L’esautoramento di fatto del ministro dell’Economia Giovanni Tria operato dalla Lega e dai Cinque Stelle ne rende impossibile la permanenza alla guida del dicastero – Prima si dimetterà e meglio sarà per tutti e soprattutto per lui – Finisce l’equivoco del ministro tecnico di fronte all’invadenza politica e alle mire elettorali di Salvini e Di Maio
Le voci si susseguono superando ogni formale smentita: il ministro dell’Economia Giovanni Tria è stufo di essere considerato irrilevante dai due caporioni che guidano l’attuale Governo. Il premier Conte che fino ad un certo punto era sembrato attento ai ragionamenti del professore, ha improvvisamente deciso di metterlo da parte e trattare direttamente con Bruxelles sperando di fare breccia nel cuore democristiano di Juncker. Si dice addirittura che Tria abbia confidato all’amico Brunetta di non poterne più delle brutte figure e delle umiliazioni che ogni giorno deve subire. A questo punto cosa aspetta il ministro a dimettersi e così separare le proprie responsabilità da quelle del governo giallo-verde che sta portando avanti una manovra economica sconclusionata e soprattutto dannosa per l’economia italiana e per la stessa possibilità di alleviare la povertà e creare lavoro?
Finora la collaborazione di Tria e di altri tecnici con questo governo nato dalla somma di due populismi che hanno ingannato gli italiani, seminando a piene mani illusioni sulla facile soluzione dei problemi che da anni attanagliano il nostro paese, si basava sulla generosa convinzione di poter dare una mano a ricondurre le “promesse elettorali” in misure coerenti con gli equilibri di bilancio e con la necessità di confermare la fiducia dei mercati nella sostenibilità del nostro debito. Insomma, diceva Tria, i politici fanno un po’ di propaganda, ma poi in concreto dovranno capire che certi provvedimenti, come la riforma della Fornero ed il reddito di cittadinanza, dovranno essere attuati in tempi piuttosto lunghi – l’intera legislatura – ma mano che la crescita dell’economia italiana si sarà rafforzata grazie al rilancio degli investimenti pubblici, ed alle altre misure di semplificazione previste.
Ed invece Salvini e Di Maio non hanno accettato questo ragionamento di buon senso e si sono scatenati in una rincorsa a chi era più bravo a mantenere le promesse elettorali. Al grido “il popolo lo vuole” Di Maio ha annunciato l’eliminazione della povertà, mentre Salvini ha dato soddisfazione ai suoi elettori del Nord mandandoli in pensione anticipata a 62 anni com’era sempre avvenuto prima del crack del 2011.
Tria, che pure aveva rassicurato gli investitori ed i partners di Bruxelles che il nostro deficit nel 2019 si sarebbe attestato tra l’1,6% e l’1,9%, si è trovato improvvisamente a dover difendere un 2,4% basato solo su spese correnti e non sugli investimenti sui quali il ministro aveva puntato tutte le sue carte per far passare quello che comunque era uno scostamento rispetto al percorso che il governo italiano aveva accettato appena nel giugno scorso.
A questo punto gli investitori, già in allarme per numerose improvvide dichiarazioni sia di Di Maio che di Salvini sull’euro, sulla assurda decisione di indebitare ulteriormente il nostro paese già schiacciato da un debito che supera il 130% del PIL, hanno gradualmente abbandonato i nostri titoli pubblici facendo salire lo spread fino ad oltre 300 punti, e mettendo in difficoltà le banche e gli altri emittenti di obbligazioni italiane. Basti pensare che Unicredit ha dovuto rinnovare un proprio bond in scadenza pagando un interesse di oltre il 4,5%.
Questa politica di annunci ha già portato perdite per i risparmiatori per oltre 100 miliardi di euro, mentre gli investimenti privati si sono fermati ed i consumi hanno rallentato dato che la gente teme di dover pagare in futuro più tasse per coprire i buchi di bilancio. Il PIL ha smesso di crescere ed anzi per la prima volta dopo quattro anni, è arretrato dello 0,1% già nel terzo trimestre dell’anno in corso. Infine, più grave di tutto, la disoccupazione ha ripreso a salire e si preannuncia per il prossimo anno una vera e propria ecatombe dei contratti a termine grazie al catastrofico “decreto dignità” di Di Maio.
Ora il premier Conte dovrebbe volare a Bruxelles per proporre una rivisitazione della manovra di bilancio secondo le indicazioni della commissione europea. Difficile che questo avvenga. La manovra infatti è totalmente sbagliata ed andrebbe riscritta da capo a fondo, puntando sulla competitività, sulla discesa dello spread, e sugli investimenti pubblici e privati in modo da evitare l’incombente recessione e dare sostegno al mercato del lavoro. Invece si punta a qualche scorrimento nel tempo dell’applicazione di quota 100 per le pensioni ed il reddito di cittadinanza. Misure che forse servirebbero ad aggiustare un po’ i conti nel 2019 ma che metterebbero in grave crisi i bilanci degli anni seguenti. Tutti i numeri del resto sono sballati a cominciare da quelli sulla crescita, dato che nessuno crede veramente che l’Italia possa registrare un aumento del PIL dell’1,5% il prossimo anno. Bene che vada saremo tra lo 0,5 e l’1%.
Su tutto questi numeri aleggia il sospetto di una costruzione truffaldina, avvallata anche da vari deputati della maggioranza che sostengono che si può dare ragione a Bruxelles sui numeri del deficit, tanto si tratta di previsioni che poi a consuntivo possono essere superate. E quando sorgeranno problemi con la UE si vedrà tra un anno come gestirli.
Se così stanno le cose appare improbabile che Bruxelles possa accettare un rattoppo così banale della manovra, che comunque dovrebbe portare anche la firma di Tria. Ed allora il ministro cosa aspetta a svelare il gioco delle tre carte tentato dagli illusionisti che ci governano, e fare così una operazione verità di fronte alla pubblica opinione? E quindi andarsene di corsa.
La parabola del ministro tecnico dell’economia dimostra come per gente assennata sia impossibile collaborare con questi movimenti politici che, come i 5 Stelle non sono democratici, o come la Lega, sono stupidamente sovranisti. Un sovranismo che non produce un vantaggio per gli italiani ma che sta precipitando il nostro paese in una nuova profonda crisi economica e sociale.
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