giovedì 10 gennaio 2019

Baglioni con i migranti, bocciato da Salvini e da Rai 1 ( da LA STAMPA)


Pubblicato il 10/01/2019
SANREMO
Claudio Baglioni ama giocare intorno alle parole e ai numeri, ma non dice mai nulla per caso. A Sanremo per presentare l’edizione numero 69 del Festival della canzone italiana, da lui diretta, la prende alla lontana: «Il 69 richiama la sincronicità, lo Yin e lo Yang, l’avvicinamento degli opposti. Sanremo 69 deve essere il Festival dell’Armonia in un momento in cui l’armonia in Italia non c’è. Ho sempre pensato che gli artisti facessero battaglie sociali per farsi perdonare il successo, ma ora è diverso. Il Paese è incattivito, guarda con sospetto anche la propria ombra, non sa che direzione prendere, è confuso. Ci attacchiamo all’idea della leggerezza e del correrci incontro come fanno gli eserciti di buona volontà. I fanti sono quelli che tutti i giorni si dedicano al prossimo, gli artisti possono esserne almeno i trombettieri».
Nella sala del Casino municipale tutti sanno che lui a Lampedusa è di casa, e che dal 2003 al 2012 sull’isola ha organizzato il festival «O’ Scià», che non a caso si chiamava come un saluto amichevole che si usa da quelle parti. Gli chiedono come si sente, a fare un festival di canzoni in un momento come questo, e lui smette di ricorrere a giochi di parole: «Se la situazione non fosse drammatica, ci sarebbe da ridere. Ci sono milioni di persone in movimento, non si può pensare di risolvere il problema evitando lo sbarco di 40-50 persone, siamo alla farsa».
E poi ancora: «Non credo che un dirigente politico di oggi abbia la capacità di risolvere il problema, servirebbe almeno dire: è un grave problema, dobbiamo tutti metterci nella condizione di risolverlo. Credo che le misure prese dall’attuale governo, come da quelli precedenti, non siano assolutamente all’altezza. È una grana grossa: se la questione fosse stata presa in considerazione anni fa, non si sarebbe arrivati a questo punto».
Su Lampedusa: «Già 25 anni fa sull’isola si avvertiva quello che sarebbe diventato il fenomeno degli sbarchi, degli arrivi per mare. L’intenzione della mia manifestazione e degli oltre 300 artisti che hanno partecipato era dire: siamo preoccupati per i viaggi per mare irregolari. Ci auguravamo che il movimento non cadesse in mano all’illegalità, allo sfruttamento, alla non gestione. Ma la classe politica e forse anche l’opinione pubblica hanno mancato: è stato un disastro culturale e gestionale».
Sembra di capire che di migranti non si parlerà esplicitamente durante il Festival (di muri invece sì: «A 30 anni dalla caduta del muro di Berlino, i muri li stiamo ricostruendo, anzi non li abbiamo mai abbattuti», ha detto Baglioni, annunciando una rievocazione che potrebbe coinvolgere Marco Mengoni), ma tutti ricordano il monologo di Favino a Sanremo 2018: «Quando ti prendono a calci in culo di nuovo, tu te ne vai di nuovo là dove te ne vai, sei sempre più straniero, sempre meno a casa tua».
La conferenza stampa intanto si chiude, Baglioni non cita mai il ministro dell’Interno Salvini e Teresa De Santis, che aveva scelto l’occasione per la prima uscita pubblica da direttore di Rai 1, non replica. Passa qualche ora e da Roma arriva la reazione di Paolo Tiramani da Borgosesia, capogruppo leghista alla Vigilanza Rai: «Il direttore artistico di Sanremo è pagato, per giunta profumatamente, per parlare di musica non certo di politica. Se questo governo è all’altezza della situazione immigrazione non lo decide un cantante, indubbiamente talentuoso e gradito, ma il popolo italiano che continua ad apprezzare l’operato di Matteo Salvini e di questo governo».
Ancora pochi minuti e sui social interviene il ministro Salvini: «Baglioni? Canta che ti passa, lascia che di sicurezza, immigrazione e terrorismo si occupi chi ha il diritto e il dovere di farlo». La storia - è subito evidente - non finisce qui: dal 5 al 9 febbraio, a Sanremo e non solo, non si parlerà d’altro.

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