Per il momento sono solo segnali di fumo, che nascondono, tuttavia, il fuoco che cova sotto la cenere. E che può divenire un incendio se il governo insisterà con la proposta di colpire le cosiddette pensioni d’oro. Le incertezze nella conduzione della relativa attività legislativa ne confermano l’imbarazzo. All’inizio era solo una proposta di legge a firma dei due capi gruppo della maggioranza, alla Camera. Regolarmente posta all’ordine del giorno della Commissione Lavoro e subito defunta. Ibernata, in attesa che si decidesse a livello governativo. Soprattutto che si cambiasse registro.
La proposta di legge non prevedeva il fantomatico ricalcolo, come più volte annunciato. Ma una semplice penalizzazione per le pensioni d’anzianità. Che tali diventavano solo a seguito di una data scelta arbitrariamente dai firmatari. Chi era andato via prima di raggiungerla, veniva penalizzato in modo permanente. Pieno regime d’arbitrio, quindi, che poteva soddisfare una voglia di vendetta, ma non certo garantire quel minimo di razionalità che avrebbe dovuto ispirare un legislatore avveduto.
Com’era prevedibile quel tentativo ha fatto splash, non appena venuto alla luce sotto gli strali di una critica nemmeno tanta agguerrita. Alberto Brambilla, esponente della Lega con il sale in zucca, che fin dall’inizio aveva eccepito, era stato messo a tacere con toni alquanto bruschi. “Lasciaci lavorare, ragazzo“. Solo che il ragazzo aveva, fin dall’inizio, ragione. Il che spiega il ripensamento. O almeno il barlume di ripensamento. Poiché testi scritti ancora non si vedono. Qualche intervista di sottosegretario al Lavoro, ma soprattutto la faccia feroce di qualche pentastellato che preannunciava pubbliche fustigazioni nei confronti dei grandi parassiti. Copyright di Luigi Di Maio.
Ancora oggi, tuttavia, il pensionato italiano non sa di che morte deve morire. Si era parlato di un emendamento da inserire nella legge di bilancio. Non ne esiste traccia. Quindi tutto rinviato al Senato, nella speranza che la Commissione europea conceda il sospirato via libera. Ma anche in questo caso contrordine compagni. Almeno a giudicare dalle più recenti parole di Durignon, sottosegretario al Lavoro in quota Lega. Per quella scadenza è prevista soltanto la riforma della legge Fornero. Mentre per le pensioni d’oro c’è ancora da discutere. Non tanto sul piano tecnico, quanto dal punto di vista politico. Indice di un evidente contrasto tra la Lega ed i 5 stelle, costretti questi ultimi ad ammainare più di una bandiera.
Alla fine la montagna partorirà il topolino? Difficile rispondere. C’è innanzitutto da superare l’ingorgo della legge di bilancio. Ma subito dopo il controllo di costituzionalità diverrà più stringente. E non basterà l’eventuale provvisorietà delle misure promesse o minacciate. Certo la Corte costituzionale può sempre rivedere le proprie posizioni. Tornare indietro rispetto al suo precedente ultimatum: solo per questa volta, come ha concesso per l’ultimo contributo di solidarietà. Ma non avrà armi contro il mercato. Che già si sta organizzando.
Vi sono strutture ed organizzazioni, operanti nei diversi Paesi, che garantiscono ai pensionati italiani la quasi totale esenzione fiscale. Bastano poche centinaia di euro per acquisire, senza fatica, in meno di una settimana, la residenza in loco e godere dei privilegi garantiti dagli accordi internazionali. Che, come tali, non possono essere cambiati, in modo unilaterale. La platea dei possibili beneficiari è ampia. Riguarda all’incirca 150 mila persone, secondo alcune stime attendibili. Che potrebbero, almeno in teoria, sommarsi agli altrettanti già censiti dall’Inps. Possono trasferire colà la loro residenza abituale. Vivere per sei mesi fuori dall’Italia, non necessariamente nel Paese scelto e garantirsi un reddito che è pari, come minimo, al doppio di quello percepito.
Si tratta in genere di persone con un elevato standing professionale. I più hanno girato il mondo. Parlano le lingue e non hanno particolari problemi di adattamento. Anche perché la comunità italiana all’estero è destinata a crescere rapidamente. Finora la maggior parte di loro ha resistito alle lusinghe dell’elusione fiscale, benché perfettamente legale. Nel corso della lunga carriera ha pagato tutto il dovuto. Con un carico fiscale e contributivo che spesso ha superato l’80 per cento della retribuzione lorda. Non ha quindi colpe da espiare. Avrebbe continuato a pagare, per amore patrio, senso di responsabilità o qualche altro nobile sentimento. Ma non accetta di essere criminalizzato da chi, nella sua vita ha lavorato in nero, seguendo la tradizione di famiglia.
Può quindi cambiare atteggiamento. E prendere, seppure a malincuore, una strada diversa. Nella convinzione di essere nel giusto, contro forme di ingiustificata prevaricazione. Ed ecco allora che i “senza terra”, divenuti tali per una sorta di legittima difesa contro la violazione dei propri diritti costituzionali, potrebbero aumentare in modo considerevole. E trovare in questa scelta individuale, la risposta contro l’arbitrio della maggioranza. A sua volta in difetto per aver calpestato il principio dell’affidamento che è cardine – come più volte sottolineato dalla Corte costituzionale – del nostro ordinamento democratico.
Di Maio e company non si illudano. Le conseguenze di una simile scelta si faranno sentire nel forte calo delle entrate fiscali, si bisbiglia in alcune associazioni di pensionati al di fuori di Cgil, Cisl e Uil. Tanto per cominciare. Per poi riflettersi su una ancor più ampia riduzione dei consumi nazionali. Reazione comprensibile di tanti uomini tranquilli che non accettano di essere messi in berlina. E che, quindi, sono pronti altrove il frutto dei tanti anni di lavoro passato.
Morale: il governo faccia quindi bene i suoi calcoli. Materia in cui ha dimostrato di non eccellere. Meglio evitare, allora, un altro inutile pasticcio. O no?
Nicola Giglio e Michele Arnese/startmag
Nicola Giglio e Michele Arnese/startmag
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