Non è difficile rendersi conto che anche lo scandaletto della lite con parolacce fra Chailly ed il più fumantino della coppia di registi, Leiser, raccontato per filo e per segno con il 'ferro' inaugurale ancora caldo, era stata montata a bella posta per disturbare una serata, quella inaugurale, che per la prima volta, in teatro, era filata liscia come l'olio, in ogni sua componente, compresa quella registica che, negli anni passati, aveva sempre registrato qualche aperto dissenso.
Per la Giovanna d'Arco le cose erano andate, nonostante i timori, anche di altro genere, della vigilia, molto bene, ed allora per rovinare la festa , ecco lo scandalo della lite con insulti, registrati, fra il regista e Chailly.
Qualche polemicucia della vigilia, aveva irritato quanti non credono di poter già giudicare l'operato del sovrintendente Pererira che sta a Milano da poco più di un anno, dopo i dieci di Lissner. In Scala si mormora - s'era letto - che non corra buon sangue fra Pereira e Chailly. Ma come non hanno neppure cominciato e già 'litigheno'- avrebbe detto Petrolini. No, fra me e il direttore tutto a posto - aveva precisato Pereira.
La lite fra Chailly e Leiser, di riflesso, va a toccare Pereira che avrebbe invitato la compagnia registica con la quale sembra che Chailly non si sia trovato d'accordo; e lo tocca una seconda volta perchè non avrebbe saputo mettere pace fra i contendenti. Fatto gravissimo, ed unico nella storia e nelle storie dei teatri?
Macchè. Solo dopo aver diffuso ai quattro venti i particolari della lite, ma solo allora, con notevole ritardo, si viene a sapere, attraverso il lungo racconto delle liti più clamorose, che quasi in ogni spettacolo della precedente gestione scaligera - quella di Lissner con Fournier al seguito - ci furono liti feroci fra Barenboim e Dante, per Carmen, e Barenboim e Carsen, per Don Giovanni. E ve ne fu una terza fra Gatti ed il regista russo della Traviata.
Come mai di queste liti - alcune delle quali in Scala assicurano furiose - nulla si seppe in giro, nulla si scrisse sui giornali, neanche su Repubblica, che, al contrario, nel caso di Pereira, ci inzuppa ben bene il pane della sua autorevolezza presso il lettore snob? Repubblica forse non accetta che la nuova dirigenza, d'accordo con il direttore musicale, punti sul grande repertorio italiano, a differenza di quanto aveva fatto Lissner nei suoi dieci anni di permanenza milanese, dimostrando di schifare tale repertorio, nonostante che La Scala - italiana - l'abbia sempre pagato profumatamente. Anche troppo.
A proposito di dimenticanze sospette, ce ce sovviene un'altra di cui siamo stati testimoni diretti. All'uscita di Fourner-Facio dall'Accademia di santa Cecilia per andare a lavorare alla Scala, l'ultima volta che apparve in pubblico, prima della partenza, ad una presentazione di stagione a Roma, Cagli, che officiava tale rito, non lo degnò neppure di un saluto ( si badi bene che era stato Cagli a chiamarlo da Firenze, poi Fournier era rimasto con Berio ed ancor ancora con Cagli, al suo ritorno in Accademia, dopo la morte di Berio). Fu Pappano, e solo lui ( che fra l'altro, deve a Fournier ed all'avvocato Vittorio Ripa di Meana allora in Accademia, se il suo nome venne segnalato a Berio per la successione a Chung) a ringraziarlo pubblicamente. E Cagli, che gli sedeva accanto, non fece neppure un cenno di condivisione. Un dissenso dunque apertamente manifestato, che nessun giornale citò. Lo facemmo solo noi. Ma, si sa, noi cantiamo sempre fuori dal coro.
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