L’abusata immagine dei separati in casa calza a pennello sui musi lunghi, gli imbarazzati silenzi e i mancati incontri del «fu» quartetto di Palazzo Chigi. Giuseppe Conte, Giancarlo Giorgetti, Matteo Salvini e Luigi Di Maio sembrano prigionieri della dolorosa fase che, dalla crisi di un matrimonio, conduce alla firma del divorzio. Solo il voto del 26 maggio potrà liberarli dal metaforico castello di ghiaccio nel quale si sono rinchiusi. Fino ad allora sono condannati a non parlarsi a quattro, sei, otto occhi, non sedersi l’uno al fianco dell’altro in occasioni ufficiali ed evitarsi come la peste bubbonica, salvo randellarsi reciprocamente dalle pagine dei social. Là dove infuria la più aspra battaglia verbale che mai abbia diviso gli azionisti di maggioranza di un governo. «Di Maio mi insulta», accusa il primo. «Salvini fa l’offeso — lo sfotte il secondo — Da quando c’è stato il caso Siri l’ha presa sul personale». Ma faccia a faccia no, gli ex dioscuri non si parlano. E nemmeno si telefonano, prova ne sia la nota ufficiosa diramata due giorni fa da fonti leghiste: «Salvini non sente né Di Maio né Conte dall’ultimo Consiglio dei ministri». Il che vuol dire che dall’8 al 14 maggio, per sei lunghissimi giorni almeno, il governo gialloverde è andato avanti in assenza di contatti tra coloro che incarnano le massime istituzioni. Cosa ben strana, che dovrebbe allarmare quei milioni di cittadini che ancora sperano nel cambiamento promesso.
Visto il clima artico della politica gialloverde, la domanda appare lecita. Come si può governare la settima potenza industrializzata del pianeta Terra, senza scambiarsi nemmeno un sms? E continuando a litigare per interposta telecamera, o dalle prime pagine dei giornali? Il sottosegretario leghista alla presidenza, Giancarlo Giorgetti, ha ufficializzato a Porta a Porta l’«insostenibile» tasso di litigiosità. Salvini e Di Maio, ha rivelato, non si parlano: «Si mandano raccomandate o tweet. In ogni caso sono costretti a incontrarsi in Cdm, quindi entro lunedì si dovranno vedere». Se non dovesse saltare causa aria irrespirabile (come è ancora possibile), l’evento metterà alla prova il cerimoniale di Chigi, già piuttosto attrezzato per fare fronte alle gelate interne.
Paolo Gentiloni e la sottosegretaria Maria Elena Boschi (eufemisticamente) non si amavano e le comunicazioni erano ridotte al minimo. Per non parlare della cortina di ghiaccio calata tra palazzo Chigi e il Nazareno quando Matteo Renzi era segretario e Gentiloni premier. Adesso la storia si ripete. Tra Conte e Giorgetti la chimica non è mai scattata e tra Conte e Salvini si è guastata on the road: il segretario della Lega punta alla poltronissima e il professore, già avvocato degli italiani, non è ancora stufo di occuparla.
Tra Di Maio e Salvini l’unione si è rotta da un pezzo. Il primo maggio sono atterrati a Tunisi con voli diversi e al vertice intergovernativo, costretti a sedere spalla a spalla, hanno ingannato il silenzio chini sugli smartphone. Finché Di Maio al ritorno ha snobbato l’aereo di Stato. Il capo politico 5 Stelle si sgola per invocare un vertice di maggioranza? Il Carroccio risponde che il ministro del Lavoro&Sviluppo non ha chiesto a Salvini «nessun incontro» e il M5S invita a farsi una risata: «Se la Lega ci tiene, gli facciamo una richiesta con la carta bollata».
Eppure, solo sei mesi fa, il «Capitano» si sperticava su La7 in lusinghiere lodi dei compagni di governo: «Senza Di Maio e Conte non avrei combinato niente». Era novembre, pare il Paleozoico. Intanto Salvini rompe il muro del 3% nel rapporto deficit Pil, Di Maio gli rinfaccia «sparate irresponsabili» e e lo spread scala la vetta dei 300 punti. Ma una telefonata no, quella non scatta. E dire che i gemelli— coltelli del governo avevano preso a rincorrersi «affettuosamente» su Instagram. Poi la luna di miele è finita e hanno smesso di seguirsi a vicenda. Con inevitabile strascico polemico su chi sia stato il primo, si perdoni l’orrido neologismo, a «defolloware» l’altro.
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