Vita, arte e amori di Josef Myslivecek, «il boemo», musicista del XVIII secolo, che da Praga, dove era nato da una famiglia di mugnai, arriva a Venezia nel 1763 e da lì, muovendosi abilmente nel mondo dell'aristocrazia italiana, tra l'amore di una giovane dama e il piacere offerto da una potente marchesa, si afferma come uno dei principali musicisti dell'epoca. Chiamato alla corte del re di Napoli, scrive opere liriche per la celebre cantante Caterina Gabrielli e negli anni successivi, tra Torino, Bologna e Parma, trova l'amore di una nobildonna vittima del marito possessivo e conosce il giovane Mozart, che sarà poi suo intimo amico. Affetto da una grave malattia che gli deforma il viso, finirà in disgrazia, povero e sfigurato, ma ancora capace di comporre la sua musica.
Una coproduzione tra Italia, Repubblica Ceca e Slovacchia che racconta la biografia di una figura di spicco della musica del Settecento, celebre a suo tempo e in seguito oscurata dalla luce splendente di Wolfgang Amadeus Mozart.
In uno dei rari momenti del film non ambientati negli ambienti dell'alta società italiana, Josef Myslivecek parla con il fratello gemello, a cui ha lasciato la gestione dei mulini di famiglia, della sua condizione di musicista: apprezzato e applaudito dalle corti d'Italia, è in realtà senza un soldo, costretto a viaggiare a sue spese, pagato una miseria rispetto agli interpreti delle sue arie, costretto ad accettare ogni contratto e spesso mantenuto dalle amanti. Myslivecek, «il divin boemo», vive la musica come un mestiere duro, materiale, ben poco ideale - suona il clavicembalo, dirige l'orchestra, scrive per le sue cantanti, si fa strada con la forza del suo talento, ma è trattato alla stregua di un artigiano. E la sua stessa fine presagisce già quella del più grande di tutti, il suo amico Mozart.
Il film del boemo Petr Václav (selezionato per aprire il Trieste Film Festival, dopo essere stato presentato nel settembre 2022 a San Sebastian), interpretato da un cast di attrici e attori italiani, tra cui Barbara Ronchi, Elena Radonicich, Lana Vladi, Lino Musella e Diego Pagotto, si sofferma sulle composizioni del protagonista e sulle esibizioni delle sue opere, mostra il lavoro di imprenditori, promotori delle arti e critici musicali del Settecento, provando a far comprendere la «lirica seria» allo spettatore non specializzato, che poco o nulla sa di Myslivecek o lo ricorda di passaggio in riferimento proprio a Mozart (ma nella scena del loro incontro a Bologna c'è fin troppo l'ombra dell'Amadeus di Forman).
Le fonti sulla personalità di Myslivecek, a differenza di quelle sulla produzione musicale, sono in realtà poche, ricavate da frammenti di lettere sopravvissute all'oblio. Per questo il regista e sceneggiatore sceglie di costruire il biopic su basi sostanzialmente apocrife, immaginando i passaggi perduti della vita del protagonista e dedicando buona parte del racconto alle sue avventure sentimentali ed erotiche. Il film non diventa mai, così, una ricostruzione delle trame politiche e sentimentali dell'Italia settecentesca pre-rivoluzione, ma piuttosto un romanzo sentimentale immerso in un mondo imbevuto di cultura seicentesca e lontano, purtroppo, dall'ironia dei romanzi dell'epoca, un po' picareschi e un po' moralisti.
Václav sceglie al contrario un tono grave, quando non paludato, che condiziona sia i dialoghi, sia lo stile, che è quello tipico di una grande produzione europea in costume, con gli interni a lume di candela ravvivati dai movimenti nervosi della macchina da presa. E se la professionalità dell'operazione non è mai in discussione (nemmeno nella scelta dei solisti scelti per doppiare gli interpreti, tra cui Simona Saturová per dare voce alla Gabrielli), a mancare in Il boemo sono l'emozione, il respiro del tempo, la sospensione della musica, come se le eleganti maschere indossate dagli aristocratici veneziani, sinistramente riprese nel finale dalla maschera che Myslivecek indossa per nascondere la deformazione del volto, velassero anche lo spirito dell'opera, la sua autenticità.
Restano comunque i duetti tra l'attore Vojtech Dyk, che dà al suo Myslivecek un aspetto fin troppo virile e fascinoso, e la brava Barbara Ronchi, nel ruolo della Gabrielli, come unici momenti in grado di spezzare il tono eccessivamente costruito del film, suggerendo nella loro scena conclusiva l'emergere a fine secolo di una nuova musica, più semplice e più emozionante, che idealmente potrebbe (e dovrebbe) fare da viatico anche a un altro tipo di cinema per operazioni simili a questa.
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