La popolazione di una città concentrata in appena 23 mila metri quadrati, 100 mila persone in poco più di due ettari. È la Fabbrica di San Pietro, lo spazio occupato dalla principale basilica del mondo cattolico. Ci lavorano meno di 200 persone ma i visitatori arrivano a picchi di 50 mila al giorno, che potrebbero triplicare durante il prossimo giubileo, nel 2025.
Si aspettano fino a 30 milioni di persone. Una folla immensa che, oltre ai bisogni spirituali, ne ha di materiali: i pellegrini, che in media restano due o tre giorni a Roma, si nutrono, si scaldano, comprano immagini e ricordi. Come si concilia questa crescita di consumi con un papa che, dalla Laudato sì ha fatto della questione ambientale un messaggio centrale del suo pontificato?
“Noi crediamo che sia una grande occasione per aumentare la consapevolezza ambientale dei pellegrini e dei visitatori”, risponde Stefano Attili, direttore delle relazioni esterne della Fabbrica di San Pietro. “Stiamo studiando un’organizzazione dei flussi che ci porti idealmente alle emissioni nette zero, alla neutralità carbonica. È un obiettivo a cui speriamo di arrivare in parte lavorando sul miglioramento della nostra capacità di accoglienza, in parte avvicinandoci ai temi della vita quotidiana di chi viene a trovarci e proponendo segnali di cambiamento. Piccoli ma duraturi”.
La prima mossa è stata nominare un comitato scientifico di tutto rispetto per monitorare i consumi di energia, di acqua, di materiali e provare a portarli a un impatto tendente a zero. I nomi vanno da Enrico Alleva a Vincenzo Balzani, da Leonardo Becchetti a Federico Butera, da Matteo Cairoli a Roberto Morabito. E lo studio riguarda cinque edifici: la basilica, la canonica, la scuola di mosaico, S. Marta Vecchia e S. Marta Nuova. Quindi anche le stanze del papa.
“Stiamo completando un’analisi estremamente rigorosa dei flussi di energia e di materia, ogni numero verrà certificato”, racconta Walter Ganapini, presidente del comitato scientifico e nome storico dell’ambientalismo italiano.
“Lo studio è a 360 gradi: si va dall’illuminazione al raffrescamento e riscaldamento, dai banchi di San Pietro al ciclo dell’acqua per evitare la plastica monouso. Abbiamo già stabilito molte partnership tecniche, le più importanti sono con Enel per l’energia ed Enea per i materiali. Si tratta anche di aprire un dialogo con la città per lavorare sulle modalità di trasporto dei pellegrini. Contiamo di poter partire con il progetto operativo in primavera, per essere pronti a fine 2024”.
Oltre alla parte infrastrutturale dunque si interverrà con un’opera di informazione e comunicazione rivolta a tutti i visitatori. Comunicazione non solo teorica ma anche pratica, attraverso l’offerta di servizi. “Recupereremo un punto di ristoro, non più attivo da qualche anno”, continua Attili. “E offriremo cibo che viene da campi il più possibile vicini, biologico, di stagione. Usando contenitori che sceglieremo in modo da rendere minimo il loro impatto ambientale. Saranno materiali riciclati e naturali, ma cercheremo di fare in modo che siano la scelta migliore anche dal punto di vista della sostenibilità sociale. Tra l’altro l’idea di circolarità può essere applicata non solo agli oggetti ma anche alle opportunità: una parte del ricavato andrà ad attività che favoriscono chi è in difficoltà”.
E’ un work in progress. Nell’ufficio di Attili, un ex corridoio secentesco non lontano dalla cupola più famosa del mondo, c’è un via vai di tecnici che propongono soluzioni. Crocifissi, rosari, cartoline, libri: tutto sarà ridisegnato in modo da utilizzare i materiali più adatti dal punto di vista della sostenibilità. Verranno cambiate le colle, la carta, i processi di stampa.
Con che tempi? I romani, memori dei 120 anni di costruzione della basilica (1506-1626), dicono “è una fabbrica di San Pietro” per indicare un processo che non ha fine. L’espressione in genere è intesa in senso negativo, ma Attili, un laico che è stato manager di successo in varie aziende, la rovescia in positivo: “È vero che la Chiesa ha un senso del tempo diverso, la sua missione è l’eternità. Pensi che poco dopo la costruzione è stato deciso di sostituire gli affreschi della basilica con mosaici. Parliamo di 10 mila metri quadrati di mosaici: una bella impresa. È stato fatto perché i mosaici durano di più e si voleva trasmettere il messaggio per molte generazioni. Ecco, forse proprio questo è il cambiamento più importante di cui abbiamo bisogno.
Per risolvere la questione ambientale non servono solo materiali più efficienti. Occorre un senso del tempo diverso: prendere decisioni pensando non al sondaggio settimanale ma ai nipoti dei nipoti”.
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