Inquadramento giuridico delle nuove figure professionali del mondo della comunicazione e del giornalismo, protezione dei contenuti, nodo previdenziale, o per meglio dire nodo del passaggio previdenzialedall’Inps all’Inpgi, come vorrebbe una proposta più volte avanzata a livello legislativo. Sono questi i principali 3 temi intorno ai quali si è dipanato il confronto tra i rappresentanti delle nuove professioni convocati oggi al tavolo del terzo incontro degli Stati generali dell’editoria, che si è riunito oggi alla Sala polifunzionale di Palazzo Chigi.
Assente il “padrone di casa”, il responsabile del Dipartimento editoria, sottosegretario Vito Crimi (M5S), richiamato dalle ombre di crisi di governo e dal vertice di maggioranza sul decreto salva-cantieri in forza all’altra sua delega, quella delle aree terremotate, il dibattito ha animato i molti convenuti: dal presidente dell’Assoblogger, Alessandro Angelellli, a Emanuele Nenna, presidente dell’UNA (Aziende della comunicazione unite), a Claudio Bernardi presidente di FPA (Fotoreporter professionisti associati), a Cristina Pantaleoni, presidente GV Press – Associazione italiana giornalisti videomaker, a Francesco Di Costanzo, presidente P.A. Social, a Pier Donato Vercellone, presidente Ferpi (Federazione relazioni pubbliche italiane), a Roberto Piccinini numero uno di AIRF (Associazione italiana fotoreporter e fotografi) a Roberto Tomesani, presidente nazionale TAU visual, fotografi professionisti.
Il quadro che è emerso è soprattutto quello di un Paese che sotto il profilo normativo manca di strutturazione nel settore e che non è riuscito a costituirsi in sistema. E anche quando le leggi ci sono, queste non vengono applicate, come nel caso della legge 150/2000 sulla Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni. Una legge il cui aggiornamento è sollecitato da tutte le parti presenti.
Riconoscere le nuove professioni “non è più rimandabile” il mantra dell’incontro come pure la necessità di avviare tavoli di approfondimento tematico e confronto con il governo per trovare soluzioni comuni ed efficaci, ma anche per “cancellare immotivate tensioni tra professionisti che lavorano insieme. Non si deve procedere con la contrapposizione ma lavorare per la sinergia” incita Cornelli, che rappresenta le aziende che operano nel mondo della comunicazione. Ma per farlo serve “chiarezza e trasparenza” sottolinea Bernardi di Fpa. Il mondo della comunicazione e anche il giornalismo moderno cambiano velocemente e la rapidità dell’evoluzione si misura con parametri inimmaginabili. “Nelle università e nelle scuole prepariamo i giovani a professioni che poi, una volta usciti non ritrovano nelle griglie normative e lavorative” lamenta ancora Cornelli. “E’ indispensabile aggiornare la normativa, laddove questa esiste. Ma ancora più importante è “sistematizzare” prima quella vigente” sottolinea il segretario generale Ferpi, Rita Palumbo. “Le nostre professioni producono un valore economico che non è riferito da una griglia normativa” aggiunge.
Ma insieme alle nuove professione, anche figure professionali che proprio nuove non sono, come i comunicatori o i fotografi e fotoreporter, rivendicano a gran voce uno spazio riconosciuto, riferimenti normativi e tariffari certi e commisurati. Anche i videomaker, i “ragazzi con la telecamerine”, si affacciano già ai 40 anni senza essere riconosciuti e inquadrati professionalmente, trattati a volte come operatori altre come giornalisti. “Eppure riempiamo le pagine dei giornali con il nostro lavoro” sottolinea Pantaleoni.
Anche il riconoscimento professionale sotto il profilo deontologico è tema sentito: dai rappresentanti dei blogger (“Siamo comunicatori digitali” puntualizza Angelelli, che ricorda, assieme ai più noti influencer, le figure di web writer, social media manager e stretegist, social angel e così via), da ampie parti di comunicatori, da fotografi e fotoreporter. “I fotoreporter rischiano l’estinzione” lamenta inoltre Bernardi (Fpa), chiedendo a gran voce anche “il rispetto e la tutela del copyright, da estendere a 50-70 anni dallo scatto, sanzioni per omessa firma dell’autore da parte di giornali ed editori, strumenti per contrastare il saccheggio di immagini da parte di carta, web e tv “.
Infine il tema scottante del trasferimento dei comunicatori dall’Inps all’Inpgi. “Una operazione calata dall’alto, con una visione miope e di breve respiro, pensata per il salvataggio dell’Inpgi, destinata verosimilmente a fallire questo obiettivo” stigmatizza Cornelli di Una, che vede come soluzione più opportuna ed efficace per comunicatori e giornalisti “una gestione Inps dedicata a questi comparti”. “Nessuno vuole il fallimento di una grande cassa previdenziale come l’Inpgi, siamo consapevoli della sensibilità del tema – rimarca Vercelloni di Ferpi – ma con questa proposta siamo partiti dal fondo, dai contributi previdenziali, secondo la logica del prendiamoli, salviamo la cassa e poi si vedrà. L’approccio corretto è un altro: sediamoci attorno a un tavolo, confrontiamoci e valutiamo i pro e i contro”. “Se l’obiettivo è semplicamente il salvataggio dell’Inpgi non ha senso, se invece è quello di creare un nuovo polo, potrebbe essere una buona idea, ma serve confronto ed approfondimento” afferma Di Costanzo (PA Social), che vede positivamente anche un’apertura dell’Ordine dei giornalisti alle nuove professionalità, “naturalmente con percorsi chiari”.
Da parte del segretario Associazione stampa romana, Lazzaro Pappagallo viene rilanciata la proposta Asr sulle nuove professionalità: modifica dell’articolo 1 del CNLG Fnsi/Fieg per comprendere nel lavoro giornalistico i profili di foto-cine-operatore, di architettura grafica digitale, di gestione e mediazione con i social network e con la comunità di lettori (social journalist), di data journalist, di web editor, di videomaker, di mojoer, di responsabile comunicazione e ufficio stampa e tutti coloro che a vario titolo operano all’interno degli uffici medesimi.
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