Sembra fiction, ma è la realtà. Il padrino, Gioacchino Badagliacca, che non sa di essere intercettato, si lascia andare a un'affermazione clamorosa: «C'è lo statuto scritto ...che hanno scritto i padri costituenti».
I padri costituenti di Cosa nostra, quelli che praticavano la violenza più feroce ma sapevano anche stare, a modo loro, al mondo. E così i vertici della cosca di Rocca Mezzomonreale, zona sud di Palermo, che pure progettavano omicidi e realizzavano estorsioni con ritmi da catena di montaggio, non risparmiano le critiche più dure a Totó Riina e all'ala stragista dei corleonesi che ha piazzato bombe e seminato sangue ovunque. «Niente cose infami - dice Badagliacca - ma perché pure tutte queste bombe, questi giudici, tutti questi... ma che cosa sono?».
Badagliacca è uno dei sette mafiosi arrestati ieri in un blitz che in qualche modo si collega alla cattura di Matteo Messina Denaro. Il clan sgominato, infatti, composto in gran parte da affiliati storici che avevano già scontato pesanti pene, aveva un ruolo importantissimo nella geografia della criminalità organizzata siciliana. Erano stati sempre loro, in passato, a coprire il boss Bernardo Provenzano e a organizzare il viaggio a Marsiglia per eseguire un intervento chirurgico alla prostata. E gli stessi soggetti hanno mantenuto rapporti con il Trapanese e Messina Denaro fino alla sua cattura.
Siamo insomma nel sancta sanctorum di Cosa nostra e per questo colpiscono quelle parole sul codice scritto, pronunciate nel corso di un summit in un casolare dalle parti di Caltanissetta, e quei riferimenti pesantissimi a Riina: lui e i suoi «pensavano solo a riempire il portafoglio».
«Sì - spiega il padrino - non si interessava a niente. Non è che loro amavano la cosa. Uno che la ama - riflette con accenti quasi mistici Badagliacca - fa le cose per non distruggerla, per tenerla».
Riina uccideva e utilizzava solo la logica del terrore, suscitando lo sconcerto dei mafiosi vecchia scuola: «C'è lo statuto scritto, che hanno scritto i padrini costituenti».
Rina e i corleonesi insomma l'avrebbero fatto a pezzi, schiacciando solo il pedale folle del terrorismo.
«Tutte cose sono finite - conclude Badagliacca ricordando che un tempo non era così - c'erano buoni rapporti con gli organi dello Stato. Non si toccavano, non si toccavano». «Anzi, li allisciavano», osserva il suo interlocutore.
Gioacchino e il capofamiglia Pietro Badagliacca discutono anche di come ammazzare un architetto che ha sbagliato alcune pratiche amministrative. E l'anziano Pietro prende con il nipote un impegno solenne e terribile: «Ti prometto una cosa davanti a mio figlio, anche se c' è il pro e il contro... l'ammazzo io all'architetta prima di morire».
Per fortuna i carabinieri sono arrivati prima, salvando la vita al professionista. Certo, la mafia di questa inchiesta pare ancora forte, radicata sul territorio, formata da irriducibili che appena usciti dalla galera tornano alle loro attività e sodalizi sanguinari. E restano quelle intercettazioni dirompenti, soprattutto quella sul codice scritto: «Badagliacca Gioacchino - scrive il gip - rispondeva con una rivelazione dalla portata investigativa deflagrante. Faceva infatti riferimento a un documento scritto, un vero e proprio statuto dell'organizzazione in cui sarebbero stati annotati dai padri costituenti di Cosa nostra i principi e le regole cardine dell'organizzazione, rimasti evidentemente invariati nel corso degli anni».
Quelli dimenticati dai corleonesi e invece punto di riferimento di Pietro e Gioacchino Badagliacca prima di finire in manette.
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