L’Italia arriva oggi al doppio appuntamento del voto con Europee e amministrative dopo una vigilia agitata dalle polemiche sul silenzio elettorale. L’attore principale è il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che con il consueto protagonismo sui social, da Facebook a Twitter, e gli inviti a votare Lega scatena le reazioni dell’opposizione, Pd in testa. «Salvini sta violando vergognosamente le regole che dovrebbe per primo rispettare», scrive Matteo Renzi su Facebook. Attaccano anche Carlo Calenda e Laura Boldrini, il Codacons annuncia denunce nei confronti degli esponenti politici che «si sono scatenati su web e social in piena violazione della normativa vigente». Complici leggi datate, varate tra il 1956 e il 1984, non basta evidentemente l’indicazione dell’Autorità garante per le Comunicazioni (Agcom) che ha sollecitato il rispetto del silenzio anche sui social network. L’appello al voto arriva anche, via Twitter, dal ministro per la Famiglia Lorenzo Fontana, mentre in Campania esplode il caso che costringe alle scuse il direttore della Tgr Alessandro Casarin a causa di due dichiarazioni del ministro dell’Interno e del sindaco Luigi De Magistris andate in onda su Rai3 nel corso di un servizio sulla criminalità a Napoli.
n questo clima si apre l’lection day, che riguarderà anche il Piemonte e oltre 3.800 Comuni. Le urne resteranno aperte dalle 7 alle 23 per 50.952.719 elettori, chiamati a eleggere 76 deputati europei (tre diventeranno effettivi solo quando il Regno Unito lascerà la Ue) su 751 parlamentari. Il sistema è un proporzionale puro , con l’unico limite dello sbarramento del 4%. Il voto per l’Europarlamento prevede la possibilità di esprimere oltre al voto di lista (sbarrando il simbolo o il rettangolo che lo contiene) da una a tre preferenze (nome e cognome, o solo il cognome). Nel caso si vogliano esprimere più preferenze, sarà necessario votare per candidati di sesso diverso: viceversa, le preferenze successive alla prima saranno annullate. (La fonte delle tre proposte dei partiti è il blog Valigia Blu).
(Maria Rosaria Tommasello)
Di Maio (M5S): parte perdente ma resterà il capo
Tutto può diventare relativo in politica, soprattutto le sconfitte. E i 5 Stelle sono maestri nel trasformare un crollo nel suo esatto contrario. La cifra da tenere in considerazione è: 21,2 per cento. È quanto il Movimento prese cinque anni fa, alle Europee del 2014. Quelle stravinte da Matteo Renzi, quelle dell’ironica ammissione di Beppe Grillo che si calò un Maalox, mettendo in soffitta lo slogan «Vinciamo noi». Se il consenso di Luigi Di Maio resterà sopra la soglia del 21,2 sarà una festa in casa grillina, ancora di più se la Lega dovesse assestarsi intorno al 30 per cento, o, magari, qualcosina in meno. In quel caso addirittura leggeremo un trionfo sui volti dei 5 Stelle.
Bizzarrie delle politica: nonostante la perdita di oltre il dieci per cento di voti sulle elezioni del 2018, nonostante il consenso raddoppiato di Matteo Salvini e il ribaltamento tra alleati gialloverdi, sarà Di Maio a guidare il trenino dei festeggiamenti. Perché così è quando la narrazione di mesi di sondaggi celestiali sedimenta la certezza di un’apoteosi salviniana che potrebbe arrivare ma ridimensionata. Il ciclostile del M5S è già in azione con titoli entusiasti da diffondere alla prima luce dei risultati: «Abbiamo fatto meglio delle Europee di cinque anni fa». Oppure: «Questo è un voto sull’Europa, non era un voto nazionale».
Tattica di sopravvivenza all’onda d’urto mediatica che comunque si abbatterà su Di Maio. Il capo politico grillino sa di arrivare all’appuntamento elettorale come «il perdente predestinato». Ma in questi anni il leader dei 5 Stelle ha saputo irrobustire le spalle alle valanghe di critiche che dall’interno e dall’esterno gli sono piovute addosso. Il Movimento è nella posizione più complicata: deve guardarsi da Salvini e dalla quantità di voti che misureranno la distanza tra Lega e M5S. Ma soprattutto deve sperare che non riesca al Pd il sorpasso per il secondo posto. Il punto di forza per Di Maio, invece, resta sempre lo stesso. Il M5S non ha alternative al giovane leader che ondeggia tra convinzioni e posizionamenti politici a seconda della convenienza. «Salvini dica prima del voto se vuole finirla con il governo, avverte Di Maio: «Lunedì subito salario minimo e flat tax». Vezzeggiamenti che tradiscono una voglia matta di restare al governo e di trasformare la guerra a Salvini in una docile convivenza.
(Ilario Lombardo)
Nicola Zingaretti (Pd): la sua vittoria passa dal sorpasso sui 5S
Si può dire senza mezzi termini che in questa tornata di europee ed amministrative Nicola Zingaretti si gioca l’osso del collo. Lui terrà conto di due asticelle: quella del 20%, sopra la quale potrebbe mettersi al riparo dal «fuoco amico», dimostrando di aver fatto meglio di Renzi un anno fa, quando il Pd si fermò sopra il 18%. Ma è il secondo posto in classifica la vera posta in gioco. Strapparlo a Di Maio, ora che i sondaggi fotografano da settimane un’inversione di tendenza per M5S, sarebbe un risultato per lui straordinario.
Lo proietterebbe nell’Olimpo della sinistra, aprendo nuovi orizzonti: un dialogo con i grillini alla prossima legislatura potrebbe esser reso via via più digeribile se giocato da una posizione di forza numerica. Per questo alcuni suoi dirigenti sostengono che dopo le europee il Pd dovrà interrogarsi sulle possibili future alleanze, sperando in un’implosione e in una ricomposizione del mondo 5Stelle. La terza asticella da tenere d’occhio sarà non solo la tenuta o meno di una regione cruciale come il Piemonte; ma pure lo sconfinamento assai temuto di Salvini nelle terre emiliane di comuni come Modena, Reggio Emilia, Forlì, che vanno al voto.
Il che accenderebbe i riflettori su quella che ancora è un’incompiuta di Zingaretti: la rifondazione totale di un partito con sempre meno appeal nelle regioni rosse. E ancorato, specie al sud, a una classe dirigente legata al passato. Una rigenerazione con innesti di volti nuovi per rilanciare il brand logoro del Pd. Non solo tra le nuove generazioni più sensibili all’ambientalismo, ma anche nel ceto medio impoverito dalla crisi e tra le nuove figure professionali e imprenditoriali dell’Italia più produttiva e proiettata nel futuro. Ed è pure per affrancarsi dal peso di capi corrente che il segretario punta al voto anticipato. «Se dopo le europee cade il governo vuol dire che ho vinto io», va dicendo per far passare il messaggio che il vero obiettivo è dare la spallata a questo esecutivo.
Al di là di un’improbabile ritorno al governo, la corsa alle politiche consentirebbe a Zingaretti di non logorarsi in un partito ancora a trazione renziana, facendogli eleggere a breve gruppi parlamentari più a sua immagine e somiglianza.
(Carlo Bertini)
Salvini (Lega): sogna tre milioni di preferenze
C’è una sfida che Matteo Salvini si riserva di incassare, ma solo a cose fatte. E infatti è una sfida che per ora non ha mai lanciato in pubblico: superare il record di «tutti i tempi» delle preferenze personali alle elezioni Europee. Certo, può apparire un surrogato della sfida principale che resta quella di portare il vecchio, piccolo Carroccio bossiano a diventare il primo partito italiano e una delle più consistenti forze politiche europee. Ma Salvini sa che l’investitura plebiscitaria da parte del “suo” popolo avrebbe l’effetto di completare la sua mission più ambiziosa: diventare il “Capitano dell’Italia” e non solo della Lega.
E d’altra parte in 40 anni di Europee tutti i leader si sono cimentati con la partita delle preferenze. Foriera spesso di grandi gratificazioni, perché poche altre cose come il voto personale accarezzano l’ego dei capi, certificando ogni ragionevole dubbio un bene immateriale decisivo: il rapporto di fiducia tra il leader e gli elettori. Silvio Berlusconi si è vantato più volte per i suoi risultati clamorosi, in particolare per le 992.657 preferenze ottenute nella sola Circoscrizione Nord-ovest nelle elezioni del 1999, che aprirono la strada alla sua riconquista di palazzo Chigi nel 2001. Anche se il “re” (insuperato) delle preferenze in una sola Circoscrizione resta una personalità della Prima Repubblica come Ciriaco De Mita, che nel 1984 (da segretario della Dc) ottenne nel suo Sud la bellezza di 1.005.847 voti personali, un exploit che lo colloca al primo posto nella ideale classifica di «tutti i tempi».
Ma nella gara delle preferenze. c’è anche quella che somma i voti personali ottenuti in tutte e cinque le Circoscrizioni. In questa specialità il campionissimo è Silvio Berlusconi, che nell’indimenticabile 1994 riuscì a collezionare una montagna di preferenze: ben 2.995.000. Ed è questa la montagna che a Salvini piacerebbe scalare: il capo della Lega ha deciso di presentarsi come capolista in tutte e cinque le aree del Paese. Anche se non ha mai esplicitato la sfida, il capo della Lega conta di superare il record dei record, quello di Berlusconi. Ma per scavalcare il Cavaliere, Salvini dovrebbe valicare una quota sinora mai raggiunta da nessuno: 3 milioni di preferenze.
(Fabio Martini)
Silvio Berlusconi (Forza Italia): Deve sperare nel flop di Meloni
Per Berlusconi conteranno tre percentuali: la propria, quella di Salvini, più la somma aritmetica tra Fratelli d’Italia e Lega. Anzi, l’ultima cifra sarà quella davvero decisiva per la sorte politica del Cavaliere. Il quale rimane in campo nella speranza di levarsi qualche residua soddisfazione. All’età sua (82 anni compiuti) gli piacerebbe sentirsi ancora una volta il perno, l’ago della bilancia, «l’Imprescindibile». Dunque l’ideale per lui sarebbe che Salvini e Meloni stasera non facessero bingo; in altre parole, che quei due insieme si fermassero al 35-36 per cento, non oltre, restando ben lontani dalla soglia del 40-41 necessaria per conquistare la maggioranza del Parlamento.
Con il sistema elettorale inaugurato l’anno scorso, mancherebbero due milioni di voti ai sogni di gloria. E chi è che a punto potrebbe intervenire per colmare la differenza? Risposta esatta: un ex premier di casa ad Arcore. Il quale già pregusta la visita di Giorgia e Matteo con il berretto in mano che si scusano per averlo trattato da nonno e gli chiedono l’aiuto decisivo. Il suo immenso Ego ne sarebbe comunque gratificato.
Che poi Forza Italia superi quota 10 per cento, ai suoi occhi conta relativamente. Un po’ perché Silvio è stanco di regalare poltrone a gente che di voti non porta nemmeno il proprio. E poi per una ragione più sottile, quasi sofisticata. La doppia cifra di per sé non significa un bel niente. Il fuggi-fuggi verso Salvini ci sarebbe perfino con Berlusconi al 12, qualora il Capitano superasse di slancio il 30. La forza di attrazione leghista sarebbe irresistibile e molti gerarchi del Cav correrebbero in soccorso del futuro padrone. Mentre quegli stessi personaggi ci penserebbero due volte a lasciare Forza Italia nel caso in cui l’apporto di Berlusconi risultasse determinante: si sentirebbero meglio garantiti restando dove sono. Idem qualora l’astro del Capitano apparisse stasera un tantino appannato. Con la Lega al di sotto delle aspettative, tanti potenziali traditori si domanderebbero se ne vale la pena. Tanto più qualora Salvini indugiasse a governare con i Cinque stelle, logorandosi ogni giorno un po’. Ecco perché l’ex premier, nonostante tutto, ancora ci spera.
(Ugo Magri)
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