venerdì 7 dicembre 2018

L'Attila di Giuseppe Verdi alla Scala visto in tv.

Chi non era alla Scala e neanche a Milano, dove l'opera inaugurale  si poteva vedere/ascoltare  in molti luoghi su schermi giganti, o nei tanti cinema nei quali è stata proiettata ( come si usa da qualche tempo, meritoriamente), e s'è messo comodo davanti alla tv in casa,   è stato obbligato  a sorbirsi, durante le tre ore della durata complessiva, oltre l'opera- e ne è valsa la pena - la solita montagna di idiozie che sempre la tv ci propina, quale che sia il titolo prescelto per  l'inaugurazione di stagione a Milano, giustificandosi con la paura che senza banalità ed idiozie, il pubblico televisivo  possa scemare. Dando, perciò, per scontato che quel pubblico, scemi o non scemi nei numeri, sia fatto prevalentemente di scemi. Mentre così non è, per la maggior parte di esso, che, infatti,   si allontana quando sente le solite idiozie, e torna davanti alla tv,  alla ripresa della rappresentazione.

 A fare da ciceroni, inopportuni e non del tutto all'altezza del compito, una coppia: il giornalista Di Bella e la soubrette Carlucci, alla quale si aggiungeva una terza presenza, una bellona biondona e prosperosa, Battistini (?) con il compito di fare da spalla ai due, ed insieme evitargli di scomporsi con i continui spostamenti, che Lei faceva con naturalezza, avendo il 'fisico'.

 Ci hanno raccontato un pò di cose della Scala, di Verdi e della serata inaugurale. Sulla quale già nel pomeriggio, ancora Rai 1- che ha trasmesso l'opera - in un servizio fra i tanti in particolare, ci aveva spiegato che  dalla Scala, specialmente a Sant'Ambrogio, negli anni è passata la STORIA. Che era nelle intenzioni e secondo le immagini mostrate, il passaggio della carovana di notabili, politici del momento ma soprattutto soubrette e donnine, solitamente a corto di stoffa per i loro abiti eleganti, con tanta carne in mostra che neanche un banco di 'macelleria' in un grande centro commerciale ( servizio di Alex D'Alessandro?)  In questa carovana della musica e dell'opera, neppure l'ombra.

Nelle chiacchiere della coppia di ciceroni tv, ricorreva spesso 'backstage' che a noi che non conosciamo l'inglese ed amiamo soprattutto esprimerci in italiano, non siamo riusciti a capire cosa fosse.

 Nè ci hanno aiutato a capire  tutte le cose che hanno detto o fatto dire, gli ospiti di riguardo che li hanno aiutati nell'improbo lavoro, tranne uno,  che era poi il più noto studioso verdiano in Italia,  direttore di una rivista di 'Studi verdiani' del quale però non abbiamo capito il nome, ma solo la qualifica, e che non abbiamo sentito ciò che ha detto, perché ci siamo allontanati dalla tv, trovandolo come sorpresa al nostro ritorno, quando era quasi alla fine della chiacchierata immaginiamo illuminante.

Diversa sorte, per noi davanti alla tv, dalla presenza di Amedeo Minghi che - secondo Di Bella , 'scrive melodie come  del resto faceva Verdi ai suoi tempi', testuale - ha sottolineato che Verdi 'scrive per il coro come scrivesse per un cantante' - anche quando il coro è fatto di coristi (non stiamo a spiegare cosa avrebbe voluto dire, se pure abbia voluto dire qualcosa).

Due fugaci apparizioni di Simona Marchini per la prima volta alla Scala per sant'Ambrogio, la quale dal 'back stage'- ma che sarà mai  sto backstage?- ha detto e ridetto che 'l'opera è una impresa corale, alla quale partecipano cantanti, strumentisti ma anche tecnici e sartine'- categoria particolarmente cara alla nota attrice comica e gallerista romana).

E, ancora più fugace, nel foyer, l'apparizione di una giovane cantante che, prenotata dai microfoni televisivi prima di giungere in teatro, s'era addobbata come doveva, e cioè vestita, anzi svestita, di rosso fuoco, preoccupandosi di non celare al pubblico tv quante grazie aveva in seno.

Per fortuna che c'era l'opera di Verdi, giovanile ma musicalmente già matura, nel senso della personalità anche drammaturgica del compositore, con quel preludio strumentale che da solo 'valeva una messa'. Chailly,  si è meritato gli applausi, lunghissimi finali, l'orchestra  pure e con essa i protagonisti vocali, far i quali quella femminile , nel ruolo di  Odabella,  Hernandez, una vera  entusiasmante scoperta.

 Nel grigio  scuro dello spettacolo, trasferito in epoca bellica - Livermore forse s'è parlato con Daniele Abbabo che al Rigoletto inaugurale di Roma, ha fatto quasi la stessa cosa, quanto ad ambientazione - una unica abbagliante macchia di colore  quella con cui, quasi una mascherata, ha voluto vestire il pontefice che è giunto a cavallo con i paramenti giallo oro ed anche la tiara, che , ad essere precisi, oggi  neppure i papi veri usano più, ma che resta immutato nei secoli  come lo è l'istituzione di cui è a capo.

L'attualizzazione delle regie, 'innovative'  o 'moderne' cosiddette, secondo le  più recenti nomenclature, non ci trova quasi mai d'accordo, specie quando c'entrano come 'i cavoli a merenda' con l'opera in cartellone.
Tuttavia, siamo disposti, qualora promettano di non disturbarci e  non distrarci dall'ascolto, ad accontentarci- si fa per dire - dell'opera, se eseguita 'con tutti i crismi'- che è poi l'unica ragione per la quale ci  siamo tutte le volte recati in teatro. Perchè l'opera non morirà mai, resterà; mentre le regie passano, anche talune memorabili.

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