Il 30 dicembre scorso, sulle coste italiane, sono sbarcati 41 migranti. Il giorno prima ne sono arrivati 37, quello prima ancora 39, e così via. Tra Natale e Capodanno, nel complesso, sono giunti in Italia 160 stranieri. A fornire questi dati è il Ministero dell’Interno – che però non rivela i luoghi esatti degli sbarchi – lo stesso organo presieduto da quel Matteo Salvini che da settimane, con la complicità degli altri Paesi europei, sta lasciando in mare due navi in nome dei “porti chiusi”.
A turbare il governo gialloverde, però, in questi giorni c’hanno pensato due navi. La Sea Watch 3 e la Sea Eye hanno a bordo un totale di 49 persone, tra cui donne e bambini. La prima ha salvato 32 migranti al largo della Libia il 22 dicembre scorso, mentre sulla seconda ci sono altri 17 migranti tratti in salvo nella medesima area il 29 dicembre. In tutti questi giorni le due imbarcazioni non hanno ricevuto l’autorizzazione ad attraccare in un porto sicuro, gli Stati europei non trovano un accordo sulla ripartizione dei migranti una volta sbarcati. La conseguenza è che le due navi sono costrette a restare in mare, mentre le condizioni a bordo peggiorano di ora in ora – i rifornimenti rischiano di terminare, fa freddo e il trauma psicologico inizia a diffondersi tra i passeggeri. Nei giorni scorsi, Malta aveva aperto il suo porto alla Sea Watch 3, ma solo perché si riparasse dalle cattive condizioni meteo. Nessun permesso invece allo sbarco dei migranti, fino a oggi, quando il premier maltese Joseph Muscat ha annunciato che l’accordo con l’Ue è stato trovato. E così, a dividersi i migranti – ormai trattati sempre più come carte da gioco – saranno Germania, Francia, Portogallo, Irlanda, Romania, Lussemburgo, Olanda e, guarda un po’, l’Italia.
“Porti italiani chiusi. Quanti ne accogliamo? Zero”, aveva dichiarato pochi giorni fa il ministro dell’Interno italiano a chi gli chiedeva se il nostro Paese avrebbe mantenuto rigida la sua posizione. La linea del leader leghista non è nuova, negli scorsi mesi altre navi di soccorso hanno dovuto affrontare la stessa sorte. Dall’Aquarius, lasciata davanti alle coste italiane per giorni e accolta dalla Spagna dopo un lungo viaggio supplementare, alla Diciotti, respinta per undici giorni dall’Italia nonostante tra le 177 persone a bordo vi fossero anche donne, bambini e malati. Di tanto in tanto, è la volta di una nuova nave carica di disperati, costretta a dover fare i conti con il celodurismo leghista del ministro dell’Interno.
Come ormai dovrebbe essere chiaro, però, il pugno di ferro di Salvini non è altro che un giochino propagandastico, la strumentalizzazione di un singolo evento, per affermare una chiusura dei porti che poi, nei fatti, non esiste. Per quanto ne dica, e nonostante le promesse da campagna elettorale, Salvini non ha chiuso alcun porto – anche perché non rientra nelle sue possibilità – né alcun confine. La realtà è che non solo i porti italiani sono aperti, ma che anche se si volessero chiudere, non spetterebbe a Salvini farlo. Come spiega Annalisa Camilli su Internazionale, infatti, “Se i porti fossero chiusi dovrebbe esserci un provvedimento ufficiale del ministro dei Trasporti e delle infrastrutture Danilo Toninelli”. La giornalista ha parlato con Antonello Ciervo, avvocato dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), che ha sottolineato che “L’hashtag ‘chiudiamo i porti’ è pura propaganda politica, perché non esiste nessun decreto ministeriale che dispone la chiusura”.
Quello che continua a fare il governo pentaleghista semmai, è omettere le notizie di sbarchi di migranti, scatenando ad hoc casi mediatici come quelli Aquarius, Diciotti, Sea Eye e Sea Watch 3. Salvini, pubblicamente, gioca sulla pelle di bambini, donne e uomini, lasciando di tanto in tanto alcune navi di soccorso in mare. Si crea una polemica, la società civile si divide tra chi esulta per le promesse mantenute e chi si indigna per la penuria di umanità della linea di governo. Al ministro poco importa la posizione che viene presa dai colleghi, dalla stampa, dai cittadini. L’importante è il messaggio che viene veicolato: Salvini ha chiuso i porti.
Mentre a livello di facciata avviene questo, migliaia di migranti continuano a sbarcare in Italia. 160 nella settimana di Natale, la stessa in cui sono esplosi i casi Sea Watch 3 e Sea Eye. 359 nel mese di dicembre. 3293 da fine agosto. Sono numeri decisamente inferiori rispetto a quelli degli anni scorsi, questo è certo. Ma il trend era già ben definito nei mesi precedenti al suo insediamento. Questo per effetto del deprecabile decreto Minniti del 2017, con cui si consegnano i migranti ai mattatoi libici. Nei primi sei mesi del 2018 infatti, quando la nomina di Salvini a ministro dell’Interno era ancora lontana, gli sbarchi in Italia avevano già fatto registrare un calo del 79% rispetto allo stesso periodo del 2017. Divenuto ministro, Salvini ha cavalcato quest’onda, l’ha fatta sua, beneficiando anche di una virata nella rotta dei flussi migratori che certamente non è dipesa da lui.
Infatti, se negli anni passati la Spagna aveva un ruolo marginale nell’accoglienza dei migranti, oggi è la principale terra di approdo mediterranea. Tra gennaio e novembre 2018, in Spagna sono arrivate55mila persone, in Italia solo un terzo. Paradossale, vista la quantità infinita di volte in cui Salvini, negli ultimi mesi, ha puntato il dito contro lo stato iberico, accusandolo di non fare nulla di fronte all’emergenza. Un altro caso bizzarro è quello di Malta, accusata quotidianamente di menefreghismo sul tema migranti dal ministro dell’Interno italiano. A vedere i numeri, però, da quando Salvini è ministro, l’isola ha accolto oltre mille persone, un terzo rispetto a quanto fatto dall’Italia – nonostante la popolazione maltese sia 13 volte inferiore a quella italiana.
Insomma, non solo “quelli che trattano l’Italia come un campo profughi”, come li chiama Salvini, nei fatti hanno accolto ben al di là di quanto lui voglia far credere, ma anche l’Italia – quella dei porti chiusi e degli zero sbarchi esposti come un gagliardetto sulla bacheca social dal leader leghista – ha continuato in questi mesi ad accogliere, nel silenzio generale. Dico silenzio generale perché in questi giorni ho cercato in ogni modo di avere notizie relative agli sbarchi degli ultimi giorni del 2018, quelli di cui si ha solo la mera statistica ministeriale: 160. Sono stato rimbalzato da un ufficio stampa all’altro, da un Ministero all’altro, fino alla segreteria personale del ministro dell’Interno stesso. Ma non è arrivata alcuna risposta, nonostante avessi chiesto giusto le informazioni di base: porto di approdo e nazionalità dei migranti.
La sensazione è che di questi arrivi non si possa parlare, se non al di là di quella rendicontazione statistica obbligatoria sul sito del Ministero dell’Interno. Rendicontazione che lascia peraltro perplessi: secondo il Ministero, infatti, l’ultimo sbarco in Italia è avvenuto il 30 dicembre del 2018. Ma la mappatura dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni svela che il giorno successivo, sulle coste italiane, sono sbarcate altre 17 persone. Oltre a questo, mancano a livello ministeriale i dati sugli arrivi via terra avvenuti negli ultimi mesi, certamente minoritari rispetto a quelli via mare, ma senza dubbio non irrisori. Come spiega la stessa Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, in Italia “non ci sono dati ufficiali sul numero di arrivi di migranti via terra. Tuttavia, secondo le autorità italiane, il Friuli Venezia Giulia ospita nei suoi centri di accoglienza più migranti e rifugiati entrati via terra che via mare, rispetto ad altre regioni”. Non solo i porti, ma anche le frontiere terrestri sono in qualche modo aperte.
Tra difficoltà ad avere accesso alle informazioni più basilari e dati ministeriali che non corrispondono a quelli delle organizzazioni internazionali, sembra che il silenzio sia il miglior modo per tenere in piedi la farsa dei porti e dei confini chiusi. Soprattutto se al silenzio si aggiungono solo dati tarati secondo i propri scopi. Perché deve essere chiaro che se è vero che i dati sono oggettivi, non lo sono le metodologie della loro estrapolazione o il loro trattamento. L’esempio perfetto è il recente tweet festoso di Matteo Salvini sugli zero sbarchi in Italia nei primi sei giorni del 2019: è estremamente parziale e fazioso, perché prende in considerazione uno spazio temporale minimo, quello che più gli fa comodo, tralasciando inoltre l’analisi dell’intero contesto. Il periodo invernale è quello in cui è storicamente minore il numero delle traversate del Mediterraneo e questo contribuisce a spiegare quello zero dei primi giorni del 2019. Anche nella Spagna primatista di sbarchi nel 2018, non si registrano arrivi negli ultimi giorni. Salvini si prende il merito del risultato italiano, con l’hashtag #dalleparoleaifatti. Ma, ancora una volta, sono solo parole. Anche Gentiloni, volendo, avrebbe potuto fare un tweet simile: dal 25 febbraio al 3 marzo del 2018, per esempio, in Italia ci sono stati zero sbarchi – il 100% in meno rispetto all’anno precedente, per dirla alla Salvini.
In questi mesi il leader leghista si è attaccato a ogni appiglio disponibile per dimostrare all’elettorato una chiusura dei porti che, per fortuna, non esiste. Con la sua prova di forza contro l’Aquarius o la Sea Watch di turno, il ministro dell’Interno ci sta prendendo in giro, facendo peraltro leva su quella guerra alle Ong che tanto paga nell’Italia del populismo. Nonostante questo, però, nella realtà dei fatti i porti italiani e le frontiere restano aperte. Murare i confini è ben più difficile di quello che Salvini vuole farci credere. E soprattutto, non è materia di sua competenza. Per fortuna.
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