1821.
Erano
a Roma Paganini e Rossini e la sera mi trovavo spesse volte con loro
e con altri maestri coetanei. Si avvicinava il Carnevale, e si disse
una sera: 'combiniamo una mascherata'. Che cosa si fa? Che cosa non
si fa? Si decide alla fine di mascherarsi da ciechi e cantare, come
usano, per domandare l'elemosina. Si misero insieme quattro versacci
che dicevano: Siamo
ciechi, siamo nati/ per campar di cortesia/ In giornata d'allegria/
non si nega carità.
E le altre strofe: Donne
belle, donne care/ Per pietà non siate avare/Fate a poveri cechetti/
un pochin di carità. Siamo tutti poverelli/ senza soldi e senza gli
occhi/ che suonando i campanelli/ e scuotendo li batocchi/ con
do,re,mi,fa,sol,la/ domandiam la carità.
Rossini
li mette subito in musica, ce li fa provare e riprovare, e finalmente
si fissa d'andar in scena il giovedì grasso. Fu deciso che il
vestiario al di sotto fosse di tutta eleganza e di sopra coperto di
poveri panni rappezzati... Rossini ampliò con molto gusto le sue già
abbondanti forme con viluppi di stoppa, ed era una cosa inumana!
Paganini poi, secco come un uscio, e con quel viso che pareva il
manico del violino, vestito da donna, compariva secco e sgroppato il
doppio. Non fo per dire, ma si fece furore: prima in due o tre case dove s'andò a cantare, e poi al Corso, poi la notte al festino.
( Massimo
D'Azeglio, I miei ricordi, II, 1867 – postumo)
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