guidare v. tr. [dal provenz. guidar, di origine franca]. – 1. a. Accompagnare, condurre qualcuno facendogli da guida: g. una comitiva, un amico; g. alla visita di una città, di un museo; g. per luoghi sconosciuti; g. i soldati all’assalto; g. un cieco. Per estens., di cose materiali che, per essere punto fermo di riferimento, servono di guida: le stelle guidavano gli antichi marinai; smarritosi nella notte, si lasciava g. da una luce lontana. Con senso più concr.: g. la mano di qualcuno; g. un arnese, uno strumento, perché vada diritto. b. Essere a capo, dirigere: g. i popoli; g. un esercito; g. un’impresa, un’azienda; g. le danze; g. l’orchestra, dirigerla, dando la battuta del tempo. c. In senso fig., indicare o ispirare la via da seguire, agendo sullo spirito, sulla mente: g. i giovani; Avete il novo e ’l vecchio Testamento, E ’l pastor de la Chiesa che vi guida(Dante); riferito anche a cose astratte: norme precise che guidano nei casi dubbiosi; le idee che guidarono gli uomini del Risorgimento. In partic., dirigere a un fine, accompagnare fino al termine voluto: g. la nazione verso la pace, al benessere; la virtù guida gli uomini a Dio; g. i giovani al gusto dell’arte; g. una pratica negl’intricati meandri della burocrazia. d. ant. Amministrare: un giovinetto pisano chiamato Lorenzo che tutti i lor fatti guidava e faceva(Boccaccio). 2. rifl., non com. Regolarsi, condursi: rimasto solo, dovette guidarsi da sé; non gli fu facile guidarsi in quell’ambiente pieno di invidie e di gelosie. 3. Regolare, vincolare il movimento di un oggetto, accompagnandolo o agendo altrimenti su di esso perché proceda nella direzione voluta: g. una punta scrivente lungo una circonferenza; g. la mano di un cieco. In partic., condurre animali o veicoli, farli avanzare regolandone i movimenti o agendo sui comandi: g. i cavalli; g. una pariglia, un bel tiro a otto; g. la carrozza, la motocicletta, l’automobile; g. in porto una nave (per le navi e gli aeromobili è più specifico il verbo pilotare). Usato assol., condurre un autoveicolo: sapere, non sapere g.; sto imparando a g.; g. bene, male, con sicurezza, come un incosciente. ◆ Part. pass. guidato, anche come agg.: esercizî guidati, eseguiti dall’alunno secondo particolari tecniche didattiche. In radiotecnica, onde guidate, quelle che si propagano in una guida d’onda.
Siamo ricorsi al dizionario per eccellenza, Treccani, per per sondare la possibilità di dare ragione a Giuseppina Manin che oggi usa quel verbo per dirci che Chailly dirigerà l'opera inaugurale della Scala, perchè lei scrive GUIDERA'. Avrebbe potuto scrivere anche 'concerterà' che è un verbo che, sostantivato, si legge ancora su qualche locandina di teatro che si rispetti: Maestro concertatore e Direttore. In effetti, il maestro concertatore - quello che cioè mette insieme l'opera - può essere diverso da chi poi in teatro la dirige; diciamo che solitamente le due attività coincidono e sono assunte dalla medesima persona.
L'uso di usare verbi e termini italiani - conduttore, guida, conduce ecc...- è una moda recente e proviene dalla conoscenza dalle quattro parole inglesi ( conductor, conducting e due altre ancora), non di più, che alcuni giornalisti conoscono e vogliono far sapere di conoscere. In questa divulgazione linguistica si sono distinti due del gruppo L'Epressso' ( Lenzi, Bentivoglio) ambedue formatisi nella facoltà della 'Nuova Italianistica' dell'Università di Roma. Ora segue le stesse orme anche una veneziana laureatasi a Ca' Foscari, Giuseppina Manin, ma attiva a Milano, dove alle sue orecchie sono arrivati gli echi delle innovazioni romane, subito adottate.
A proposito di Attila
In questi giorni abbiamo letto presentazioni su presentazioni dell'opera giovanile di Verdi che inaugura, la settimana prossima, la stagione scaligera. Abbiamo letto che la madonnina che rovina per terra in un bordello, dopo le proteste di un ignaro sindaco che voleva mettersi in mostra, è stata sostituita - anche perchè sinceramente gratuita, caro Livermore - da un soprammobile qualunque, ma Chailly ci ha anticipato anche che si ascolteranno alcune battute strumentali aggiunte da Rossini all'opera di Verdi. Forse avrebbe dovuto spiegarci quando, come e perchè: sarebbe stato più interessante. Anche perchè, oltre l'aggiunta di un brano scritto da Verdi appositamente per una certa occasione, l'Attila è quello che consociamo. Ma come non è una novità assoluta? Certo che non lo è. Pochi anni fa, durante la sua permanenza a Roma, Riccardo Muti la diresse, con la regia di Pizzi (ci fu anche qualche disparità di vedute fra il direttore e regista, finita sui giornali) e presentò l'opera al pianoforte, nell'Aula magna dell'Università 'La Sapienza', sotto lo storico affresco di Sironi.
Fu quella l'occasione anche per la consegna al direttore della laurea 'honoris causa' attribuitagli nella ricorrenza dei 700 anni della 'Sapienza' ma non consegnatagli materialmente in quella occasione, causa manifestazione studentesca di contestazione al Rettore.
Aggiungiamo che quella consegna, in occasione della presentazione di Attila, rappresentò una delle più vergognose ed irrituali cerimonie. Anche per questo i giornali ne avrebbero dovuto conservare memoria. Perchè nessuno ha ricordato, dunque, che la si era vista ed ascoltata appena pochi anni fa, diretta da un grande direttore, come Riccardo Muti? Si teme che faccia ombra a Chailly, che ogni tanto va dicendo che al suo più noto collega ha rivolto inviti su inviti, finora inascoltati, perché ritorni nel teatro milanese? Ci avrebbe dovuto pensare proprio Chailly a citare tale importante precedente. Un'altra occasione persa che a Muti certamente non sarà sfuggita.
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