martedì 25 dicembre 2018

I Conservatori di musica italiani si trasferiscono in Cina, aprendovi delle succursali in piena regola

Di giovani aspiranti musicisti dei paesi dell'Estremo Oriente, la maggioranza  fra tutti gli altri del pianeta, che vengono a studiare canto, in massima parte, nei nostri Conservatori, si sa da tempo. E, parallelamente, da tempo, si sa  sia della polemica relativa al valore legale da attribuire agli attestati dei loro studi nei paesi di origine, prima di entrare nei nostri Conservatori ,  sia della scarsissima conoscenza della nostra lingua che li rende in parte impermeabili ad ogni sorta di insegnamento, sebbene vada loro riconosciuta volontà e determinazione  con le quali, attraverso sforzi sovrumani,  cercano di sopperire a tale handicap di partenza.

Parentesi. Negli anni in cui abbiamo insegnato in Conservatorio, in relazione a tale  grosso problema abbiamo sempre sostenuto che questo gran numero di allievi (Coreani innanzitutto, e poi cinesi e giapponesi), una ricchezza per noi, andava aiutato con corsi ad hoc, obbligatori, di lingua italiana, anche in considerazione del fatto che questi studenti venivano in Italia soprattutto per studiare canto, in particolare il melodramma italiano.

 In altri paesi europei, per accedere ad istituzioni musicali,  anche più importanti dei nostri Conservatori, questi aspiranti allievi devono sostenere un esame di lingua, al quale si annette un peso  notevole per la loro ammissione.

 Dunque   sono queste due le posizioni delle istituzioni musicali europee nei confronti degli studenti dell'Estremo oriente che hanno continuato tuttavia a venire in Italia a studiare, sopportando anche costi economici non indifferenti.

Adesso sembra che tale cammino abbia invertito il suo corso. E la Cina, in questa inversione di tendenza, sembra essere quella che ha preso l'iniziativa  fra le altre nazioni del'Estremo Oriente. Ecco la novità.

 Perché non aprire in Cina rappresentanze dei Conservatori italiani, aprendo delle succursali, con professori ospiti italiani, e diplomi a nome di quei Conservatori italiani che hanno in Cina delle succursali?

La Cina si sta muovendo in tale direzione e  alcuni Conservatori italiani d'accordo con tale linea, hanno in corso  trattative con la Cina. Non sappiamo se analoga iniziativa la Cina abbia preso nei confronti dei Conservatori di altri paesi europei, mete preferite come l'Italia.

Pare si sia già mosso il Conservatorio di S. Cecilia,  per iniziativa del suo direttore Roberto Giuliani, in scadenza, che  così facendo pensa alla campagna elettorale a suo favore, per la riconferma.
 E, dopo Roma, anche altri Conservatori, come ad esempio, quello dell'Aquila, del quale abbiamo letto che il suo direttore, il famoso organista della basilica di S. Giovanni in Laterano di Roma, Piermarini, era in Cina per 'ragioni di lavoro' - era questo il lavoro nel quale era immerso in Cina, e non quello concertistico, per lui 'di tutto riposo',  perchè inesistente e del tutto irrilevante - disertando a fine novembre il concerto che inaugurava ufficialmente l'anno accademico del Conservatorio 'Casella'.

E il Ministero, a conoscenza di questa quasi-frode del made in Italy musicale, che fa? Tace e lascia fare

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