L’accordo tra la Lega e il Movimento 5 stelle sulla sorte di Armando Siri non è arrivato. E così, dopo due settimane di equilibrio e tensioni, Giuseppe Conte decide di tagliare il filo del sottosegretario leghista: «All’ordine del giorno del prossimo Consiglio dei ministri porrò la mia proposta di revoca di Siri dal suo ruolo di sottosegretario», sentenzia da palazzo Chigi. Ma senza un patto tra i due partiti di maggioranza, la decisione del premier viene animata dalla paura per la furia vendicativa che Matteo Salvini potrebbe scatenare sul Movimento dopo le Europee.
Un compromesso, nel primo pomeriggio, sembrava possibile agli occhi di Conte. In cambio delle dimissioni di Siri, il premier aveva offerto l’assicurazione alla Lega che dai Cinque stelle non sarebbero stati intonati canti di vittoria né sarebbe stato mostrato lo scalpo del sottosegretario in campagna elettorale. Convinto dell’epilogo positivo, Conte convoca una conferenza stampa con l’obiettivo di lodare la «responsabilità politica» del sottosegretario leghista e di spegnere ogni possibile polemica interna. Ad anticiparlo, però, arriva una nota di Siri: «Dal primo momento ho detto di voler essere immediatamente ascoltato dai magistrati per chiarire la mia posizione. Sono innocente - scrive Siri -. Ribadisco di avere sempre agito correttamente e di non avere nulla da nascondere». E dunque, «confido che una volta sentito dai magistrati la mia posizione possa essere archiviata in tempi brevi. Qualora ciò non dovesse accadere, entro 15 giorni, sarò il primo a voler fare un passo indietro».
Conte è indispettito, non è la risposta che si aspettava. La conferenza stampa slitta di un’ora, il tempo di riscrivere parte del testo, eliminare gli elogi, aggiungere una sferzata: «Le dimissioni o si danno o non si danno. Le dimissioni future non hanno molto senso». Restano intatti, invece, i motivi della necessità di un passo indietro, che per il presidente del Consiglio nascono dalla legge oggetto di indagine dei magistrati, che Siri avrebbe sponsorizzato: «Non avrebbe offerto chance future agli imprenditori, ma vantaggi retroattivi: era come una sanatoria, non era generale o astratta, e non disponeva per il futuro». Una vicenda che appare troppo lontana, per il premier, dal concetto di «governo del cambiamento, che si impegna a realizzare buone pratiche tutelando i cittadini e non interessi di parte».
Sopra le ragioni politiche, restano le paure. Conte, come i Cinque stelle, teme che un licenziamento imposto in Consiglio dei ministri possa creare una spaccatura insanabile. Di Maio, ospite a Otto e mezzo, lo dice chiaramente: «Mi auguro di non arrivare al voto in Cdm, ma nel caso voteremo a favore e noi abbiamo la maggioranza assoluta». Lo stesso premier, nel tentativo di gettare acqua sul fuoco, ripropone in conferenza stampa i termini della proposta fatta a Siri lunedì sera, durante il loro incontro. A decisione presa, però, la formula del patto viene trasformata in «invito». «Invito la Lega a comprendere che questa soluzione non significa una condanna di un suo esponente. Non si lasci guidare da una reazione corporativa». Al Movimento, invece, chiede di «non approfittare di questa soluzione per cantare una vittoria politica che calpesterebbe i diritti di una persona». Poi, ai giornalisti, l’ultimo invito a «non alimentare una gogna mediatica», nonostante la richiesta arrivi proprio durante una conferenza stampa, davanti alle telecamere, e per di più senza accettare domande dai cronisti.
Il Carroccio, sentite le parole di Conte, avverte l’odore della paura. «Conte si prende la responsabilità di questa scelta - avverte il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari, a “Porta a porta” -. A nostro avviso revocare un sottosegretario per il titolo di un giornale è un precedente molto grave, perché Siri potrebbe essere parte lesa. Non mi sembra una buona scelta né un atteggiamento corretto». Sono i primi squilli di una prossima rappresaglia. Di Maio sa che il suo alleato è furioso ed evoca, pur volendo scacciarla, la crisi di governo: «Conosco la Lega e conosco Salvini come persona intelligente e di buon senso. Aprire una crisi di governo credo non dia una bella immagine».
Le opposizioni a sinistra gongolano. Nel Pd sostengono persino che le dimissioni siano frutto della loro mozione di sfiducia al governo sul caso Siri. E dunque, che questa sia la prima vittoria politica di Nicola Zingaretti. Diversa l’atmosfera nel centrodestra, dove si preferisce mostrare a Salvini, ancora una volta, l’istinto “manettaro” dei Cinque stelle e tutte quelle differenze tra i due partner di governo che dovrebbero far tornare il leader della Lega all’ovile.
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