“Per Elisa” (“Für Elise” in tedesco) di Ludwig van Beethoven è una delle composizioni di musica classica più famose di sempre: una tra le prime a essere studiate da chi suona il pianoforte e tra le più ricorrenti nel cinema, oltre che in molti altri contesti, dalle suonerie dei telefoni in su. L’origine del titolo del brano però è un mistero su cui molti studiosi si sono a lungo arrovellati senza mai venirne a capo.
Secondo quanto riportato dal Guardian il mistero potrebbe essere stato risolto e la soluzione si troverebbe nel libro di prossima uscita Why Beethoven, del giornalista e autore britannico specializzato in musica classica Norman Lebrecht. Ricostruendo la storia del manoscritto di “Per Elisa”, Lebrecht conclude che il titolo l’avrebbe scelto – o dettato per errore – una donna, Babette Bredl, che non aveva mai conosciuto Beethoven di persona, ma che si ritrovò con alcuni suoi manoscritti in casa. Bredl aveva sia una nipote che una cognata di nome Elise.
La partitura di “Per Elisa” ha già di per sé una storia atipica: fu pubblicata nel 1867, quando Beethoven era già morto da quarant’anni. A pubblicarla in una raccolta fu il musicologo tedesco Ludwig Nohl, che l’aveva copiata a mano dall’originale che si trovava in una collezione privata di una famiglia di Monaco: il titolo era “Für Elise” ed era datato 27 aprile 1810. Il manoscritto autografo di Beethoven oggi è considerato disperso, ma sulle bozze preparatorie originali che invece sono arrivate fino a noi non c’è traccia del nome Elise.
Tra le ipotesi avanzate negli anni, qualcuno ha ricondotto il nome del titolo a quello della soprano tedesca Elisabeth Röckel, amica di Beethoven, e a quello di Elise Barensfeld, una giovane cantante prodigio che suonò con Johann Nepomuk Mälzel, amico di Beethoven. Tra tutte le ipotesi però quella che si è affermata maggiormente è che Nohl potesse semplicemente aver trascritto il titolo in modo errato e che la donna a cui Beethoven aveva dedicato “Per Elisa” fosse in realtà Therese Malfatti, musicista austriaca, studente di Beethoven e una delle varie donne di cui il compositore si invaghì senza essere corrisposto.
Secondo questa teoria, ripresa anche da Lebrecht, Beethoven scrisse il brano come dimostrazione di affetto per Therese Malfatti, che lusingata dall’attenzione del compositore lo suonò in varie occasioni. Quando morì, nel 1851, Malfatti lo lasciò in eredità insieme a tutta la sua musica a un pianista con cui aveva suonato: Rudolf Schachner. Su come “Für Therese” fosse diventato “Für Elise” però non erano mai state elaborate vere e proprie teorie ed è qui che il libro di Lebrecht si fa interessante.
Schachner infatti era il figlio illegittimo di Babette Bredl, un’ex insegnante di Monaco. Poco dopo la morte di Therese Malfatti decise di trasferirsi a Londra con la famiglia e lasciò a casa della madre i manoscritti ereditati dall’amica, compresa la partitura di Beethoven. La moglie di Schachner si chiamava Elizabeth ma veniva chiamata Elise, e anche la figlia dei due si chiamava Elise. Secondo Lebrecht è possibile che quando Nohl andò a trovare Babette Bredl e trascrisse il brano per intero, copiandolo dall’originale, lei fosse talmente disperata alla notizia della partenza del figlio – e della nipote – che come titolo del manoscritto lesse “Für Elise” anziché “Für Therese”. «Potrebbe essere stato un lapsus dovuto al fatto che stava pensando a sua nipote» ha scritto Lebrecht «o potrebbe averlo fatto deliberatamente, per assicurarsi che la sua piccola Elise a Londra potesse godere di questo frammento di posterità».
Il Guardian ha chiesto a Lebrecht che cosa avrebbe pensato Beethoven di tutto questo: «Penso che sarebbe scoppiato a ridere davanti agli accademici che hanno dedicato tutta la loro carriera a scoprire chi fosse un’Elise che non è mai esistita», ha risposto lui.
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