Una città imbrattata è una città imbruttita. Specie se, come nel caso di Ferrara, si parla di un luogo patrimonio dell’Unesco. Eppure ci sono vari modi di ‘imbrattare’ un muro. C’è quello artistico e legale dei cosiddetti ‘writer’, veri e propri artisti che seguendo determinate regole abbelliscono porzioni di città con dipinti colorati e fantasiosi. E poi ci sono gli altri. Quelli che in gergo vengono definiti ‘tagger’ (da ‘tag’, intesa come firma) che lasciano sui muri della città scritte di vario genere, a volte incomprensibili, a volte invece fin troppo intuibili. E Ferrara, di scarabocchi simili, ne è piena.
Sigle, autografi, nomi e acronimi che campeggiano in ogni angolo della città. Non solo in periferia, anzi. Il centro storico, pieno di turisti, è anche pieno di segni moderni. Chiamiamoli così. Qualche esempio? Via Roversella, forse, è il simbolo dell’intera questione. I muri e le colonne esterne dell’ex monastero di Santa Caterina Martire sono divenute pagine bianche dove discutibili artisti hanno lasciato la loro impronta verniciata. Una questione che, alcune settimane fa, denunciò anche Vittorio Sgarbi, ma che ad oggi è ancora lì. Immutata. Via del Podestà, a due passi da piazza Municipale, è un altro triste esempio: sigle di vario colore, che vanno dal nero al viola al rosso, catturano di prepotenza l’attenzione dei passanti. Qualcuno, forse un altro ‘tagger’ geloso, ha tentato di cancellare tutto. Maldestramente. Sopra a molte delle scritte, infatti, campeggiano delle enormi croci, che rendono però lo spettacolo ancora più desolante.
Spostandosi ancor più verso il cuore della città, a due passi dal Listone, c’è Galleria Matteotti. Lì, ad essere prese di mira sono le colonne. Per una questione di pudore, preferiamo non riportare ciò che appare. Non c’è solo la bruttezza del disegno, lì c’è la volgarità. Usciti dalla galleria, in via Amendola e in piazza Gobetti, invece, le firme e gli acronimi tornano ad essere ‘solamente’ sgradevoli alla vista. E dove non c’è un muro, c’è un cartello, un cassonetto del pattume o una saracinesca. Queste ultime, in centro storico, sono forse quelle maggiormente prese di mira: in via Contrari, ad esempio, nel giro di pochi metri è possibile fermarsi ad ammirare – il sarcasmo è d’obbligo – autografi sui garage, su una centralina dell’elettricità e su un cartello stradale.
Questo, per parlare solo del centro storico. Perché di panorami del genere ne esistono tanti altri. In via Bagaro, in via Darsena, lungo corso Isonzo, in via Dosso Dossi, in Contrada della Rosa, davanti al liceo scientifico e a quello classico. Anche in viale Kennedy, dove ad essere deturpati non sono solamente i muri, ma addirittura le mappe per i turisti. Una quantità enorme di vernice, utilizzata senza senso per imbruttire una città meravigliosa. Utilizzata, cioè, da chi artista non lo è nemmeno lontanamente. Peraltro, negli ultimi sei mesi (da ottobre 2018 a marzo 2019), solo per quanto attiene alla pulizia della cartellonistica stradale di competenza comunale, sono stati spesi 6.665 euro. In questo lasso di tempo, infatti, sono stati 147 i cartelli di segnaletica verticale oggetto di manutenzione da parte degli addetti della cosiddetta ‘Unità operativa viabilità ordinaria e segnaletica’.
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