domenica 9 dicembre 2018

Nel 'Dataroom' del Corriere, la Gabanelli fa i conti alle Fondazioni liriche

Alla vigilia di sant'Ambrogio, giorno nel quale per antica tradizione si inaugura la stagione della Scala di Milano, Milena Gabanelli, con l'ausilio di Paolo Conti, ha fatto i cosiddetti 'conti della serva' alle Fondazioni liriche italiane, il cui dramma vero  e preoccupante è 'nei debiti' che ammonterebbero ad oggi- secondo quanto a Lei dichiarato da Cristiano Chiarot, presidente dell'associazione che riunisce le fondazioni liriche (ANFOLS), a circa 400 milioni di Euro. Una montagna di debiti che  risulta  difficile da abbattere.

 Tralasciando alcune inesattezze, soprattutto nelle cifre riportate nel corso dell'articolo e nei riquadri riassuntivi,  la Gabanelli avrebbe dovuto puntualizzare alcuni fatti positivi ed anche negativi.

 Fra quelli positivi/negativi la diminuzione del FUS - il Fondo Unico Spettacolo -  dal quale si attinge ogni anno una quota, pari quasi al 50% , da destinare alle fondazioni liriche, i nostri teatri maggiori, per intenderci.   Diminuzione che può essere letta  in due diversi modi: un tempo ai teatri arrivavano molti più soldi, che evidentemente qualcuno sperperava; e d'altro canto, i teatri  nel corso di un ventennio circa  sono riusciti a ridurre i loro bilanci ed ad amministrarsi con minori risorse.

Ad oggi alle 14 fondazioni lirico-sinfoniche giungono complessivamente dallo Stato 178 milioni di Euro circa. Quattordici, non una o due, come invece accade all'estero, dove all'Opera di Parigi arrivano 100 milioni di Euro dalla Stato, a Zurigo 80, a Vienna 85,  dove comunque non raggiungono il numero delle nostre, ed alla Scala 25 appena. La grande differenza sta nel fatto che le Fondazioni italiane sono in numero maggiore di quelle dei paesi nostri vicini, e tutte finanziate dallo Stato.

 E la soluzione, da qualcuno prospettata, non può essere la chiusura in blocco di tutte le fondazioni  per poi rifondarle, dopo averle decimate. Che soluzione è questa?

Nè può essere portata ad esempio di buona amministrazione la Scala. Il nostro massimo teatro- che brilla di una sua luce propria e perciò attira  soldi da privati ed istituzione come nessun altro teatro italiano, neppure l'Opera di Roma, della quale viene lodata la buona amministrazione, di Carlo Fuortes, che ha sempre avuto buona stampa, spesso immeritatamente, il quale ha incrementato le entrate ( quali, Gabanelli e Conti, se è riuscito a portare le entrate di botteghino, in quattro anni, da 4 milioni circa a poco più di 7, mentre la Scala, nella sola serata di sant'Ambrogio, incassa oltre 2,5 circa di Euro? E poi le lodatissime tournée internazionali,  alle quali  si accenna, ultimamente in Oman e in Oriente: Gabanelli e Conti sanno se quelle tournée sono produttive economicamente? ne dubitiamo!)

 Nell'articolo una sola volta, di sfuggita, viene nominato il Regio di Torino, del quale recentemente si è scoperto che sotto i tappeti, non c'è polvere  ma cambiali di debito. Gabanelli accenna anche al fatto che l'assegnazione dei contributi statali avviene in base alla produzione. Troppo generica questa affermazione, i criteri di assegnazione sono far i primi a dover essere rivisti

 Nel lungo reportage non si accenna a dovere al fatto che le politiche di contenimento dei costi e di allargamento del pubblico, come anche di reperimento di risorse proprie da affiancare a quelle di botteghino, dappertutto esigue ( fatta eccezione per pochissime fondazioni : Scala e Santa Cecilia) non vengono mai perseguite con convinzione e comunque come meriterebbero. Perché dappertutto, i vertici delle Fondazioni sono espressione  del potere al governo nelle città, il quale governo, ad ogni richiesta di aiuto, risponde  venendo incontro alle necessità. Salvo il caso in cui, cambiato il governo, il sovrintendente si sente rispondere picche. Ed allora  due sono le strade: o dichiarare fallimento o dimettersi per lasciare il posto ad un altro, gradito a chi governa.  E' uno dei mali più grandi delle nostre istituzioni culturali, teatri compresi. Ai vertici  delle istituzioni chi governa ci mette sempre persona gradita, non sempre idonea a svolgere il lavoro.

 In questo dramma, c'è qualche elemento non del tutto negativo, rilevato anche dalla Corte dei Conti e dal commissario Sole, preposto al settore dal Ministero competente. I teatri, quasi tutti chiudono i bilanci in pareggio, la montagna di debiti riguarda direttamente le fondazioni e lo Stato, e che  le fondazioni aderendo alla Legge Bray, hanno garantito che annulleranno in qualche decina d'anni. Troppo tempo. Per questo Chiarot, che siede sulla più grande montagna di debiti, quella della Fondazione del Maggio fiorentino che lui presiede e che ha il primato negativo di 62 milioni di debiti , ha proposto una  soluzione  solo apparentemente impossibile.  Lo Stato che è il maggiore se non l'unico, in molti casi, creditore, azzeri quel debito. Ma poi chi sbaglia paga.

Proprio quest'ultima ricetta dovrebbe essere praticata in ogni caso per ogni situazione: chi sbaglia, senza eccezione, deve pagare. E lo Stato, dopo aver ridiscusso i criteri di assegnazione dei finanziamenti ad un settore che procura all'Italia non solo gran nome nel mondo, ma anche bei soldini  per l'indotto che genera e che -  è bene ricordarlo - impiega alcune decine di migliaia di  musicisti e tecnici ad alta specializzazione, la smetta di fare il Pantalone al quale tutti possono rivolgersi per spillargli altri soldi e coprire vergognose magagne.



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