«Follow the money», diceva Giovanni Falcone ed è quello che hanno fatto i nostri Servizi. Resta da sapere a che cosa servisse quel milione di euro e dollari che è corso sui tre conti correnti dell’ambasciata russa di via Gaeta a Roma.
Quella ambasciata è stata durante la guerra fredda la sede della Residentura del KGB in Italia. Quando interrogai come presidente della commissione d’inchiesta Mitrokhin l’ultimo capo della Residentura di Gaeta, Leonid Kolosov, ci trovammo di fronte a un gradasso. Disse di aver avuto la fila degli italiani che non volevano denaro, ma solo difendere la causa di Mosca. E si riferì sempre con parole sprezzanti alle istituzioni e ai Servizi segreti italiani. Assicurò, nell’epoca iniziale della presidenza Putin, che la Residentura di via Gaeta avrebbe seguitato a fare spionaggio anche di ingaggio.
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Dalle rivelazioni provenienti dal Copasir, l’organismo di controllo parlamentare sui Servizi segreti, non si capisce a che cosa servisse una movimentazione frenetica da un conto all’altro di contanti e depositi per circa un milione, se non che quei soldi dovevano ben servire a comprare qualcosa o qualcuno.
Ma il fatto stesso che la notizia sia pubblica sembra diventare il messaggio: la nostra Intelligence ha voluto render pubblico qualcosa che accade nell’ambasciata diretta dal diplomatico Alexei Paramonov, succeduto all’irritabile Sergei Razov che dopo dieci anni di carriera è stato licenziato e sostituito da Putin in persona. Paramonov si era appena insediato e la sua ambasciata è stata presa di mira. Anche con un controllo bancario che ha messo in luce gravi irregolarità. I nostri Servizi non hanno detto quale fosse lo scopo ma hanno ritenuto che il Parlamento e l’opinione pubblica ne fossero informati. L’impressione è che Paramonov sia stato spedito a Roma per una decisione di Putin, allo scopo di compiere una precisa operazione e che quella operazione sia stata bloccata.
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