di due dei nostri più grandi musicisti, come Verdi e Puccini? C'entra con la storia di manoscritti ed abbozzi pucciniani spariti, ma di cui si conosceva l'esistenza e che erano custoditi nella villa del musicista a Torre del Lago - in questo caso si parla di furti ma anche di svendita per far soldi, da parte di chi non si sa o non si osa dirlo, ma certamente, nella seconda ipotesi, da parte degli eredi - e nel caso di Verdi, di un misterioso baule, prezioso quanto uno scrigno di gioie secondo gli studiosi, a causa dei misteri che potrebbero riuscire a risolvere sui capolavori del musicista; secondo gli eredi 'lontani' del musicista, che continuano a litigare fra loro, per attribuirsene la proprietà, perché li autorizzerebbe a venderli, facendoci molti soldi.
 Del baule verdiano, dato per presente a Villa Sant'Agata, si sa che è custodito dagli eredi - ma quale degli eredi ?-  nella villa del musicista, o, secondo, altri, in qualche banca svizzera.
Chi da questi furti, svendite o sparizioni presunte riceve il danno maggiore? Innanzitutto Puccini e Verdi che non possono essere studiati a fondo, e poi gli studiosi che amerebbero, ma non a fini di lucro - che sono, invece, lo ribadiamo: gli unici fini che hanno in testa gli eredi -  mettere le mani su quei manoscritti per restituirci, fin dove  è possibile, la volontà dei compositori, relativa alle loro opere.
 Ci sono studiosi che queste storie le conoscono a fondo, molto di più dei redattori della rivista italiana di musica che in ogni numero deve trovare uno scoop vero o finto non importa, purché uno scoop almeno sembri.
Ad esempio Michele Girardi, esimio studioso di Puccini, potrebbe sapere qualcosa per quelle carte sparite o vendute; e per Verdi, Fabrizio Della Seta che, una volta, ha potuto vedere le carte verdiane relative a 'Traviata', in occasione della edizione critica dell'opera da lui curata. Perchè, allora non parlano loro che hanno notizie più sicure ed attendibili degli 'scoopettisti' ad ogni costo, un tanto al mese?

Opera di Firenze. Zubin Mehta # stai sereno

Nardella, come del resto il suo capo Renzi, il galateo l'ha appeso nell'educandato dei padri salesiani, oltre che al Conservatorio di Firenze dove il diploma in violino gli avrebbe dovuto consigliare un pizzico di rispetto verso una delle glorie della direzione d'orchestra che da trent'anni ha scelto di lavorare e vivere a Firenze: Zubin Mehta. Trent'anni sono una vita. Certamente. E, dopo trent'anni si può anche dare una svolta alla vita. Meglio se  lo  decide il diretto interessato e non altri per lui. E poi ricevere il 'benservito' in maniera così incivile da un 'sindachetto' - come direbbe il governatore  De Luca - è troppo.
 Il 'sindachetto' fiorentino ha accompagnato Mehta a Napoli per l'Inaugurazione del Teatro San Carlo, alla presenza di Mattarella. Come fa un sindaco normale che,  esportando un prodotto comunale all'estero - da Firenze  a Napoli-  lo scorta. E, infatti, quando De Magistris ha fatto balenare l'idea che sarebbe stato felice di avere a Napoli Zubin Mehta con un incarico syabile, Nardella sembra gli abbia detto: " tu sei scemo, Mehta è di Firenze, il suo incarico finirà nel 2017, poi si vedrà". Insomma in trasferta il sindachetto è sembrato volersi tenere stretto Mehta a Firenze, difendendolo dall'assalto di De Magistris; una volta tornato a Firenze, ha usato con Mehta lo stesso trucco che Renzi usò con Letta.
 Non sono trascorsi neppure otto giorni e il sindachetto  lo licenzia, contro la volontà dell'interessato,  e d'accordo con il sovrintendente dell'Opera di Firenze, Francesco Bianchi, anch'egli della corte renziana, il quale ha dichiarato - da quanto è dato leggere oggi sul 'Corriere della Sera', a firma Valerio Cappelli - che si è chiusa un'epoca ed ora c'è bisogno di sangue giovane, non ricordiamo se abbia deto testualmente ha detto 'carne giovane, con una  espressione più tipica dello 'slang' renziano. Al suo posto è stato già nominato Fabio Luisi che comunque arriverà stabilmente a Firenze, dopo che avrà concluso il suo contratto con il Metropolitan, nel 2017. Dunque dal 2018 - solo i tempi delle scelte sono giusti, in questo fattaccio fiorentino - Firenze  perde definitivamente Mehta, se non lo perderà quasi subito il direttore che ha ragione a sentirsi offeso e trattato nel peggiore dei modi.
 Nulla contro Fabio Luisi, mentre molto ci sarebbe da dire sia di Bianchi che di Nardella, soprattutto per il loro comportamento inqualificabile.
 Perchè non si può costringere un direttore come Mehta a dichiarare: io non voglio andare via da Firenze, perché devo? Nardella, il sindachetto, avrebbe fatto notare che ancora nel 2017 Zubin Mehta ha in contratto la direzione di un'opera ( forse l'inaugurazione del Maggio) aggiungendo che Mehta può dirigere quando vuole a Firenze e che potrebbe formularsi per lui un incarico come 'direttore principale emerito a vita', della stessa fatta di quello inventato a Roma per Muti: 'direttore onorario a vita'- l'uno e l'altro che che hanno il sapore della beffa, ma forse anche dell' insulto.
 Se a loro discolpa Bianchi - che è a capo di uno dei teatri economicamente più disastrati d'Italia, assieme a quello di Bologna - e Nardella - al quale si rimprovera l'ipocrisia di  quella manfrina napoletana- hanno qualcosa da dire lo dicano per non essere giudicati in base al loro gesto inqualificabile ed incivile.  Ci dicano se Mehta costava troppo per un teatro disastrato; se non andava più d'accordo con l'Orchestra; se non partecipava alle scelte artistiche del teatro; e stava poco tempo a Firenze, in rapporto ai suoi compensi. Questi ragioni vorremmo sentire, e non quelle anagrafiche; pur convenendo che trent'anni, o giù di lì, in uno stesso incarico sono tanti  anche per un direttore. Perchè allora non lo sono per un sovrintendente, o per un politico?
Si può infine impedire a Mehta di essere presente con il sindachetto ed il sovrintendente nel momento in cui viene data comunicazione ufficiale  all'orchetsra?
 Si precisa che Luisi sarà da gennaio già al lavoro a Firenze perchè assumerà l'incarico di 'direttore musicale' e di direttore artistico consigliere del sovrintendete.
 E Napoli spera nell'arrivo di Mahta.

venerdì 18 dicembre 2015

Analfabeti ve ne sono dappertutto, dall'Opera di Roma al quotidiano La Repubblica

"Cantore, band lieder, songwriter, chansonnier e intrattenitore. Compositore di libri e scrittore di canzoni. Vinicio Capossela festeggia il vincolo con l’arte altisonante per natura, la musica. Venticinque anni di carriera...".
Quando, a proposito dei prossimi concerti di Vinicio Capossela all'Opera di Roma, abbiamo letto la  bestialità che CAPOSSELA è...'BAND LIEDER', abbiamo scritto al capo ufficio stampa del teatro, letterato sopraffino,  consigliandogli di correggerla, nell'inglese BAND LEADER, per non far fare altra brutta figura al teatro che l'ha assunto anni fa ed ancora lo tiene.
Naturalmente Filippo ARRIVA non l'ha corretta quella bestialità, O PERCHE' NON VUOLE DARLA VINTA AD UN PROFESSORE,  o più semplicemente perché non capisce dove stia l'errore - ambedue le locuzioni si pronunciano allo stesso modo, su per giù, e cioè 'band lider', questo almeno lo sa  anche ARRIVA, e dunque ha lasciato l'errore madrionale senza emendarlo: " Cantore, band lieder, songwriter, chansonnier e intrattenitore. Compositore di libri e scrittore di canzoni. Vinicio Capossela festeggia il vincolo con l’arte altisonante per natura, la musica. Venticinque anni di carriera ecc...". 
 In suo aiuto è arrivato un giornalista del quotidiano 'La Repubblica', Pietro D'Ottavio, che nella lenzuolata dedicata al cantautore riprende, a conclusione, le due righe del comunicato del teatro, ripetendo 'Band lieder'. Inutile perfino spiegargli che  ove quella espressione fosse esatta 'lieder' andrebbe scritto casomai 'Lieder', come esige la lingua tedesca, da dove è presa.
 Ma lui il problema non se lo è posto neppure, fidandosi della professionalità dell'ufficio stampa del teatro. E male ha fatto.

giovedì 17 dicembre 2015

Strumenti musicali in stazioni ed aeroporti:per sgranchirsi le dita !!!

Pianoforti 'a coda' e 'verticali' dislocati nelle stazioni ferroviarie italiane e in alcuni aeroporti. Per Roma, a Fiumicino ed alla Tiburtina, stazione del circuito 'grandi stazioni' che sembra un deserto per giunta sporco - per non dire di Stazione Termini, dove ad andarci da soli e di notte o sera tardi c'è da aver paura, perché si è trasformata in un punto di raccolta di disgraziati e sbandati,  di ubriachi o anche drogati
 Ora si vorrebbe con l'iniziativa 'Santa Cecilia al volo' ( Santa Cecilia nel senso di 'musica') - così è stata chiamata dalla storica Accademia romana di Santa Cecilia l'iniziativa inaugurata nientemeno che da Pappano, proveniente da Londra, appena sbarcato al Terminal 1 del 'Leonardo da Vinci', che ha suonato BRAHMS e MONTI su un lussuoso pianoforte a coda FAZIOLI ( un importante quotidiano ha titolato: Pappano sulle arie di Brahms; in realtà in quei luoghi aperti di aria ce ne'è fin troppa, Brahms meno!), e che proseguirà  nei prossimi mesi facendo sedere davanti a quei pianoforti giovani 'talenti', per volontà e magnanimità della medesima Accademia romana - far scorrere nuovo sangue, più ossigenato, nelle vene degli esangui ed anemici frequentatori di teatri e sale da concerto, in dispersione secondo i reggitori dell'Accademia. Con tale iniziativa ed altre consimili, si vorrebbe 'adescare' nuovo pubblico, andandolo a pescare anche nelle stazioni ferroviarie ed aeroportuali, dove ne passa tantissimo, per deportarlo nei luoghi deputati all'ascolto musicale, con quale lusinga non è chiaro.
 Chi viaggia per andare a sentire concerti o a vedere opere, sicuramente non condividerà tale iniziativa, anzi ne sarà infastidito, dal veder bistrattata in tale modo, dagli stessi musicisti professionisti, la loro musa. Chi, invece, viaggia per affari o divertimento, mai e poi mai modificherà il suo piano di viaggio vedendo suonare gente di ogni risma, anche strimpellatori senza vergogna.
 E allora? Allora - come abbiamo letto in una delle esilaranti cronache, però plaudenti, dell'iniziativa ceciliana, quegli strumenti serviranno, a chi lo vorrà , a SGRANCHIRSI LE DITA!
 Ma uno le dita non potrebbe sgranchirsele in altro luogo e, soprattutto, in  ben altro modo?

Non solo la banca, anche l'INPS è allenato al furto 'legale' con destrezza. E i CAF dovrebbero essere più concludenti

Lo scandalo delle piccole banche, salvate dal decreto governativo che ha messo in mezzo alla strada tanti piccoli risparmiatori ai quali, con l'inganno, sono stati fatti acquistare dei titoli rischiosissimi, non deve far passare sotto silenzio altri ambiti, si veda l'INPS, nei quali si scopre quotidianamente lo scandalo di furti 'legali', ' di Stato', ai danni delle persone comuni, come siamo anche noi; ma solo ai danni delle persone comuni, perché anche l'INPS non tocca mai gli interessi di tanti privilegiati.
 E così, mentre l'INPS ed il Governo non riescono - perché non vogliono! - a trovare il modo per mettere fine ai tanti ingiusti privilegi, altri casi si registrano nei quali l'INPS, ultimamente passata nelle mani del moralizzatore Boeri, ne approfitta per mettere le mani nelle tasche dei cittadini contribuenti. Eccone uno, tanto per esemplificare.
 A noi, per esempio, l'INPS,  che da poco è di Boeri, ma poco prima che lo fosse, ha rubato dieci anni esatti di contributi versati in conto 'indennità di fine servizio', lavandosene le mani ed addossandone la colpa tutta al diretto interessato che nessun mezzo ha  per veder riconosciuti i propri diritti.
 Dal 72 all'82 il derubato ha insegnato nelle scuole superiori romane; a fine '82 è passato ad insegnare nei Conservatori di Musica, dove  è poi entrato in ruolo, alla fine del '90, come titolare della cattedra di 'Storia ed estetica musicale'.
Alla fine di quel primo periodo di insegnamento nei licei, per effetto di una diversa regolamentazione anche giuridica dell'insegnamento esercitato - quello della Religione - il derubato in questione,o con esplicita richiesta, o l'amministrazione da cui dipendeva, autonomamente, cioè 'sua sponte', avrebbero dovuto calcolare l'ammontare e liquidare 'l'indennità di fine servizio' per quei dieci anni, che non potevano essere considerati alla stregua degli anni 'preruolo' ( per quella materia non esisteva nè un ruolo nè un preruolo, ma comunque era considerata come se lo fosse, di ruolo, dal primo anno all'ultimo) - che rappresentava una bella somma.
 All'epoca il diretto interessato non lo fece, pensando che l'INPS ( allora l'INPDAP) mai e poi mai si sarebbe reso responsabile di un simile furto - come altro chiamarlo? - come invece ha appreso al momento in cui è andato in pensione ed ha visto, nel calcolo dell'indennità, assenti quei dieci anni.
 L'Amministrazione della quale era dipendente al momento della pensione, il Conservatorio dell'Aquila,  gli ha richiesto documentazione attestante il versamento dei contributi relativi - si premette che l'interessato ha sempre insegnato in scuole statali, senza mai interruzione alcuna, e perciò gli uffici avrebbero potuto comunicare fra loro evitandogli anche questo calvario che poi si è rivelato inutile - oltre tutto non era possibile che lo Stato non versasse i contributi al Tesoro - ha prodotto tale documentazione completa; ha interessato la scuola che per ultima lo vide insegnante nel diverso insegnamento, e cioè l'Istituto tecnico industriale 'E.Fermi' di Roma, ma la risposta dell'INPS dell'Aquila è stata tassativa: quei dieci anni, relativamente all'indennità di fine servizio, lei non li vedrà mai.
 Si aggiunga che essendo trascorsi dall'82 al 90 più di cinque anni prima dell'entrata in ruolo nel secondo insegnamento, che altri anni sono stati cassati dal computo dell'anzianità di servizio che avrebbe dovuto esser di 42 anni, mentre  è stata calcolata in 38, con un ulteriore furto di cinque anni, e si capirà come anche l'INPS  abbia adottato il criterio operativo di 'togliere ai poveri, o alle persone normali, per dare ai ricchi, cioè ai potenti e privilegiati'.
 Anche per questo, quando sentiamo parlare di contributi di solidarietà  richiesti ai pensionati o di vitalizi elargiti senza il relativo versamento di contributi, ci girano le scatole, avendo già dato e, in proporzione, anche molto.
 Una appendice ancora.
 In tale occasione l'interessato si è rivolto ad un CAF, di cui conosceva l'esistenza, ma al quale mai gli era capitato di fare riferimento negli oltre quarant'anni di attività lavorativa. Ha consegnato ad un avvocato del CAF (all'occorrenza potrebbe anche fornire nome cognome e ufficio di appartenenza), al quale è stato indirizzato, tutta la documentazione relativa al caso  ma a distanza di quasi un anno, il legale del CAF nulla ancora ha fatto sapere, anzi è sparito, nonostante che più di una volta sia stato sollecitato e abbia risposto che, appena terminato l'esame della documentazione, si sarebbe fatto vivo.
 Altro CAF,  interpellato dal medesimo inetressato, che aveva presentato, a suo nome e per suo conto, come richiesto, ancora all'INPS, domanda di adeguamento di pensione, a seguito di altri  consistenti contributi versati, dopo l'attribuzione della pensione, di questa seconda pratica nulla gli è stato fatto sapere.
Perchè abbiamo raccontato anche questo caso? Semplicemente per denunciare l'inaffidabilità e l'inconcludenza, del CAF, almeno in questi casi, e per spronare i dirigenti, a controllare che vengano portate sempre in porto le pratiche che  loro sottoposte.  Altrimenti è difficile per chiunque solidarizzare con i CAF quando si sentono minacce di riduzione di fondi statali e, conseguentemente, di personale e di sedi.
 Si è capito che quel diretto interessato, oggetto  di tanti disguidi, è lo scrivente in persona?

mercoledì 16 dicembre 2015

L'indecente spettacolo della nomina dei tre giudici della Consulta si è finalmente concluso, facendo fuori FI

Ci sono volute ben 32 votazioni, e oltre un anno di tempo, per arrivare alla nomina dei tre giudici, di nomina parlamentare,  necessari per coprire i posti vacanti della Consulta. Enrico Mentana nell'annunciare l'ennesima votazione ha definito lo spettacolo 'poco edificante'. No, Mentana, lo spettacolo, durato oltre un anno, è stato indecente. Uno schifo. E perchè è durato tanto? Per i veti incrociati delle varie forze politiche  sui nomi proposti dallo schieramento avverso. Una porcheria. Poi sono venute fuori anche le motivazioni, altrettanto vergognose. In previsione della modifica della legge elettorale, non si voleva che alla Consulta, alla quale eventualmente rivolgersi per  la valutazione della sua costituzionalità, dei tre giudici da eleggere, non ve ne fosse nessuno contrario alla sua approvazione. Insomma una legge, pur importante, metteva in secondo piano l'ampia materia che  quotidianamente viene sottoposta al giudizio della suprema Corte.
 Renzi ha fatto fuori Forza Italia, si è accordato con il Movimento Cinque stelle,  e ha fatto eleggere  Barbera, Modugno e Prosperetti. Alla faccia di Berlusconi il quale, come fa un capo azienda che in essa ha il potere di vita e di morte, avrebbe voluto dei tre che uno almeno fosse di centro destra. Non importa al capo azienda che la persona prescelta abbia le competenze  necessarie, importa di più che sia della propria parte politica.
 E del resto Berlusconi  è da sempre abituato a comportarsi nei confronti del Parlamento come fosse una propaggine della sua azienda. Infatti vi ha travasato  suoi dipendenti come Romani, la Bergamini ed altri, tutti suoi fedelissimi che anche quando sono fuori dall'azienda, restano suoi dipendenti.
 Si dirà che Berlusconi non è l'unico a comportarsi da padrone. Vero, c'è anche Renzi,  con la differenza che lui i suoi collaboratori  li pesca non nell'azienda che non ha, ma nella Toscana o direttamente a Firenze, dove fino a qualche anno fa comandava.

Teatro alla Scala: sovrintendente e direttore del corpo di ballo

Finalmente ha avuto luogo. lunedì 14, l'atteso Consiglio di amministrazione della Scala, quello nel quale Pereira  sarebbe stato fatto oggetto di numerose accuse, dalle quali avrebbe dovuto difendersi, compresa quella della disaffezione di tanti artisti dal teatro milanese, con conseguenti defezioni, da quando lui è arrivato al vertice, al posto di Lissner. Pereira ha fatto notare, e dunque è stato assolto, che tali defezioni si riferivano al periodo ed ai titoli in cartellone,  sotto la doppia gestione Lissner-Pereira e che dunque l'affidabilità del teatro non è compromessa.
Pereira ha dichiarato,  inoltre, per rassicurare e scornare quanti lo volevano sotto accusa, che  nessun titolo si cancella dalla stagione del teatro, che la Bartoli  tornerà a cantare dopo che aveva disertato il teatro per problemi di salute, e che della novità di Kurtag, commissionata da tempo  al musicista,  ancora dal Festival di Salisburgo, e che è in programma alla Scala, nulla ancora è definito perché l'opera non è terminata. Quando in gennaio lo sarà, si  potrà parlare degli interpreti e dell'allestimento. Comunque c'è tempo visto che è programmata per il prossimo novembre.
Insomma Pereira s'è ben difeso alla faccia di chi lo avrebbe voluto già in qualche modo sfiduciato. Anche sul fronte dei conti del teatro Pereira ha annunciato l'arrivo di nuovi sponsor e di altre entrate. Naturalmente i giornali, diffidenti - se lo fossero sempre,  e non solo con il bersagliato del momento! - hanno scritto che una cosa è annunciare l'arrivo di nuovi sponsor o soci, altra vedere i soldi versati nelle casse del teatro. Ma ciò vale per tutti.
 Sempre alla Scala, il direttore del corpo di ballo uscente, in partenza per Mosca, dove assumerà la responsabilità del ballo al Bolshoi, ha denunciato il progressivo invecchiamento dei nostri ballerini e la loro conseguente permanenza nei corpi di ballo, con grave danno sia per il ballo in sé, sia nei confronti dei giovani che per ragioni di organico, finchè i vecchi non schiodano, non vi possono entrare - e nel ballo della Scala ci sono  giovani di grande talento e valore che però hanno contratti a tempo determinato e temporanei.
Le leggi sul progressivo procrastinamento dell'uscita dal mondo del lavoro sono deleterie e controproducenti per i ballerini- il limite del 45 anni, ora è stato portato a 46 - ma questo il governo di Renzi o l'INPS di Boeri non lo sanno e nessuno glielo dice.

Per tutti quelli che si riempiono la bocca con 'aiutiamo i giovani' ecco un nome: Filippo Gorini. Cancellato il Concertone di fine anno a Roma

Vent'anni,  Filippo Gorini, ha vinto l'altro ieri a Bonn il Concorso pianistico 'Beethoven Telekom mett'; per lui non è che l'ultimo concorso o premio vinto, perchè a vent'anni di premi e importanti piazzamenti  in diverse competizioni internazionali, ne ha collezionato parecchi. Un nome nuovo, anche se il cognome - per semplice omonimia - rimanda a Gino Gorini, pianista di razza.
 Ora tutti quelli che si riempiono ogni giorno la bocca con l'abusato ' largo ai giovani' o 'aiutiamo i giovani' ora hanno un  nome sul quale puntare, perché sostengono tutti che  Gorini, Filippo è l'astro nascente del pianoforte, ed è anche italiano.
 Il Concertone di fine anno a Roma non si farà. Non ci sono soldi, s'è giustificato Tronca - ed io non devo guadagnarmi consensi.  Roma sembra piombata  nel più oscuro e penitenziale periodo giubilare, senza che il Giubileo, che nei secoli passati teneva chiusi teatri, annullava feste e mascherate, c'entri qualcosa.  Anche Piazza Navona resterà al buio, ci saranno solo giostre e tirassegno; ed anche in questo secondo caso non per effetto della penitenza e neppure della misericordia sventolata da Papa Francesco. Per Piazza Navona ha contato la gara truccata per i possessori dei banchi, il Giubileo anche  in questo caso non c'entra.
 Ma una possibile soluzione per il 'Concertone' viene dai Verdi dell Capitale: mandiamo in piazza i ragazzi del Conservatorio di santa Cecilia, suoneranno gratis, quindi non costano nulla, e per allestire il palco, autotassiamoci. Che bella trovata!  Si capisce che i  Verdi non sanno molto di concerti. Far suonare all'aperto quasi di notte, non è una festa, ma un martirio. E poi non si possono sfruttare i giovani - è il caso di ribadirlo, proprio mentre segnaliamo ai responsabili delle nostre istituzioni musicali la bella vittoria di Filippo Gorini - senza dare loro nulla in cambio, neanche in termini di prospettive per il futuro.
 Infine, i giovani del Conservatorio di Santa Cecilia di Roma, lasciateli in pace. Tutti li vogliono, ormai fanno concerti quasi ogni giorno e dappertutto, anche in luoghi insani, di fronte a pubblici indifferenti, mentre avrebbero necessità di dedicarsi con tutte le loro forze agli studi musicali.
 L'unico che è venuto incontro alle migliaia di studenti dei nostri Conservatori è stato il premier Renzi che ha introdotto nella Legge di stabilità un bonus di 1000 Euro per l'acquisto di uno strumento musicale nel 2016. Non è il paradiso in terra, ma è già qualcosa. E nessuno ci aveva mai pensato prima.

Lo zero virgola non conta neanche nello share auditel, come in economia

Imperversa la polemica sull'aumento del PIL in Italia, che si muove a fatica ed arranca  nel terreno dello 'zero virgola', senza raggiungere neppure il misero  traguardo dell' uno per cento. Un aumento del PIL di tale misura non fa fare salti di gioia a nessuno.
 Mentre invece, nel caso dell'auditel,  lo share dello' zero virgola' o di poco superiore all'uno per cento fa  esultare i manipolatori della nostra televisione, specie quelli delle reti 'specializzate in 'cultura'.
 Questa esultanza, esibita nei casi in cui un prodotto televisivo deve essere, per ragioni estranee al contenuto medesimo, per forza messo in onda, non viene invece usata,  per non affossare un prodotto che non va giù a nessuno, anche per la ragione che non è una mangiatoia come le altre, che però è valido, anche se non fa ascolti come il suo compare precedente, che se la ride sotto i baffi.
Prendiamo il caso delle inaugurazioni scaligere che vengono regolarmente trasmesse da RAI 5, ogni 7 dicembre,  ma solo da RAI 5. Dopo che gli illuminati professori che reggevano la tv di Stato un tempo, capeggiati da Enzo Siciliano, sfidarono il mondo ed il buon senso, mandando in onda un drammone verdiano che fece scappare milioni di telespettatori dalle reti generaliste. Per due ragioni comprensibili a tutti fuorché ai professori: non era un titolo attinto al grande repertorio, e la sua durata non era compatibile con i tempi della tv generalista. La duplice cecità potè finalmente far dire ai soloni televisivi che la musica ed il melodramma non erano compatibili con la tv generalista. E successivamente  ancora furono loro a dettero il colpo di grazia alle orchestre RAI, ritenute inutili. Non potevano mandarli altrove a far danni?
 Negli ultimi anni i dati di ascolto sono sempre stati imbarazzanti. 'Lohengrin' con 202.000 telespettatori (share 1,02); 'Fidelio' con 314.000 ( share 1,54); 'Giovanna d'Arco' 316.000 telespettatori (share 1,60). Un successo? Affatto. Ma l'inaugurazione della Scala che manda in visibilio tanti nel mondo intero, va trasmessa comunque, che è poi quello che fanno i diligenti reggitori di RAI Cultura e RAI 5. Potremmo aggiungerci anche l'inaugurazione del San Carlo di Napoli, con 'Carmen', vista , se non andiamo errati, da non più di 220.000 telespettatori, mentre impazzavano i contatti dei social, dei quali il teatro è andato fiero.
Ma simili chiari di luna, pur suggestivi, non possono rischiarare la notte della musica in tv. Ed allora vien da chiedersi se veramente ai dirigenti della nostra tv di Stato importa che la grande tradizione del melodramma italiano venga mantenuta viva, e se hanno mai preso in considerazione i possibili strumenti per sostenerla.
Non  stiamo pensando, naturalmente, a 'Prima della prima', con il suo ristretto salottino di telespettatori, di cui sinceramente non sappiamo neanche più che fine ha fatto.
Pensiamo invece ad una 'lavorazione' efficace dei titoli più noti del melodramma, quale fece e mise in onda, a cavallo degli anni Duemila, e per sei estati consecutive, RAI 1, con la trasmissione 'All'Opera!' ,Antonio Lubrano narratore, la cui durata, quella sì, era compatibile con i tempi televisivi e che - udite udite -faceva ascolti che oscillavano, nello share fra l'8% e fino al 14%;  e i  telespettatori  non di rado superavano anche di molto il milione, senza mai scendere sotto la soglia degli 800.000.
Insomma un programma di cultura, reso popolare dalla semplice formula che, riducendo nella durata un titolo d'opera popolare, lo raccontava  via via, mentre dello stesso faceva ascoltare i brani più celebri.
Perchè quelle numerose puntate, una  sessantina, graditissime dal pubblico più di qualunque altra trasmissione  dello stesso genere, non vengono rimandate in onda, come si sta facendo con trasmissioni di 'storia della musica' - come quelle di Enzo Restagno - che hanno fatto il loro tempo e che non attrarranno neanche uno spettatore in più oltre quelli sottotraccia che RAI 5 solitamente mette davanti al teleschermo,  o come come ad esempio 'Petruska' che conta nel suo salottino di telespettatori poche decine di migliaia di unità?
La ragione è molto semplice, e val la pena ripeterla fino alla noia. Ai dirigenti della nostra tv di Stato, di ieri come anche di oggi, della musica non fotte niente. La trasmettono perchè occorre farlo, come si fa con i premi noiosi ed inutili con i quali si inzeppa la tv estiva,  ma senza mai fare una riflessione sul come  e con chi, e quale, per offrire un prodotto di qualità nello stesso tempo gradito dal pubblico che perciò lo seguiva, come faceva - lo ripetiamo - con 'All'Opera!'.

Santa Cecilia al volo. All'Aeroporto romano di Fiumicino

Importata dall'Inghilterra, nazione di ben altra tradizione musicale rispetto all'Italia, giunge nelle nostre stazioni ferroviarie e negli aeroporti la consuetudine - meglio: la moda - di piazzarvi un pianoforte ( talora, come nel caso di Fiumicino, anche strumenti di pregio, come i Fazioli) per offrire ai viaggiatori, solitamente fuori di sè per i continui disservizi, una occasione di divertimento, o di semplice impiego del tempo, un passatempo gratuito a quelli che hanno più faccia tosta e sono affetti da mania di esibizionismo. soprattutto a questi.
Un pianoforte, solitamente verticale con seggiolino in dotazione, fissato con catene al pianoforte che invita a sedersi ed a strimpellare, salvo il caso in cui qualcuno, che il pianoforte lo sa suonare, non si decida a mostrare a tutti come si fa.
 Al punto che perfino la storica Accademia di Santa Cecilia, invia, per oggi, al Terminal 1 di Fiumicino, nientemeno che il suo direttore musicale Antonio Pappano accompagnato dalla 'spalla' della sua orchestra, Parazzoli, i quali suoneranno Brahms per la delizia di coloro che entrano ed escono dai negozi, o fanno la fila smadonnando per il controllo passaporti o che magari dicono fra sè e sè, anche qui ci dovevate rompere con questa musica?
 Santa Cecilia non voleva essere da meno della Scala che in autunno ha portato a Malpensa  L'elisir d'amore' di Donizetti diretta da Fabio Luisi, i cui costi forse ha sostenuto qualche sponsor (Mapei di Squinzi) ma i cui effetti sulla vita musicale del paese nessuno ha potuto verificare né calcolare.
 Gli stranieri che vengono in Italia vanno a sentire l'opera in teatro e non in aeroporto e gli italiani -compresi  Pereira,  che con Squinzi e rispettive consorti sedevano ai tavoli di un bar dell'aerostazione, a bere drink e spizzicare salatini e tortillas al pomodoro - si saranno chiesti. ma chi sono questi matti ed hanno tirato dritto.
 Sarebbe bello sapere cosa l'Accademia di Santa Cecilia spera di ricavare da queste iniziative senza senso, oltre quello di ingraziarsi le società 'Grandi stazioni' e ADR dell'aeroporto, che siedono - forse- nel CDI della Fondazione. Per il resto verrebbe da domandare ai dirigenti dell'Accademia perché richiedono il massimo silenzio  durante i concerti e perchè combattono con tutte le forze la concezione per cui la musica è sottofondo o  mezzo di intrattenimento.

martedì 15 dicembre 2015

Dal Petruzzelli di Bari al Lirico di Cagliari, dove sì è insediato il duo Orazi-Meli: Sacra Muratoria Unita

Il duo Orazi-Meli al vertice del Teatro Lirico di Cagliari  è una vera  sorpresa e pone non pochi interrogativi.
Orazi viene nominato sovrintendente, sconfiggendo di fatto il suo antagonista Meli - uscito dal teatro appena l'anno scorso, per far posto alla disastrosa gestione della signora Spocci che è dovuta tornare a casa per non essere stata capace neanche di approntare un programma - e  alla prima riunione del CDI, chiama al suo fianco Mauro Meli, come direttore artistico.
La notizia era stata anticipata da Luigi Boschi nel suo blog  'parmense'  - di recente oscurato dalla magistratura, perchè raccontava, in taluni in casi in anticipo su tutti, fatti di cui si era tutti all'oscuro denunciandone le manovre non sempre specchiate da cui erano scaturiti. Tutti l'avevano smentita, perchè Boschi suggeriva di considerare la nomina di Meli frutto di un accordo preventivo alla nomina di Orazi. E come altro giustificare tale decisione al primo CDI del teatro cagliaritano?
Insomma Meli cacciato o uscito dalla porta è rientrato dalla finestra, e forse ad Orazi, i poteri occulti dei quali si paventa l'intrusione ( 'muratori' e non solo), hanno fatto firmare un impegno prima di salire al vertice di Cagliari: appena nominato chiama al tuo fianco Meli. Capito? E Orazi 'lo sventurato', ubbidì. A seguire, per modo di dire, il CDI orgoglioso di tale salomonica soluzione ha nominato Meli direttore artistico.
 Solo la 'Sacra Muratoria Unita' ha lavorato a Cagliari? E la Barracciu, contro il sindaco,  ma da sempre protettrice e sponsor di Meli, è rimasta a guardare, nonostante tutto il suo ascendente su Renzi?
 Adesso Orazi, che avrebbe risanato i bilanci del Teatro Verdi di Trieste ( secondo il Commissario straordinario del Governo, Pinelli che lo ha scritto nella sua relazione semestrale, appena pubblicata) ma non è stato confermato sovrintendente, essendogli stato preferito Pace , deve fare altrettanto a Cagliari,  ripianando i debiti lasciti da Meli, il quale nega ma i fatti lo contraddicono. Ma deve fare anche attenzione a chiudere sempre a chiave la cassa del teatro, e a girare con pochi soldi in tasca, perché Meli  è sempre in agguato, anche se i buchi eventualmente lasciati nel bilancio, non li ha fatti per sé ma per la gloria del teatro d'opera e per qualche agente.
 C'è però un vantaggio da non sottovalutare in questo terzo ritorno di Meli a cagliari, e cioè che potrebbe aiutare Orazi a entrare nei segreti del bilancio che conosce ancor meglio del sovrintendente, per risanarlo. Si spera.
 Un'ultima annotazione che è più una curiosità: nella relazione semestrale del Commissario Pinelli, non compare mai il Teatro lirico di Cagliari.  Perchè? Forse che non ha chiesto aiuto per ripianare i bilanci, o non ha risanamenti da fare? Oppure,  perchè i dati relativi all'ultima gestione, neanche quelli, sono pervenuti al Commissario, come prevede la legge?
 Il Petruzzelli di Bari, che invece gli aiuti al fondo governativo per il risanamento li ha chiesti, retto da Massimo Biscardi, per molti anni sodale 'artistico' di Meli al Teatro di Cagliari, sembra incamminarsi per le 'vie del grande oriente', partendo da Ravenna, dove si esibisce spesso e da dove ha richiesto a gran voce Chiara Muti, per la regia di 'Nozze di Figaro', per la quale avrebbe fatto bene a chiedere la preziosa consulenza delle due autrici di 'Susanna non viene', una delle quali gli avrebbe potuto fornire indicazioni preziose anche in altri campi, di cui è riconosciuta esperta.
Sono spuntati nella programmazione sinfonica alcuni nomi di compositori di oggi, gli stessi che sono ricorsi in passato in elenchi muratoriali; all'appello manca solo una ideologa di tale congrega, attiva anche in campo musicale. La notizia l'abbiamo appresa dall'ultimo numero di 'Contrappunti', diretto da Franco Chieco che, per sopraggiunti limiti di età (beato lui che è arrivato così arzillo alla veneranda età raggiunta, cessa (forse?) del tutto le pubblicazione, dopo vent'anni di onorato servizio). Naturalmente 'Contrappunti', sempre a fianco del Petruzzelli, dopo l'arrivo di Biscardi ma anche prima, non parla di congreghe; la riflessione è venuta a noi, dopo la lettura di quei nomi, gli unici 'contemporanei',  segnalatisi negli ultimi anni per la loro 'inattività' nel campo della composizione, controbilanciata dalla 'superattività' nel campo della gestione di istituzioni musicali.

lunedì 14 dicembre 2015

Il buco dell'Opera di Firenze è una voragine

Quando abbiamo letto la relazione del Commissario che amministra e gestisce il fondo per il salvataggio (dai fallimenti) del comparto delle Fondazioni lirico-sinfoniche, ci sono venuti i brividi vedendo che la cifra, in assoluto la più alta, di cui ha bisogno una delle 14 Fondazioni per salvarsi, è quella dell' Opera di Firenze: 34 milioni di Euro. Che devono servire, essendo concessi dallo Stato alle Fondazioni in difficoltà, a coprire il deficit accumulato negli anni, non a pagare  nello stesso tempo la cattiva amministrazione che, secondo il Commissario, è da ravvisare in alcuni comportamenti non ancora del tutto in linea con quanto previsto dalla legge,  almeno per il periodo del primo semestre  2015, oggetto della  sua relazione.
 Le fondazione che usufruiscono di tali somme per sanare i debiti pregressi relativi al bilancio ed al patrimonio, se non si mettono in regola entro il 2016, e cioè se non fanno corrispondere attivo e passivo, entrate ed uscite, devono essere dichiarate fallite, chiudere ecc.. con tutte le conseguenze legali di simili situazioni.
 Ora l'Opera di Firenze è quella che sembra correre maggiori rischi per il presente ed il futuro.
 Adesso a Firenze c'è il commissario, un commissario di fiducia del premier e del suo socio Nardella, e sarebbe davvero il colmo se  proprio il teatro toscano - quello nel quale il premier Renzi, s'è allenato a non addormentarsi durante le recite d'opera dei drammoni wagneriani, ai quali l'ha sottoposto Zubin Mehta, negli anni passati,come ha dichiarato pensando di essere spiritoso - risultasse fra i meno virtuosi e fosse costretto a chiudere. Ed a lasciare incompiuto il nuovo teatro, che  ha bisogno ancora di una bella manciata di milioni ( 150, se non andiamo errati) per essere terminato, altrimenti si andrebbe ad aggiungere alle già numerose incompiute della storia, nel qual genere il nostro paese vanta un primato mondiale.
 E' chiaro che ora il sovrintendente, già commissario di fiducia di Renzi, Bianchi, correrà ai ripari, facendo tesoro anche dei consigli elargiti gratuitamente - non come quella montagna di soldi per ripianare le voragini del debito che comporta il pagamento di interessi seppure agevolati -  dal Commissario del Governo attraverso la sua relazione semestrale, pena il fallimento, come abbiamo detto.
 Ma come si è giunti a questa situazione? Chi li ha fatti tutti quei debiti? Si può dare la colpa a quella poveretta della Colombo, l'ing. Francesca Colombo, che ha governato il teatro per poco più di un anno, prima di Bianchi, e che appena arrivata fu costretta a dichiarare che non aveva i soldi per pagare gli stipendi, pregando quindi i dipendenti di pazientare per un pò? Certo che no. La colpa  è degli amministratori del teatro che si sono succeduti alla gestione commissariale di Nastasi, che a avrebbe messo le cose a posto -altrimenti che commissario del ciufolo è stato? - e che hanno preceduto quella della Colombo, e cioè Francesco Giambrone e Paolo Arcà, sovrintendente il primo, direttore artistico il secondo.
 Giambrone, prima e più di Arcà, ha la  responsabilità di quel buco madornale, fuori di dubbio. E che ne  è stato dopo? Giambrone s'è sfilato appena intravista la possibilità di esser cacciato; Arcà s'è fermato per un po ancora e poi, quando la Colombo stava per abbandonare, in tempo anche lui, è andato a svernare altrove, dicendo che 'aveva altri progetti più interessanti cui dedicarsi'.  E  poi ?Poi, semplicemente, il sindaco di Palermo, al cui servizio Giambrone ha sempre lavorato, l'ha nominato sovrintendente del Teatro Massimo della capitale dell'isola?
 Ora se un amministratore dopo aver male amministrato viene anche premiato ( il caso in Italia è abbastanza frequente, come insegna anche quello recente di Banca Marche, con Bianconi) cosa ci si può attendere in tutta risposta? Che vada a fare buchi o voragini altrove.

venerdì 11 dicembre 2015

Rassegna di musica sacra a Roma, durante il Giubileo. Cose mai udite!

Se uno pensa ad una rassegna di concerti di musica sacra con cadenza regolare e ravvicinata, come molti sono stati indotti a pensare leggendo l'enfasi con cui è stata annunciata l'iniziativa dei 'Concerti per il Giubileo' da Fuortes, che non perde occasione per far parlare anche a sproposito della sua azione riformatrice  -  gli ultimi annunci riguardavano bar e ristoranti all'Opera di Roma, e  prossimamente forse annuncerà anche una pista di pattinaggio nel largo antistante il teatro - è fuori strada.
 Perchè nei fatti, benchè di una rassegna di concerti si tratti , i concetti annunciati da qui a maggio,  mentre per i mesi successivi e fino a novembre non si sa nulla e forse altri non ve ne saranno, i concerti annunciati sono quattro di  numero, in sei mesi circa. E tali concerti vedranno protagonisti, data la loro frequenza  così ravvicinata, uno ogni quarantacinque giorni, orchestra e coro del Teatro dell'Opera di Roma, il Coro del Pontifico Istituto di musica Sacra, ed il Coro della Cappella Sistina. L'unico elemento di pregio e di rilievo, in una rassegna che nessun altro rilievo e pregio presenta, è forse il luogo che ospita tali radi concerti, e cioè la Chiesa di sant'Agostino, nell'omonima piazzetta, con Caravaggio indimenticabile. Noi l'ultima volta che l'abbiamo visitata, tanti anni fa, alla fine degli anni Settanta, al punto che l'abbiamo quasi dimenticata completamente, fu al funerale di Nino Rota che abitava  a due passi dalla chiesa, in Piazza delle Coppelle.
 E se Fuortes se la canta e suona come vuole ( " un affascinante percorso che andrà dal Gregoriano. a ..," ha dichiarato il sovrintendente), non fa meglio Tronca, il superprefetto che oltre che cieco ( non si è accorto di aver emanato un decreto per la circolazione a targhe alterne in un giorno in cui c'era lo sciopero dei mezzi di trasporto pubblici!) sembra essere anche sordo, se arriva a dichiarare a proposito della rinomata rassegna, che si tratta di una iniziativa 'di grande livello culturale; perché attraverso la musica, nell'anno del Giubileo, la luce deve prevalere sulle tenebre. Quando ho visto questo programma sono rimasto colpito dalla straordinaria ricchezza delle scelte '. Non è fuori luogo tutta questa enfasi per quattro concerti quattro, in sei mesi, con tre istituzioni che mettono insieme le loro rispettive capacità e competenze?
Ci sembra di rivedere un film  già visto: quello sbandierato dall'Accademia di Santa Cecilia, che non partecipa a questa grande rassegna ( ma che fine ha fatto la serie di concerti per il Giubileo annunciata e mai resa nota?),  con il 'giro del mondo in tre orchestre', che poi erano in verità 'un'orchestra e mezza'. Ci sembra che in questi anni si sia del tutto  smarrito il senso della misura e del ridicolo.
 Che dovevano dire allora all'epoca del grande Giubileo del 1600, quando alla Chiesa nuova venne eseguita la 'Rappresentazione di anima e di corpo' di Emilio de' Cavalieri, un capolavoro commissionato al musicista romano, da poco rientrato nella capitale da Firenze, in occasione di quello storico giubileo?
 Oggi non ci sono soldi per fare qualcosa di analogo, perché quelli messi a disposizione, pochi comunque, si sono in parte  già spesi per tappare le infinite buche in città, e non tutte, e in cert parte se li sono fottuti tutti quei ladri di cui ogni giorno la cronaca racconta.

La comunicazione al tempo del Giubileo. Anche Travaglio le spara grosse.

'Il fatto quotidiano' come tutti gli altri giornali, anzi peggio. L'altro ieri, in prima pagina, un titolo con foto, in tutta evidenza, diceva Olmi: "Questo Giubileo è un film sbagliato". 'Il regista curò l'Anno santo del 2000'. Il titolo rimandava a pag. 9 dove si leggeva l'intervista al noto regista, firmata da Carlo Tecce. E cosa si leggeva? Che Olmi elogiava Wim Wenders, chiamato a girare il 'film' dell'apertura della Porta santa in san Pietro, martedì 8 dicembre. Un film analogo a quello che lui, Olmi,  era stato incaricato di girare nel precedente Giubileo del 2000.  Nulla da dire secondo Olmi, salvo un piccolo neo: quella folla di giornalisti e fotografi alle spalle di Papa Francesco, mentre fa il suo ingresso nella Basilica, dopo aver sospinto i battenti, duri ad aprirsi, della Porta santa. Commovente invece l'incontro dei due Papi e promosso a pieni voti tutto il resto. Bravo Wenders! Questo in sintesi. Ma allora dov'è il 'film sbagliato' del titolo?  Travaglio, deve darsi una calmata. Se l'etichetta posta su un prodotto non lo definisce con esattezza, come nel nostro caso, al prossimo giro di acquisti quel prodotto verrà lasciato negli scaffali - in edicola, nel caso del quotidiano.
 Ma cominciano a circolare altre  informazioni, alcune inesatte; mentre altre sembrano essere taciute appositamente, mentre non dovrebbero.
 Le prime riferiscono di un ordine dato da chi sovrintendente alla sicurezza a lasciar passare più pellegrini (e, di conseguenza, ad accelerare i controlli) perché la folla di Piazza san Pietro, meno folta del solito, rischia di dare l'informazione preventiva che questo Giubileo, in fatto di pellegrini calati a Roma, sarà un flop. Attenti, la sicurezza in questo momento è molto più importante della piazza piena solo a metà.
 E poi ci sono notizie che i giornali non danno senza che se ne comprenda la ragione. Ci ha pensato a rimediarvi, la tv dell'intrattenimento. I barboni, o clochard,  accampati in centro e in luoghi comunque visibili, taluni anche con le proprie  roulotte o macchine da rottamare, sono stati trasferiti, di forza, in periferia. Il giornalista chiede ad uno di essi, fatto venire in studio, se l'operazione è stata dettata da ragioni di sicurezza. No, risponde più d'una volta il clochard al giornalista duro a capire: no, ci hanno detto che dovevamo sloggiare per non far vedere ai pellegrini che verranno a Roma, questo 'indecente' spettacolo, e che sarebbero tornati ai loro precedenti rifugi di fortuna, a Giubileo terminato. Che poi sarebbe lo spettacolo di chi non ha un tetto sotto il quale rifugiarsi, un letto nel quale dormire, un pasto caldo ogni giorno.
Ma allora? Quel Papa Francesco che parla di un Giubileo che deve servire per andare incontro ai poveri, e che fa costruire bagni sotto il colonnato per offrire un pò di ristoro a chi vive sotto qualunque portico, protetto da cartoni, all'aperto e non può mai lavarsi, è lo stesso Papa Francesco che chiude gli occhi su una simile disumana 'deportazione', per non far toccare con mano ai pellegrini il fenomeno della povertà? Papa Francesco, faccia sentire la sua voce, altrimenti la sua tacita complicità fa gridare vendetta.

Gustavo Zagrebelsky e la passione per la musica

L'ex Presidente della Consulta, giurista di altissimo profilo,  Zagrebelsky, è tornato a scrivere su Repubblica, il quotidiano che negli ultimi mesi ha lasciato, trasferendosi sul 'Fatto Quotidiano' a causa della sue critiche a certi provvedimenti - soprattutto quelli relativi alla riforma costituzionale - non consonanti con la linea ufficiale del quotidiano di proprietà di De Benedetti, diretto da Ezio Mauro.
 Ma vi è tornato non per parlare di politica o di legge - come ha sempre fatto - bensì di musica, materia  nella quale le competenze di Zagrebelsky sono altissime, quasi pari a quelle giuridiche, come stiamo per raccontarvi.
  La Repubblica ha pubblicato un suo intervento, di argomento musicale, tenuto all'Università di Bologna, per ricordare il suo ex rettore, ingegnere elettronico, Pier Ugo Calzolari, scomparso dopo lunga malattia un paio di anni fa, e che sicuramente fu amico del giurista/musicista per passione.
 Una lezione di bella musica - 'musicologia' diremmo se la parola non risultasse ostica all'orecchio di tanti amatori di musica - incentrata sul 'concetto di silenzio' e sulla musica del silenzio medesimo. Il silenzio dal quale la musica nasce, il silenzio nel quale la musica, al termine, ritorna; silenzio prima di tutto fisico,  ma immagine del silenzio interiore, senza il quale nessuna musica - nessuna armonia - è possibile percepire.
Sul tema, di recente ha riflettuto anche il violoncellista Mario Brunello, che Zagrebelsky cita, e una università 'per tutti' - quella di Anghiari- tiene perfino dei corsi. Insomma un tema dibattutissimo, in tempi in cui sembra che il silenzio si trovi solo negli abissi marini e nelle profondità della terra, ed in nessun altro luogo, mentre sulla terra  se ne avrebbe davvero bisogno, e non solo per ragioni di  musica. Ad esempio,  anche per fermarci ed indurci a riflettere. Zagrebelsky analizza anche alcune composizioni musicali, o passaggi di esse, con fine intuito musicale e psicologico. Un gioiello, da leggere e rileggere.
 Della passione musicale del grande giurista non sapevamo in molti. Noi, invece, da oltre dieci anni. E l'occasione ci piace raccontarla.
Ce ne parlò la prima volta il nostro carissimo amico Salvatore Sechi, consigliere della Presidenza della repubblica ed amatore di musica, recentemente scomparso. Ci disse dei concerti che il Presidente della Consulta teneva per pochi amici  nel palazzo della Consulta - ci pare di ricordare a Natale od in qualche altra occasione - suonando al pianoforte Beethoven o Mozart o Chopin. E lui, Sechi, che suonava il fagotto, aveva per Zagrebelsky  un'ammirazione sconfinata.
 Quando nel 2004 avemmo l'opportunità di dirigere il 'Festival delle Nazioni' di Città di Castello, organizzammo alcuni incontri, ospitati nella magnifica cornice di Palazzo Vitelli, con personalità che pur non essendo musicisti, erano accomunate dalla travolgente passione della musica. Invitammo appunto Salvatore Sechi,  Giovanni Iudica (autore allora di una pregevolissima ricerca su Gesualdo da Venosa ), Michele Mirabella, regista di melodrammi, e avremmo voluto invitare anche Zagrebelsky. Il nostro amico Sechi ci fece avere un appuntamento con l'allora presidente della Consulta che ci ricevette immediatamente. Gli manifestammo la ragione principale del nostro incontro: invitarlo a Città di Castello, a parlare della sua passione per la musica. Lo avrebbe intervistato Antonio Lubrano con il quale in quegli anni facevamo per RAI UNO 'All'Opera!'.  Parlammo di musica, dei suoi amici musicologi torinesi, Pestelli in primis, e la nostra idea gli piacque. Ma ci disse, convinto, che non  avrebbe potuto, fino a quando fosse stato presidente della Consulta. Garbatamente ci spiegò che  in tale sua carica - la terza dello Stato - non  era mai intervenuto in pubblico se non nei casi e per le ragioni richieste da quel suo importante ruolo. E, per consolarci, aggiunse: se aspetta solo qualche mese - da lì a poco quel suo incarico sarebbe terminato -  sarò felicissimo di venire a parlare di musica, magari l'anno prossimo, mentre noi stavamo già pensando ad un festival dedicato interamente a  Mozart, alla vigilia delle celebrazioni  del 2006, duecentocinquant'anni dalla nascita. Le cose, poi, andarono diversamente, perché per dissensi con il consiglio di amministrazione del festival castellano - a causa della eccessiva ingerenza del consiglio nelle questioni relative alla direzione artistica -  preferimmo lasciare il festival. Che ha ripreso la sua routine, come aveva già fatto negli anni precedenti la nostra direzione, ed ancor continua.