I figli della lupa
Verrà il giorno in cui si parlerà di giambronismo. Che fa rima con orlandismo. Per orlandismo si intende la stagione politica, e tutto ciò che ne consegue – nel bene e nel male – dell’uomo solo al comando, il professore Leoluca Orlando, Sindaco di Palermo. Con la S maiuscola perché nessuno è e mai sarà più sindaco di lui. Giambronismo è un corollario. Anzi, un attributo. Di più, un aggettivo qualificativo.
La presenza dei fratelli Giambrone, Fabio e Francesco, è una costante della stagione politica del professore.
Il primo nelle vesti di presidente di Gesap, la società che gestisce l’aeroporto Falcone Borsellino; il secondo, come sovrintendente del Teatro Massimo, con una parentesi da assessore alla Cultura.
Figli di Alfredo, che fu capo di gabinetto di Piersanti Mattarella, di cui Orlando era consigliere giuridico, i fratelli Giambrone sono da sempre in prima linea. Francesco lo era già nei giorni della “Primavera” di Palermo. Il secondo, nei mesi scorsi, è stato protagonista di un movimentato giro di giostra. Alla fine se l’è cavata con un giramento di testa, nulla di più. Quando Orlando aderì al Pd ecco che Fabio Giambrone si dimise da Gesap e si candidò alle Politiche. Dopo il tonfo per la mancata elezione, il ritorno alla guida dell’aeroporto. Le sue dimissioni, infatti, sono rimaste sulla carta. Mai ratificate dai soci dell’azienda, tra cui c’è pure il Comune di Palermo. Ha prevalso la forza dei risultati che nel caso di entrambi i fratelli sono incontestabili. I numeri gli danno ragione.
Punta Raisi è ormai uno scalo internazionale e il Teatro Massimo funziona in maniera egregia con la stampa che non perde occasione per tesserne le lodi. Orlando gongola e si gode i suoi giocattoli affidati ai due fedelissimi. Grazie ai Giambrone il Sindaco aumenta il suo prestigio e ingrossa la rete di relazioni. Ha creato una piattaforma di potere che utilizza nel tentativo di proiettarsi oltre la dimensione locale – che da sempre gli sta stretta e a cui è costretto – ma finisce per perdere di vista la quotidianità di una città smarrita e con sacche maleodoranti.
L’aeroporto e il Massimo sono le vetrine di Palermo, le prime che i visitatori stranieri incontrano una volta giunti in città. I Giambrone le lustrano a dovere, le mantengono in ordine usufruendo di tanti soldi pubblici. L’ultimo bilancio della fondazione Teatro Massimo è in pareggio. Trenta milioni di uscite e altrettanti di entrate, 25 dei quali provenienti da Stato, ministero dei Beni culturali, Regione siciliana, comune di Palermo, Sispi, Amap, e Amg.
L’ultimo bilancio di esercizio in casa Gesap certifica una produzione che supera i 60 milioni di euro grazie all’incremento dei passeggeri. Calcolando i costi l’utile netto di esercizio si attesta sui 180 mila euro.
Al di là dei freddi numeri, c’è il ritorno positivo d’immagine. E cioè la moneta che Orlando spende nei pubblici dibattiti. È lo scudo che il sindaco frappone alle critiche. Poco importa se altrove, lontano dai riflettori, più che polvere sotto il tappeto si nascondono macerie.
Il connubio orlandismo-giambronismo funziona e lascia aperto un dilemma: cosa avrebbero fatto i fratelli Giambrone senza Leoluca Orlando? Un po’ come Romolo e Remo con la lupa. Senza offesa per i protagonisti, naturalmente.
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