mercoledì 31 gennaio 2018

Radio Classica. e Classici Svarioni

Classica è la radio che trasmette 24 ore su 24 musica classica di ogni stile ed epoca. Semplici annunci con autori ed interpreti e via il brano in questione. Professionale.
 Oggi trasmetteva 'Les Préludes' di Franz Liszt,  ispirato da un brano  delle Méditations poétiques di Alphonse de Lamartine, autore che non ha certo bisogno di presentazioni, tanto è conosciuto . Ed altrettanto conosciuta è da tutti la pronuncia del nome, trattandosi di un autore continuamente citato. Conosciuto da tutti tranne che dallo speaker che annunciava il brano, il quale ha pronunciato: Lamarten e non Lamartin. La prossima volta faccia attenzione.

lunedì 29 gennaio 2018

Per una volta che Virginia Raggi fa una cosa buona, riconosciamoglielo!

 Occorre premettere che in queste ultime settimane Roma sembra come  essersi svegliate dal lungo sonno nel quale era piombata un anno e mezzo fa, da quando l'Amministrazione Raggi sembrò averla addormentata con i barbiturici, che l'hanno immobilizzata ed impedito, di fatto, di reagire, salvo poche eccezioni.
 Si vedono per strada cataste di legna da ardere, frutto dei tagli dei pini, secolari o no, che il Servizio Giardini, finalmente di nuovo attivo, ha deciso di abbattere, o perchè pericolanti o perchè ritenuti non in buona salute, a dispetto talvolta delle apparenze.

 Segno che qualcosa si muove, sebbene le buche ammazzacristiani e distruggimachine siano sempre lì in bella mostra e le strade, specie dopo qualche pioggia, mostrano il manto stradale come bombardato.

 Per la risoluzione definitiva dell'emergenza monnezza, ci hanno detto di aspettare due o tre mesi, forse solo allora sarà risolta, ma forse solo alla bell'e meglio. Pazienza.

 Si ha l'impressione che nel mese che ci separa della Politiche del 4 marzo,  l'Amministrazione sia in piena attività per non  danneggiare i Cinquestelle che considerano Roma  come la loro prima grande sconfitta, che potrebbe mettere a rischio i risultati elettorali che i sondaggi danno brillanti .

Comunque fino alle ore 24 del 4 marzo qualcosa la Raggi e la sua Giunta  sicuramente combineranno. Poi, forse... addio sogni di gloria!  Sia che i Cinquestelle vincano sia che perdano; tanto quel che è fatto è fatto; e la Raggi potrà finalmente  di nuovo riposare come sembra aver fatto in questi diciotto mesi di non governo capitolino.

Ma in queste settimane è talmente attiva da occuparsi perfino della toponomastica, cioè dei nomi delle strade, visto che  ha deciso di  cambiar nome a quelle intitolate a tre scienziati che firmarono le leggio razziali. Brava! Se  fa una buona pensata, una delle pochissime, bisogna dargliene atto e non dire che  l'intitolazione di tutte le strade andrebbe rivista. Anche se ha ragione chi ha detto questo, pensando a quelle strade intitolate a chicchessia, sull'onda  della commozione o anche di altri interessi, a persone di cui spiegare in futuro cosa abbiamo fatto e perchè sia stata loro intitolata una strada sarà impresa impossibile. Certe intitolazioni sono dettate dal detto comune che vuole che si 'batta il ferro finchè è caldo'.

Sbaglia, invece, chi riconosciuto appena un piccolo merito alla sindaca,  si lancia a dire che il nostro paese sarà veramente civile, quando  dodici strade verranno intitolate ad altrettanti emeriti professori e scienziati che sotto il regime dovettero abbandonare l'insegnamento e le ricerche perchè non vollero firmare le leggi razziali, come loro richiesto dal Regime.

 Intanto un primo passo è stato fatto,  per il secondo diamoci tutti da fare, incalzando la sindaca che, con la cancellazione dei nomi di quelle strade, sembra essersi avviata per la  buona strada dell' abiura del fascismo, sulla quale è fondata la nostra Repubblica.

domenica 28 gennaio 2018

Tommaso Cerno, candidandosi alle Politiche per il PD renziano, ha fatto un regalo a La Repubblica quotidiano, dove però ci vuole ben altro per la rinascita

Chi ha nominato Tommaso Cerno, appena qualche mese fa,  condirettore del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, per affiancare Mario Calabresi in una direzione che dopo Ezio Mauro non ha portato granchè bene al giornale, ne esce scornato.
Le sorti di un giornale non è certo la nomina di un condirettore a risollevarle, meno ancora la nomina  può fare se il condirettore  non va ad alleviare la fatica al direttore di un giornale che va a gonfie vele bensì di un direttore che  fa navigare in cattive acque il giornale che gli è stato affidato; ed aggiungiamo, se  il condirettore in questione non è mai andato a genio né al direttore - che lo considerava  come l'usurpatore che si stava crescendo in seno, la stessa teoria che andavano sussurrando voci esterne al giornale ma che di esso conoscono tutto - nè alla redazione che considerava il suo arrivo un'onta alla gloriosa redazione ed al padre nobile, entrato in rotta di collisione, neppure tanto velata con il vecchio proprietario, ora presidente onorario del Gruppo, il quale pure non aveva gradito la nomina di Cerno. Chi lo ha imposto, allora?


Alla fine della storia, chi aveva voluto quella nomina, se  nessuno l'ha poi condivisa, al punto da costringere l'aitante giovanotto a lasciare il giornale, per 'motivi personali' e per più pressanti impegni di carattere politico dove continuare le  battaglie civili avviate prima di entrare  nel giornalismo (prima come attivista dell'Arci Gay, poi come militante in AN,  e infine come  microfono umano di un politico della sua terra), che è la ragione più stupida che poteva addurre?


Per adesso una battaglia civile, un grande favore, Cerno l'ha fatto a Repubblica e a  Calabresi che non l'hanno più fra i piedi; e forse anche a se stesso, se  per qualche anno sarà  a libro paga dello Stato, guadagnando più che al giornale e forse  con meno sudore che altrove, Repubblica compresa.

Ma la sua uscita  non risolve certo i problemi del glorioso quotidiano che sembra aver smarrito la rotta; giacchè lo stesso comandante (ex comandante, De Benedetti) con le sue numerose bordate  all'indirizzo del management del quotidiano, dei suoi dirigenti e dello stesso fondatore, sembra voglia mandare quella nave di carta, non in buona salute, e che avrebbe bisogno di un lungo rimessaggio e di un nuovo  comandante di lungo corso ,come anche di una bussola,  a sbattere sugli scogli  della perdita di consensi oltre che di vendite.

Stile 'Bellomo' e Stile 'Macron'. L'abito fa il monaco

Per stile 'Bellomo' si intende quell'insieme di regole che l'ex giudice imponeva alle allieve che si iscrivevano alla sua scuola, che preparava al Concorso per l'ingresso in magistratura, e consisteva in sintesi in: minigonne vertiginose, erano indicati i centimetri dalla vita in giù, camicette  il più possibile risicate - più precisamente minigonne nere come la biancheria intima - e camicette bianche, scarpe tacco dodici. Le studentesse, aspiranti magistrate acconsentivano senza chiedersi, fino a poche settimane fa quando è scoppiato il bubbone, se quello era il look per  presiedere udienze in tribunale o per passare serate in night club; e Bellomo non lo specificava, lasciava le cose  nel vago.

 Noi ci siamo tante volte battuti per dire che l'abito fa il monaco, ogni qualvolta parlando di come ci si doveva vestire per andare a concerto o all'opera, c'era qualcuno che diceva il contrario, e cioè che ci si poteva vestire come si voleva, senza regole particolari per l'ingresso nei templi della musica, perchè anche in quel caso l'abito non fa il monaco.

 A smentirli anche le immagini di tanti giovani, fotografati nei foyer dei teatri,  dall'Opera di Roma  alla Scala,  che erano vestiti di tutto punto, a festa, come se invitati ad un matrimonio o ad una festa da ballo. Dunque la risposta è che ogni luogo, in qualunque modo la si pensi, richiede un certo look, e a questa regola non scritta pare si attengano tutti, anche i giovani, in difesa di quelli sciamannati, si sostiene che non vanno ai concerti o all'Opera perchè si chiede loro di mettere abiti diversi da quelli adoperati, ad esempio, nel luogo di lavoro, dove comunque occorre vestirsi in un certo modo, certamente non con pantaloncini, canottiere e sandali infradito.

 Questa regola l'ha ribadita di recente anche il Presidente della Repubblica di Francia. Una regola che noi abbiamo indicato come 'stile Macron'. Fatte salve le minigonne della sua  agiata signora, che potrebbe anche risparmiarsele, il Presidente francese ha fatto sapere che coloro i quali partecipano alle assemblee  nazionali devono aveva abiti acconci. Ad esempio, uno come Salvini, con quelle felpe colorate, sulle quali in petto gli scrivono dove sta andando quel giorno, sarebbe messo alla porta dagli uscieri dell'Assemblea nazionale francese, prima ancora che apra bocca (dopo di che lo caccerebbero comunque). E bene farebbero

A Roma le 'Santa Cecilia' sono due. Lo tengao a mente al Corriere della Sera -Roma

L'altro ieri si è riparlato di Santa Cecilia a Roma. Quale delle due, perchè a Roma c'è l' antichissima Accademia di Santa Cecilia, che da una decina d'anni s'è trasferita, baracca e burattini, all'Auditorium Parco della Musica e il Conservatorio di Santa Cecilia che è l'istituzione preposta alla formazione ed all'istruzione musicale dei giovani e che ha sede in Via dei Greci, a due passi da Piazza del Popolo. Serve aggiungere che il Conservatorio   è stato in qualche modo  partorito dall'Accademia che è la madre di ogni consesso con scopi e finalità musicali e che ha una storia lunghissima di secoli ( fu fondata, se ricordiamo bene, nel Cinquecento, mentre il Conservatorio che reca lo stesso nome, risale all'Ottocento).

Non è raro che i giornalisti ed i loro giornali confondano le due istituzioni, come è avvenuto l'altro ieri quando, tornando a parlare di uno scandalo di molti anni fa, riguardane corsi fantasma al Conservatorio di Santa Cecilia, il Corriere della Sera, con una didascalia ha fatto capire  di non essere a conoscenza che le istituzioni, intestate alla Santa protettrice della musica, sono due e molto diverse.

 Ilaria Sacchettoni che ha firmato l'articolo, sembrava informata, mentre invece la redazione no. Infatti sotto una foto che ritraeva l'Orchestra dell'Accademia di santa Cecilia nel nuovo auditorium, si leggeva la seguente didascalia: "L'Orchestra di Santa Cecilia il cui Conservatorio avrebbe subito una truffa da 500.000 Euro". L'accaduto illecito riguardava il Conservatorio e non l'Accademia, la quale all'indomani, con un breve comunicato, ha marcato la differenza con  Santa Cecilia n. 2, cioè il Conservatorio


Questa volta è toccato al 'Corriere' inciampare, ma in altre occasioni  sono inciampati sull'argomento anche altri giornali che pur avendo da tempo la redazione a Roma, non hanno ancora capito come stanno le cose.
 Riassumendo. L'Accademia di Santa Cecilia, che svolge attualmente la sua attività prevalente in campo concertistico (pur avendo al suo interno alcuni corsi di perfezionamento musicale) non ha niente da spartire con il Conservatorio di Santa Cecilia, che  è una scuola 'superiore' di studi musicali, con il quale un tempo condivideva la sede ed anche la biblioteca; ora non più, essendosi l'una e l'altra dell'Accademia  trasferite al Parco della Musica.

sabato 27 gennaio 2018

Pizzarotti a Parma. Il primo sindaco cinquestelle attento al festival musicale della sua città

Una eccezione del tutto casuale? Sì, una bella  eccezione, poco importa se casuale, quella del Festival Verdi di Parma, nel panorama politico italiano dove festival, soprattutto musicali, si chiudono, si distruggono... mai che ne nasca uno nuovo. Anche se, c'è da considerare che la città di cui parliamo ha una vocazione musicale ed una storia che non possono non avere il loro peso. Verdi, Toscanini... tanto per fare due soli nomi.

Quando, dopo l'uscita della coppia Fontana-Arcà da Parma,  avevamo tante ragioni per nutrire dubbi sulla rinascita del Festival Verdi, che anche loro non erano riusciti a fare, in ragione della  scarsa caratura dei nuovi reggitori voluti da Pizzarotti, ed ancora l'altro ieri ne abbiamo manifestati a proposito dell'ininfluente Istituto Nazionale di Studi Verdiani di Parma che il sindaco ha voluto affidare alle mani -   poco esperte  musicalmente e musicologicamente, mentre politicamente e diplomaticamente abilissime - di Nicola Sani, non potevamo immaginare che l'arrivo di Roberto Abbado alla direzione del festival avrebbe potuto avviare la sua rinascita. Come dimostra chiaramente, anche per i tempi ma soprattutto per i contenuti, la diffusione del programma della edizione 2018 del prossimo autunno.

A proposito della quale non può sfuggire la composizione del Comitato scientifico( che abbiamo riprodotto nel post precedente, prendendolo da 'Opera Click'), nel quale c'è un 'casino' di direttori, tutti membri arcititolati ma prima ancora direttori di dipartimenti e di istituti musicologici di un certo rilievo. C'è perfino un rappresentante di una nuova pubblicazione verdiana estera, edita dall'Università di Berna,'Verdi Perspektiven', sorta dopo la diaspora di buona parte di musicologi verdiani facenti capo all'Istituto di Parma, che hanno deciso di andar via da Parma e ritrovarsi a Berna dopo l'arrivo di Nicola Sani e della sua corte, poco verdiana.

 Nel Comitato c'è anche una longa manus dell'Istituto verdiano di Parma, questa volta 'femminile', rappresentata da Alessandra Carlotta Pellegrini,  direttrice scientifica a Parma, per grazia di Sani, sulla cui naturale incompetenza in fatto di studi verdiani nessuno ha mai nutrito dubbi. Lei viene indicata come  direttrice scientifica della edizione critica di carteggi e documenti. Perciò ininfluente, e solo per salvare la faccia (Pizzarotti non poteva ignorare l'Istituto che è, come il festival, affidato alla sua responsabilità di amministratore, almeno per salvare la faccia). Nulla a vedere con le edizioni critiche delle opere che, per il Festival Verdi , sono affidate a  musicologi di altra provenienza e di più nota caratura scientifica, con la benedizione di casa Ricordi. 
(Detto fra noi, se fossimo stati al posto di Sani, della Pellegrini e di qualche altro membro di quella corte dei miracoli, dopo tutte le critiche feroci rivoltegli, ci saremmo dimessi. Loro no, perché  hanno la faccia tosta - ma nelle aule universitarie dove in insegna a parlar forbito, direbbero: la faccia come il c... 

 Ma c'è anche un altro appunto da fare, questo a Roberto Abbado che, per le edizioni critiche si avvale della consulenza di Ricordi e del suo staff musicologico ed organizzativo, alla stessa maniera con cui Riccardo Chailly  fa con le opere di Puccini, per le cui edizioni non si avvale di quelle edite dalla Fondazione Puccini italiana - che a differenza di quella verdiana di Parma,  raggruppa  il fior fiore dei musicologi pucciniani. Nel caso di Puccini siamo di fronte all'ennesimo scandalo. lo Stato finanzia l'edizione critica delle opere del musicista, il massimo teatro italiano non  si serve di  quelle edizioni. E così di edizioni delle opere pucciniane ne avremo per ogni titolo un paio.

Certo Roberto Abbado vuol dire Ricordi, e forse Ricordi non ha buoni rapporti con l'Istituto Nazionale di Studi Verdiani, sebbene anni fa abbia pubblicato l'edizione critica di Traviata, effettuata da un musicologo di quell'Istituto,  Fabrizio Della Seta, ai tempi della presidenza Petrobelli. Perciò  anche sotto il cielo verdiano di Parma, come sotto quello pucciniano di Torre del Lago - o Lucca, se si preferisce - la confusione è grande!  
Ora, dopo la morte di Simonetta Puccini, si spera che quel Comitato di gente competente non avrà più le mani legate e potrà proseguire il suo lavoro di ricerca, col solo intento di offrire al mondo l'immagine più autentica del musicista e delle sue opere. E forse Chailly ed anche casa Ricordi cambieranno fornitore.

Festival Verdi di Parma. Un comitato scientifico con una casino di direttori ( da Opera click)

Unitamente al Direttore musicale la Fondazione Teatro Regio di Parma ha presentato il Comitato Scientifico per il Festival Verdi. Il Comitato è diretto dal Professor Francesco Izzo, ordinario di musicologia presso l'Università di Southampton dove è attualmente Direttore del Dipartimento di Musica, ed è composto da Francesca Calciolari, dottore di ricerca in Musicologia presso l'Università degli Studi di Pavia e rappresentante della Casa Ricordi, ove lavora nell'ambito della pubblicazione dell'edizione critica dell'opera omnia di Giuseppe Verdi; Damien Colas, directeur de recherche al Centre National de la Recherche Scientifique e presso l'Istitut de Recherche in Musicologie di Parigi; Alessandra Carlotta Pellegrini, direttore scientifico dell'Istituto Nazionale di Studi Verdiani e membro della Commissione per l'Edizione dei carteggi e dei documenti verdiani; Alessandro Roccatagliati, Professore di Musicologia e Storia della musica nell'Università di Ferrara e membro italiano del Comitato scientifico di VerdiPerspektiven.
Il Comitato Scientifico per il Festival Verdi avrà il compito di fornire una piattaforma di consulenza e dialogo tra l'ambito della ricerca musicologica e quello finalizzato alla produzione ed esecuzione delle composizioni verdiane al Festival Verdi. Il Comitato supporterà le scelte di programmazione all'interno del vasto repertorio verdiano, con scrupolo filologico, attraverso l'adozione di edizioni critiche, ove esistenti, e la promozione, d'intesa con Casa Ricordi, di nuove edizioni critiche per i titoli che oggi non ne sono dotati. Primo segnale di questo nuovo indirizzo è l'adozione delle edizioni critiche per tre delle quattro opere in programma nell'edizione 2017 del Festival, di cui una, in fase di completamento, sarà eseguita in prima assoluta.

giovedì 25 gennaio 2018

NON VOTARE. Perchè? I casi di Giulia Bongiorno ( Lega) e di Stefania Saccardi (PD)

No ci si dica che stiamo cercando il pelo nell'uovo, perchè in fondo di due casi, isolati, si tratta.No, non sono casi isolati, non  rappresentano una esclusiva di questa o quella forza politica e non sono limitati a questa o quella area geografica. Il malcostume, l'illegalità, il privilegio immeritato alberga ovunque. E questi sono solo due casi, i più recenti, fra i tanti che ogni giorno la cronaca ci rimanda invogliandoci a NON VOTARE.

Giulia Bongiorno è l'avvocato penalista che si è fatto un nome assumendo la difesa di Giulio Andreotti e successivamente di Raffaele Sollecito, e ricavandone, per il buon esito dei rispettivi giudizi,  notorietà e soldi.
 Da tempo insieme alla soubrette Michelle Hunziker, sposata Trussardi, ha fondato una associazione che si prodiga per la difesa delle donne vittime di abusi, violenze, il cui nome è 'Doppia Difesa'.
 Poprio ieri, Il Fatto Quotidiano, con un lungo articolo di Selvaggia Lucarelli, segnala che quell'associazione che dice di prodigarsi per le donne vittime di qualunque cosa e di chiunque, di fatto non esiste o, se esiste, è inattiva. La giornalista, messa sull'avviso da tante donne che si sono rivolte all'Associazione della Bongiorno-Hunziker negli ultimi tempi, ha provato a cercare l'Associazione, telefonicamente. Come avevano lamentate  tante donne prima della Lucarelli, ai numeri  dell'Associazione non risponde nessuno, mentre l'avvocato e la soubrette, tengono insieme anche una rubrica su un noto settimanale e hanno la possibilità di usufruire del 5x1000. Doppio, triplo imbroglio. L'inattività del recapito telefonico dell'Associazione viene motivata con la mancanza cronica di fondi, che avrebbe dovuto indurre le due fondatrici a chiuderla o semmai, nel frattempo, a non chiedere soldi  ai cittadini per la sua ATTIVITA', CHE , SEMPLICEMENTE, NON ESISTE. O forse, più ragionevolmente, avrebbero potuto mettere mano nelle loro stesse tasche, che non sono vuote, e intanto autofinanziarsi.
 E invece no, e la Bongiorno ha anche la faccia tosta di presentarsi come candidata nella Lega di Salvini alle prossime politiche. Non solo da Lei mai e poi mai compreremmo una macchina usata - come recitava una celebre pubblicità - ma  Lei, non c'è ragione per  votarla, perchè una che racconta balle ancora prima di essere eletta  deve starsene a casa, anche quando venisse candidata 'per forza', 'contro la sua volontà' o ' a sua insaputa', formule giuridiche che l'avvocato conosce bene.

Sempre ieri, e sempre Il Fatto Quotidiano, raccontava un altro episodio, in quota PD, riguardante l'assessore alla Sanità della Regione Toscana, Stefania Saccardi, che   verrà candidata alle prossime politiche per lo stesso partito., quello di Renzi - è bene specificarlo visto le tante anime della sinistra nel nostro paese.

 Che ha fatto di tanto grave da confermarci nel nostro proposito di NON VOTARE? L'Assessore, in un primo momento candidata alla Presidenza della Regione, poi dirottata  in Parlamento- dove il PD spera faccia meno danni, perchè nulla farà ne siamo certi, in quanto quel seggio è solo il premio di una vita di fedeltà ai vari gigli magici e non-  è titolare PROPRIETARIA , in toto o in quota parte, di una decina e passa di immobili, 14 per la precisione, ma vive, con una affitto calmierato - di quelli che sono riservati a chi non ha possibilità economiche - in una casa di proprietà dell'Istituto di sostentamento del clero' della diocesi di Firenze. Istituto che, per i suoi alti  scopi sociali, gode anche di  un finanziamento della Regione Toscana. ( magari facente capo all'assessorato alla Sanità di cui Lei è titolare). L'Istituto che le ha procurato quell'appartamento, dandoglielo in locazione ad un prezzo vergognoso per Lei che è comproprietaria di 14 immobili, è diretto da suo fratello, Simone.

Ecco perchè NON ANDREMO A VOTARE. E nulla potrà indurci a cambiare idea. Neanche quei colleghi giornalisti che ieri dalla Gruber hanno spiegato che  così facendo contribuiamo a far eleggere  esattamente quelli che non vorremmo mai fossero eletti, come è accaduto negli USA, dove 90 milioni di cittadini non hanno votato, e i 60 milioni  che hanno votato hanno mandato alla Casa Bianca, quel campione di Trump. Un  cataclisma per l'America, forse più distruttivo dei ricorrenti cicloni ed uragani e perfino del buco dell'ozono, di cui, al mondo, solo lui non si preoccupa.

P.S. Questo post è il risultato della lettura della denuncia di Selvaggia Lucarelli sul Fatto Quotidiano.
 Le titolari di Doppia Difesa hanno minacciato denuncia. Ma se a seguito dell'articolo della Lucarelli, la Fondazione della Bongiorno-Hunziker funzionerà meglio o funzionerà finalmente,. l'articolo della Lucarelli è servito allo scopo.  Che coincide con quello della Fondazione'Doppia Difesa' ,cioè offrire  assistenza alle donne vittime di molestie, maltrattamenti,violenze ecc... 

Piuttotso che denunciare - cosa che la Bongiorno sa sicuramente fare - sarebbe opportuno che la Fondazione mostri la medesima determinazione e lo stesso tempismo nello svolgimento della sua attività. Bastano i fatti a smentire quello che ha scritto la Lucarelli, una querela  non serve, suonando come minaccia contro inchieste e denunce future.

 Il nostro invito a non votarle e a  non votare resta valido, perchè non ci si può mettere in regola solo dopo una denuncia giornalistica. Quali che siano le conclusioni delle eventuali indagini, è certo che Doppia Difesa non ha rappresentato il massimo dell'efficienza nel raggiungimento degli scopi statutari, se molte donne che si sono rivolte alla Fondazione non hanno avuto risposte adeguate.

Perchè i giornalisti ex parlamentari non lanciano una campagna contro i vitalizi?

Fanno presto i giornali a scrivere che i parlamentari non si autoridurranno mai - cancellarli poi sarebbe un suicidio, e  non si può pretendere che lo facciano i diretti interessati - ricalcolandoli, come tante volte è stato detto e scritto, i vitalizi. La gran parte di loro, 'papponi' di professione, ma non per scelta bensì per 'costrizione' pubblica, hanno avanzato ragioni sacrosante contro la cancellazione  del vitalizio: sarebbe incostituzionale azzerarli, non si cancellano diritti acquisiti... incorrendo nello sberleffo di una nazione che attraversa ancora una crisi generale, mentre loro, solo loro, se la godono e a lungo, perchè quei vitalizi servono a fargli fare una bella vita.

 I giornali si sono buttati  sul'argomento? Sì e no. Perchè  ci sono molti casi di giornalisti coinvolti. Qualcuno ha tirato fuori la storia, Scalfari, ad esempio,  che percepisce  il vitalizio da una trentina d'anni, che non può rinunciarvi!
 Sì l'assurdo di questa storia è che molti di questi vitalizi, nel caso specifico dei giornalisti devono essere goduti 'a forza'. Lo Stato glieli dà contro la loro volonttà.

Allora se tutti sono d'accordo,  quantomeno  la gran parte di essi, promuovano una campagna dura contro il privilegio dei vitalizi, costringendo il Parlamento e mettere fine ad un privilegio immeritato e costoso (per i cittadini).

Se un giornalista solo, negli USA, è riuscito a far dimettere un presidente, perchè un bel drappello di giornalisti, in Italia, non può far  cancellare questo scandaloso, sconcio furto legalizzato? Anche perchè se perdessero il vitalizio o gli venisse ricalcolato sulla base dei contributi versati, non è che morirebbero di fame, perchè nel loro caso  il vitalizio sarebbe la seconda pensione di cui godono, oltre quella da giornalista che non è  certo 'da fame'.

 Ci sarebbe solo da riunirsi e firmare un documento per l'abolizione del vitalizio, ed avviare una battaglia. Sono in numero sufficiente ed hanno sufficienti forze per impegnarsi  nella causa, come hanno sempre fatto per altri battaglie civili.

 Ecco una lista, nella quale c'entra anche  qualcuno che  oltre che il giornalista, ma non per caso, svolge una seconda o terza professione,  una volta uscito dal Parlamento, con il rischio di beccarsi anche una terza pensione.

Eugenio Scalfari, Jas Gavronski, Paolo Guzzanti, Fabrizio Del Noce, Furio Colombo, Beppe Giulietti, Fiamma Nirenstein, Demetrio Volcic, Sandra Bonsanti, Walter Veltroni ( dir. L'Unità), Alberto Arbasino, Massimo Cacciari (opinionista televisivo fisso, giornalista di fatto), Giuseppe Caldarola, Mario Capanna ( lottatore continuo a favore dei vitalizi), Luciana Castellina,  Cayetana De Zulueta, Oliviero Diliberto, Vittorio Emiliani, Francesco Ferrarotti ( sociologo, fustigatore televisivo delle ingiustizie sociali), Raniero La Valle,  Antonino Macaluso , Roberto Michelini, Mauro Paissan,  Vittorio Sgarbi, Gennaro Malgieri, Rossana Rossanda, e chissà quanti altri...

 Coraggio fateci vedere che sapete fare, tirate fuori gli attributi, e rinunciate ai contributi immeritati!

mercoledì 24 gennaio 2018

Arena di Verona. Aria nuova, musica nuova e facce nuove. Cecilia Gasdia mette a nuovo l'Arena

Franceschini ha firmato il decreto di nomina del soprano veronese, ora non più in attività, Cecilia Gasdia a sovrintendente dell a Fondazione Arena di Verona, dopo la cura somministrata al malato  (per debiti) 'arena' da Carlo Fuortes e Giuliano Polo che hanno sciolto il corpo di ballo e chiusa la Fondazione per un paio di mesi, subito dopo la conclusione del festival areniano. Francesca Tartarotti, infermiera espertissima al capezzale dell'Arena malata, resterà in servizio?

Cecilia Gasdia, cui il decreto di nomina del ministro, dà atto di " specifica e comprovata esperienza nel settore dell'organizzazione musicale" (iniziare con una  solenne bugia inserita nel decreto ministeriale  non promette bene!) ha grandi idee sull'Arena.

Intanto  alcune indiscrezioni. Innanzitutto la nascita di uno specifico settore che,  quanto a numero di spettacoli, rischia di eguagliare quelle dell'opera nell' anfiteatro. Si chiama questo settore: 'Extra Arena' ( ce n'è uno analogo anche alle Terme di Caracalla gestite da Fuortes) la direzione artistica la Gasdia la affiderà a Pupo e l'organizzazione a Gianfranco Mazzi, di ritorno dai successi sanremesi. Il programma, prima ancora che quello operistico venga definito nei dettagli, è già noto: Morandi, Dylan, Lenny Kravitz, Deep Purple, Jovanotti, Scorpions, Sam Smith, Nek, Renza, Pezzali, Elio e Le storie tese - questi ultimi, anche all'Arena si prenderanno beffa del pubblico, con il nuovo brano che debutterà a Sanremo: Arrivedorci, scritto per continuare a cantare in giro, chissà per quanto mesi ancora. L'addio è rimandato!

 Una volta precisato questo che è il calendario di artisti  dell'Arena,  Gasdia pensa anche alla ricostituzione del Corpo di ballo, così indispensabile in Arena, per i cui spettacoli, si doveva ricorrere ad uno in affitto.  Anche per la reintrodotta attività del ballo, la Gasdia ha pensato di affidare la direzione artistica ad un nome di grande prestigio, Heather Parisi.

Cecilia Gasdia, che  intanto fa risparmiare all'Arena il compenso di un direttore artistico - non crediamo che Renzo Giacchieri, consulente per la direzione artistica  sarà compensato  quanto un direttore artistico, -  con i soldi risparmiati, potrà disporre di un gruppetto di consulenti. Intanto per la 'produzione  e casting' si avvarrà di un altro nome celebre, il jazzista, diplomato in tromba, Raffaele Polcino (  a Fortunato Ortombina, diplomato in trombone, non è stata affidata prima la direzione artistica ed ora anche la sovrintendenze dell'altra fondazione lirica veneta, la Fenice? Si vede che è una moda della regione nordica quella degli 'ottoni' esperti di cantanti) che si è distinto  lavorando a 'Classica', ma che nel frattempo deve essersi fatta una cultura in fatto di voci - di cosa altro dovrà occuparsi  quale manager dei casting ?

Il nuovo CdI ( l'organo  di  gestione, meglio di 'indirizzo') dell'Arena si è già costituito e affiancherà la sovrintendente nella gestione. Non si ha notizia della fine che hanno fatto gli industriali dell'intimo, che ai tempi di Tosi e del geometra-sovrintendente, Girondini, contavano molto in Arena. Cecilia, che fine hanno fatto? Non vedremo più sfilare  in Arena  reggiseni e slip? Ci mancheranno!

martedì 23 gennaio 2018

Monica Maggioni frega il posto a Milena Gabanelli

La vicenda che ha portato Milena Gabanelli, dopo le sue dimissioni da Report, fuori dalla Rai è ben note. Lei, secondo il volere di Campo Dall'Orto avrebbe dovuto guidare un nuovo canale 'All News' con  forte vocazione elettronica (?) della Rai, ben diverso da 'Rai News 24', ora affidato alla direzione di un professionista di lungo corso e di lunga e comprovata esperienza, Antonio Di Bella, richiamato dalla sede Rai di Parigi, anche per far dimenticare la  pallida direzione di Monica Maggioni che nulla di memorabile era riuscita a  realizzare durante la sua gestione, quando , con tutti gli onori, veniva nominata presidente della Rai.

 La stessa Monica Maggioni che avrebbe dovuto ringraziare il destino che, promuovendola alla Presidenza ( promoveatur ut amoveatur - dicevano i latini saggi), l'aveva tolta da Rai News 24, evitandole la dichiarazione di fallimento di quella rete, a Lei affidata, forse incautamente ed immeritatamente, dal direttore generale Gubitosi, basandosi sulla questione di 'genere' e dando merito al suo lavoro da inviata di guerra.

La Presidente Rai, è stata la nemica dichiarata della Gabanelli nel ruolo di direttore della  nuova rete, e quella sua ostilità era nota all'intero consiglio di amministrazione oltre che all'allora direttore generale che si è trovato con le mani legate, e nulla ha potuto. Quando a Campo Dall'Orto è subentrato il nuovo direttore generale, Mario Orfeo, le cose non sono andate meglio e per il verso giusto nei confronti della Gabanelli, perchè sempre forte è rimasta l'ostilità della Maggioni. Ma anche per altre ragioni, da individuare nelle vicine elezioni politiche, in previsione delle quali, la libertà di pensiero e di azione della Gabanelli spaventava qualcuno. Al punto che la Gabanelli, alla quale erano state proposte alternative sinceramente indecorose, ha lasciato la Rai, dove lavorava da molti anni, finendo a lavorare a 'La 7' e al 'Corriere della Sera', al quale da tempo collaborava; e ieri ha fatto vedere la sua striscia quotidiana su 'La 7', alla faccia dei suoi  padroni  e nemici in Rai.

 Notizia di questi giorni, riguardante la Maggioni è che, alla fine del suo mandato da Presidente, fra pochi mesi, Lei potrebbe assumere la direzione di un nuovo canale Rai,  internazionale e in lingua inglese, evidentemente creato apposta per Lei e diverso da quello che  doveva essere destinato alla Gabanelli,.

Viene da chiedersi perchè la Rai, dopo che ha promosso, senza che  potesse vantare meriti e numeri particolari, una giornalista alla presidenza dell'Azienda, debba ora preoccuparsi anche del suo futuro quando non avrà più  tale incarico. E poi, perchè la presidente fa nascere un nuovo canale per sè, mentre quello  per la Gabanelli non è mai nato? La Maggioni ne sa qualcosa, giacchè fa per sè quello che aveva osteggiato per la Gabanelli.

Con che faccia Vasco Errani si è dimesso da Commissario per il terremoto del Centro Italia per candidarsi con LeU?

Come si legge nell'articolo del Fatto dell'agosto scorso - da noi ripreso parzialmente nel post precedente - il Commissario straordinario per il terremoto del Centro Italia, nominatovi da Renzi nell'agosto 2016 (appena due mesi dopo che aveva dovuto lasciare la presidenza della Regione Emilia-Romagna per guai giudiziari), Vasco Errani,  perchè già Commissario per il terremoto nella sua regione, dunque con  grande esperienza in materia, alla fine di agosto 2017 avrebbe terminato il suo mandato, qualora il suo mandato, con  tutto quello che comportava, fosse stato portato a termine e non si volesse affidare ad altri la prosecuzione di  quell'incarico o si volesse procedere altrimenti, dando, ad esempio, più poteri ai sindaci.

Errani alla fine di agosto si dichiarò  soddisfatto per ciò che aveva fatto e, alla scadenza  fissata del suo mandato, non intese prorogarlo. Il Governo, passato nelle mani di Gentiloni e il Partito democratico alle prese con le scissioni interne, non avevano dunque nulla a che fare con le dimissioni di Errani. Del quale tutti dissero che era una persona seria, che non si dimetteva perchè irresponsabile, ma solo per fine mandato. E che lungi da lui  era qualsiasi idea di prepararsi, con le dimissioni, ad una candidatura per la Camera dei Deputati, in una delle costole scissioniste del PD, quella che non faceva capo  nè a Renzi  nè  a Gentiloni. Al diffondersi di tali voci, Errani ed il suo entourage smentirono categoricamente. Vasco non è un accaparratore di poltrone - come se non ne avesse ancora occupate mai ( ci furono contestazioni quando si candidò per la terza volta a Governatore dell'Emilia Romagna, riuscendone eletto).

 E, invece, quelle voci che lo davano dimissionario per candidarsi nell'ala del partito non più di Renzi segretario, erano  vere. Come si è saputo proprio in questi giorni in cui i pariti procedono alle candidature.

Evidentemente anche per  Vasco Errani, pezzo da novanta del PD della rossa Emilia-Romagna, il terremoto conta meno della sua poltrona  in Parlamento, alla quale  aspirava dal giorno in cui decise di dimettersi, andando successivamente a fondare il nuovo partito che aveva abbandonato la 'casa' comune.

E' di oggi la notizia che  in tutt'altro schieramento, senza terremoti da commissariare, un giornalista dell'azienda Berlusconi si è dimesso,  Giorgio Mulè, direttore del settimanale 'Panorama'. E si è dimesso per  una ragione personalissima: la sua candidatura prossima in Parlamento, nelle file del partito del suo datore di lavoro, Silvio Berlusconi. 

Le bugie di Vasco Errani: si candida, non si candida... si candida con LeU ( da Il Fatto Quotidiano,agosto 2017)

Ieri -  10 agosto 2017 - indiscrezioni di stampa descrivevano un Errani pronto a gettare la spugna, in vista di una candidatura (più che probabile) alle prossime elezioni politiche nelle liste dell’Mdp di Pier Luigi Bersani. Una volontà di mollare che è stata smentita al Fatto da un portavoce del commissario: “Non sappiamo quale sia la fonte di questa notizia, non c’è nessuna volontà personale di Errani di abbandonare, siamo a una scadenza e con il governo e le Regioni si dovrà fare insieme un bilancio e valutare se e come proseguire”.
Per lo staff del commissario straordinario quindi nessun passo indietro anche perché il lavoro della prima fase si è concluso positivamente. L’impianto legislativo e finanziario affidato alla gestione commissariale è stato portato a compimento, si sottolinea, come la predisposizione degli appalti per la ricostruzione delle scuole e per il recupero delle chiese. Il taglio del nastro due giorni fa del nuovo complesso delle terme di Sarnano è un altro fiore all’occhiello rivendicato da Errani, che in passato non ha risparmiato critiche al governo per la lentezza della ricostruzione. A un anno dal terremoto e nonostante le promesse della prima ora di importanti flussi di finanziamenti, sul territorio non si va oltre qualche timido segnale di ripopolamento.
Pochi giorni fa la macchina operativa aveva perso un primo pezzo importante, con le dimissioni per motivi personali del capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio. I commenti dei sindaci a un mancato rinnovo dell’incarico a Errani sono contrastanti. “Gli ho scritto in un sms che se se ne va inizio lo sciopero della fame” annuncia il sindaco di Arquata del Tronto, Aleandro Petrucci. Tranchant anche il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi: “È una persona leale e seria, ma tanto gli unici che ci rimangono sempre sono i sindaci, per noi cambia poco”. E c’è già chi pensa al dopo commissariamento. “Dare più potere ai sindaci”, secondo il sindaco di Camerino Gianluca Pasqui, è la ricetta giusta per una nuova governance del post sisma.

Nouveaux musicologues verdiens a Parma

Studi Musicali,  la pubblicazione annuale dell'Istituto Nazionale di Studi Verdiani, diretta da Sandro Cappelletto, per volere di Nicola Sani dal 2015 presidente dell'Istituto di Parma, ha una nuova sezione che per peso specifico, quanto a pagine almeno,  ne ha quasi quanto la sezione propriamente musicologica.

La sezione in oggetto - nei due numeri usciti sotto la direzione di Cappelletto, che si intitola 'DIALOGHI - Presenze di Verdi nelle esperienze contemporanee', presenta scritti di uno stuolo di compositori italiani solitamente scelti fra quelli dell'area romana, o di Radio 3, da dove proviene Sani e Cappelletto. E sono Silvia Colasanti, Matteo D'Amico, Riccardo Panfili e Fabio Vacchi nel primo numero, mentre nel secondo compaiono scritti, anzi 'esperienze' di Azio Corghi, Francesco Antonioni, Filippo Del Corno e Denis Krief , quest'ultimo regista.

Non abbiamo letto questi scritti, che rappresenterebbero nelle intenzioni di Nicola Sani, forme di dialogo con la vita reale - di Verdi o dei compositori in oggetto? -  come anche non abbiamo letto ancora nè la Premessa di Sani - nel primo numero della nuova gestione,  nè l'Editoriale di Cappelletto, che spiegheranno ai lettori  verdiani e non, la rivoluzione copernicana dell'Istituto parmense e degli studi verdiani in generale. Ma ci riproponiamo di farlo il prima possibile.

lunedì 22 gennaio 2018

Due lettere inedite ( 1959) sulla nascita dell'Istituto di Studi Verdiani a Parma


In una copia del primo volume degli 'Studi verdiani' - uscito nel 1960, e dedicato, come era negli intenti del neonato istituto, ad un'opera del catalogo verdiano che, nel caso particolare, era Un ballo in maschera - che abbiamo acquistato anni fa nel mercatino domenicale di Porta Portese, a Roma, abbiamo trovato, con grande sorpresa - ce ne siamo accorti soltanto ora, quando per ragioni di studio siamo andati a sfogliare quel volume - due lettere che hanno a che fare con la fondazione dell'Istituto di Studi Verdiani, inaugurato alla presenza dell'allora ministro della Pubblica Istruzione, sen. Giuseppe Medici, l'11 aprile 1959, affidato per la direzione al m. Mario Medici, omonimo del ministro, ma non suo parente neanche lontano, che si era battuto a lungo per la sua nascita.

La prima lettera, datata: Parma, 23 aprile 1959, su carta intestata del neonato 'Istituto di Studi Verdiani - Via del Conservatorio, 27 - Parma', è battuta a macchina, ma con firma autografa: Luciana e Mario Medici, ed è indirizzata a destinatario sconosciuto, al quale appartiene invece la minuta manoscritta della seconda lettera che altro non è che la risposta al direttore dell'Istituto, suo amico, che l'aveva informato della nascita della istituzione verdiana a Parma, per la quale s'era tanto prodigato.

Il destinatario, dalla cui biblioteca privata, proviene quel numero di Studi Verdiani che acquistammo a Porta Portese, non ci è dato di identificare, perchè la minuta della risposta non ci aiuta minimamente.
I
In quello stesso numero di Sudi verdiani il destinatario della lettera del m.Mario Medici aveva conservato anche i ritagli di alcuni giornali che parlano dell'apertura dell'istituto di Parma ( Resto del Carlino, due articoli, uno non firmato e l'altro a firma Duilio Courir, e Oggi settimanale, a firma Teodoro Celli), ai quali accenna nella sua lettera di risposta, definendoli 'palli', ad eccezione di quello 'molto migliore' di Celli, sul settimanale Oggi ( 23 aprile 1959).

Ecco i testi:

Parma 23 aprile 1959

Illustre e caro Dottore,

in breve e in fretta, per segnalarle una mia recente “conquista”
che non le dispiacerà. Dopo le Onoranze toscaniniane, sono riuscito a far sorgere qui a Parma l'Istituto di Studi Verdiani. E' una realizzazione importante, che quanto prima darà i suoi frutti. Mi permetterò di tenerla informata, perché la considero uno dei pochi ma illustri amici di cui vado fiero.
Con il ricordo costante di mia moglie e mio, e con la preghiera di ricordarci alla Signora, affettuosamente e rispettosamente,
suo Luciana e Mario Medici



La risposta del destinatario, che non si fa attendere, debitamente battuta a macchina inviata al m. Mario Medici, si troverà quasi certamente nell'archivio dell'Istituto Verdiano. La minuta, che di seguito trascriviamo, è scritta a mano, sul retro di un foglio che reca l'intestazione dattiloscritta: La documentation francaise. Secretariat general du Gouvernement - Direction de la Documentation - Service des conferences. 16, rue Lord Byron – ELY. 82-00 -Paris, le 24 avril 1959.


2/5.59

Caro Maestro,

insieme al suo buon ricordo che le assicuro cordial.(mente) ricambiato, la notizia della fondaz.(ione) dell'Istituto Verdiano desta in me la più viva gioia.
Indovino, attraverso i pallidi resoconti dei quotidiani ( e a quello molto migliore , di Oggi) quanto lavoro debba essere stato svolto da Lei, quante difficoltà e intrighi superati, per arrivare felice in porto.
Le auguro di raccogliere grandi soddisfazioni, che merita, curando in avvenire lo sviluppo dell'Istituto, che auguro vitale e prospero. Se vorrà tenermi informato mi farà molto piacere.
Indovino anche l'appoggio che le avrà dato ai suoi sforzi la gentile signora Luciana.
Verso entrambi sono sempre vivi i sentimenti di affettuosa simpatia di mia moglie e miei, che godo di esprimerle in questa occasione con la più schietta cordialità.
Suo ...
************
Nel 1978 il m. Mario Medici lasciò la direzione dell'Istituto di Studi Verdiani; nel 1980 gli subentrò il prof. Petrobelli al quale, alla sua morte, è subentrato, dal 1 gennaio 2015 il compositore Nicola Sani, il quale, nonostante la protesta generale del mondo degli studiosi verdiani al quale egli non appartiene, ha voluto dare una svolta.
Gli scopi dell'Istituto, come descritti alla sua fondazione, consistono nel raccogliere i documenti relativi a Giuseppe Verdi e alle sue opere, pubblicarli regolarmente attraverso i volumi degli 'Studi Verdiani', con apparato critico, procedere alla edizione critica delle sue opere, e offrirla al 'Festival Verdi' , di cui si augurava la nascita, e che sarebbe dovuto diventare l'espressione operativa di quell'istituto di ricerca, la sua vetrina esecutiva. Ciò che anni appresso sarebbe accaduto a Pesaro, con l'attività della 'Fondazione Rossini' e del rinomato 'Rossini Opera Festival'.

Parma, che in quegli anni si accingeva al restauro/ricostruzione del magnifico Teatro Farnese, benchè non avesse ancora una orchestra ed una macchina organizzativa all'altezza della notorietà di Giuseppe Verdi, poteva già disporre del capiente Teatro Regio.
Ma il Festival Verdi - benchè il musicista non avesse bisogno di una vera e propria 'renaissance' come invece necessitava Rossini e che Pesaro è stata in grado di avviare - non è mai decollato, nonostante tentativi anche recenti, ad eccezione di alcune edizioni pregevoli, per lo più coincidenti con importanti appuntamenti 'anniversari' del musicista.

L'arrivo di Nicola Sani, nella protesta generale, ha impresso una svolta all'Istituto, alla cui presidenza è statoi chiamato in ragione della sua 'meritoria opera politica e diplomatica', come ha scritto Mauro Balestrazzi su Repubblica.it (Parma).

Sani, a sua volta, ha chiamato a collaborare, cercandoli nella cerchia dei 'non verdiani', due suoi fedelissimi: per la 'direzione scientifica' dell'istituto una sua collaboratrice alla Fondazione Scelsi, Alessandra Carlotta Pellegrini: “studiosa di musica del Novecento, senza titoli come ricercatrice verdiana ma che ha operato molto bene nell'Archivio Scelsi”; e alla direzione della Rivista di Sudi Verdiani, Sandro Cappelletto “eccellente giornalista e scrittore, nonché autore di testi teatrali e per il teatro musicale” ma che musicologo non è, e tanto meno studioso verdiano, giustificando la sua scelta: “per dirigere la rivista non occorreva un musicologo, ma un uomo di comunicazione in grado di lavorare con il meglio delle ricerca verdiana”. Sani concepisce l'Istituto che presiede. “non solo come un luogo di studio e di memoria, ma una struttura che sfrutta la tecnologia e tutte le forme di comunicazione per dialogare con la vita reale”.

La musicologia mondiale, offesa da una simile bastardizzazione di un Istituto di studio e ricerca che vanta un passato glorioso e vertici altrettanto gloriosi, dopo aver protestato in coro e duramente ma inutilmente, si è ritirata 'sull'Aventino' dell'Università di Berna, dove ha dato vita ad una pubblicazione di studi verdiani, dal titolo 'Verdi Perspektiven', affidata per la direzione ad un illustre studioso verdiano, il prof. Anselm Gerhard.


All'uscita dei primi numeri delle rispettive ricerche, è emerso immediatamente come gli Studi verdiani 'all'italiana' siano finiti, a Parma, in mani quasi sacrileghe, se non incompetenti. Nei primi due numeri affidati all'esimio studioso e 'uomo di comunicazione' Cappelletto, per la direzione scientifica di Alessandra Carlotta Pellegrini, è evidente l'invasione di uno stuolo di compositori, del giro di Nicola Sani, che parlano di Verdi, esattamente come farebbe Nicola Sani che Verdi conosce pochissimo.  

sabato 20 gennaio 2018

Eugenio Scalfari, l'ascetico giornalista fondatore di Repubblica, a Carlo De Benedetti, padrone cattivo, di soldi gliene ha spillati tanti

“Personalmente riscuoto come ex deputato un assegno netto da 2400 euro mensili. Cinque anni fa inviai una lettera ai questori della Camera chiedendo che mi fosse annullato. La risposta fu che ci voleva una legge recepita dal regolamento della Camera, in mancanza di che l’assegno di sarebbe stato comunque accreditato. Mi domando che cosa si  aspetti ad annullare i vitalizi…”.

Questo scriveva in un editoriale Eugenio Scalfari, alcuni anni fa, ritenendo davvero sconcio che il Paese, ridotto male, pagasse a lui, da tempo immemorabile, vista la sua lucida longevità attiva, un vitalizio, per quei quattro anni scarsi da parlamentare ( 1968-72) prima di fondare La Repubblica, nel 1976.
 Bechis ha fatto un calcolo sull'ingiusto vitalizio - al quale però Scalfari, a differenza di tanti altri, ha detto pubblicamente di voler rinunciare, ma gli è stato impedito - ed ha scoperto che Scalfari, fino a qualche anno fa, aveva già percepito di vitalizio la bella somma di 908.000 Euro, a fonte di 61.000 Euro versati, con una bella differenza: 847.000 Euro fra i contributi versati ed il vitalizio percepito che naturalmente continua ancora a finire nelle tasche di Scalfari e che ora  ha raggiunto quasi quota 2.500 Euro netti ( l'adeguamento anche dei vitalizi procede spedito, mentre quello delle pensioni di tutti gli altri cittadini non privilegiati va sempre a rilento).

 Se fosse l'unico introito a finire nelle tasche di Scalfari, per il suo sostentamento,  tutti  oggi saremmo corsi in suo aiuto.  Eccetto noi, che percepiamo di pensione l'equivalente del suo vitalizio, e dobbiamo farlo bastare per il sostentamento nostro e della nostra famiglia. 

Certo Scalfari, nonostante avesse due famiglie da mantenere, ed anche due figlie, alle quali però ha trovato lavoro, ad una più che all'altra, in azienda, non aveva e non ha certo bisogno del vitalizio  da ex parlamentare. Perchè Scalfari, come ha volgarmente rivelato Carlo De benedetti, di soldi ne ha guadagnati a vagonate. Tralasciamo i compensi da direttore che gli hanno fatto fare una bella vita - come giusto, del resto, visto che anche mezzecalzette ai vertici di gruppi editoriali guadagnano come fossero tutti Scalfari, e non lo sono! 

Però quando Scalfari ci ricorda che il padrone De Benedetti possiede una lussuosa villa in Andalusia ed uno yacht che immaginiamo faraonico, si dimentica di aggiungere che lui  è riuscito a spillargli, quando ha voluto uscire dalla proprietà del giornale, forte della montagna di quattrini che De Benedetti era riuscito a scucire a Berlusconi per il cosiddetto 'Lodo Mondadori, quasi 500 milioni di Euro - una cifra!- la modica cifra di 80 miliardi di lire (40 milioni di Euro circa!)

Biagi, Montanelli, giornalisti di razza, al confronto, erano dei poveracci. Benchè pagati profumatamente,  loro non hanno mai trovato un fesso di editore, ricchissimo, come è capitato, per sua fortuna, a Scalfari.

Aristotele spiegato a Chiarot, Muscato e Nardella. Il quale, ultimo, si comporti correttamente anche nelle nomine

Ieri dalla pagine del Venerdì di Repubblica Marino Niola è intervenuto per spiegare quale idiozia abbiano messo in atto il sovrintendente dell'Opera di Firenze, Chiarot, il regista ingaggiato per Carmen non lasciato libero dal sovrintendente di fare quello che voleva, e il sindaco-presidente che ha pubblicamente avallato la bravata idiota. e ignorante.

Niola, a chiusura del suo articolo, scrive: " Rimuovere la fine tragica non aiuta a capire come e perchè nascano le tragedie.. In fondo la gelosia di Otello e la morte ingiusta di Desdemona servivano e servono a provocare orrore non certo emulazione. E' quello che ARISTOTELE chiamava CATARSI. Conoscere fino in fondo il male per superarlo. E proprio lì stava l'effetto pedagogico, non certo nell'armare la mano dell'eroina di turno. Carmen e Desdemona - conclude - non sono mica Thelma e Louise".

 Innanzi aveva spiegato ai filosofi fiorentini che :" il vero problema è la deriva del politicamente corretto... Far propria la lezione dei classici  non significa  aggiornarli. O sfruttare opportunisticamente l'eco che hanno nel nostro immaginario, per trasformarli in pensierini buonisti"

Infine - ma questo consiglio Niola non può darlo, perchè il fatto è accaduto dopo che aveva scritto l'articolo - il sindaco propugnatore della finalità etica del teatro, cominci a pensare, senza rendersi per la seconda volta ridicolo - ma in questo caso anche colpevole - cosa rispondere a quella sua concittadina che ha partecipato a selezioni per un posto per il quale era richiesta laurea in giurisprudenza e pratica nel medesimo settore, e che Lei aveva, e ha visto attribuire quel posto, per chiamata diretta, ad una giovane  laureata, appena laureata, e scartata in una selezione pubblica, di poco precedente la chiamata diretta del sindaco - che vuole l'etica a teatro, ma non nell'amministrazione pubblica del suo Comune -  ma che era figlia del presidente della Corte dei Conti toscana, che aveva scagionato anni fa Renzi da una accusa amministrativa.

Che fa il politicamente corretto sindaco Nardella? Non si dimette per questa schifezza, che va ad aggiungersi alla idiozia sulla Carmen da lui avallata senza riserve, in nome dell'etica?

venerdì 19 gennaio 2018

I giornali sono inondati dalla musica, se la musica mette mano al portafoglio

Mai come in questi ultimi giorni si è avuta la netta sensazione che i giornali  abbiano cominciato ad interessarsi veramente alla musica.  e che i giornalisti che della critica musicale fanno il loro mestiere, siano stati  mai tanto occupati. Nel giro di due giorni appena, due importanti quotidiani        (Corriere e Repubblica), i due più importanti, hanno offerto ai loro lettori due pagine ciascuno dedicate alla musica. Una ragione c'è.

In un paese come il nostro che vive (dovrebbe vivere) di cultura, l'inaugurazione di una stagione d'opera non può essere  passata sotto silenzio, relegata  nelle ultime pagine del giornale e ridotta a pochissime righe. Specie se si tratta di un teatro storico, fra i più belli d'Italia, di una città notissima, Bologna 'la rossa'.

L'inaugurazione del Comunale di Bologna con Bohème di Puccini - che non è una condizione della vita giovane, bensì una categoria dello spirito, come ha fatto notare l'acuta giornalista della 'Repubblica' - diretta da Mariotti  (direttore, perdoni la giornalista che a tutti i costi si ostina a non indicare il suo lavoro con i termini giusti: direttore, dirigere, ma scrive che Lei: condurrà l'esecuzione'; e il giornale, sull'onda dell'innovazione linguistica, aggiunge che Lei 'sarà in palcoscenico', quando tutti sanno che il suo podio è nella 'buca d'orchestra') è raccontata in lungo e largo, come anche tutti gli spettacoli della stagione del teatro bolognese che da qualche mese ha un nuovo vertice,  dopo che l'ex sovrintendente, Nicola Sani, è stato sostituito prima della scadenza del suo contratto dal direttore generale del teatro, Fulvio Macciardi, il quale in  una decina di settimane, poco più, avrebbe capovolto la situazione finanziaria del teatro, che  dalla grave crisi  in cui si trovava, ora  è 'economicamente risanato' e che - ha aggiunto - si industrierà per mantenere nel tempo tale trend positivo.  Miracolo a Bologna, di cui abbiamo letto su 'Repubblca'.

 Insomma non solo la musica ha fatto il miracolo di inondare i giornali, ma il nuovo sovrintendente ha fatto l'altrettanto sorprendente miracolo, di risanare economicamente il teatro che solo qualche mese fa era dato per spacciato.

 Il canto di gloria non finisce qui,  prosegue  inneggiando a tutti i protagonisti ed anche ai comprimari della nuova stagione del Comunale. E con lo stesso tono che, sempre sulla rossa Bologna dal teatro risanato  (che però si trova in una zona che andrebbe allo stesso modo risanata, come spesso i giornali hanno evidenziato) era stato intonato, il giorno prima, dal 'Corriere'.

E noi saremmo davvero felici se non dovessimo  ammettere che  tutto questo interesse per la musica è stato indotto dal vile denaro, perchè quelle due pagine  per ciascun  giornale, sono costate al teatro qualche decina di migliaia di Euro  per ciascuna uscita.

 L'interesse per la musica non può chiuderci gli occhi di fronte alla sciagurata modernizzazione - bastardizzazione! - del linguaggio musicale dei giornali, come abbiamo anche in questo caso segnalato,  attuata attraverso l'uso di neologismi che  'Repubblica', per la penna di Leonetta Bentivoglio, e 'L'Espresso',  con Riccardo Lenzi, vanno usando ogni volta che scrivono dei direttori d'orchestra - che per loro due sono sempre 'conduttori',  che non dirigono, come hanno sempre fatto, ma 'conducono' o 'guidano'.

 Un  trionfo di fantasia linguistica abbiamo riscontrato proprio ieri, anche sulle pagine del 'Trovaroma', della premiata ditta 'Repubblica-L'Espresso', che annunciando il ritorno a Roma della violinista Anne-Sophie Mutter, dopo 26 anni di assenza (ma non perché si fosse dedicata ai figli, ch!i può crederle!), in concerto  con l'Orchestra do Santa Cecilia e la direzione di Tony Pappano, scriveva che 'Pappano dirigerà il violino della Mutter'. A chi ha trovato tale locuzione imprecisa vogliamo offrire una spiegazione che la giustifica pienamente.

Dopo i concerti romani di questi giorni, l'Orchestra ceciliana, diretta da Pappano, solista la Mutter, partirà per una tournée in terra tedesca. Vero, ma allora perchè Pappano non dirigerà la Mutter ma il suo violino, come titola il 'Trovaroma'?  Per la semplice ragione che la Mutter,  sempre precisina, temendo di non far ritorno in tempo in Germania, è ripartita prima dell'orchestra e di Pappano, lasciando al direttore il suo prezioso violino; e Pappano s'è incaricato di dirigerlo. La violinista, Pappano la incontrerà dopo le repliche romane, direttamente in Germania, ed allora  le riconsegnerà il violino che in sua assenza ha suonato e diretto, a Roma.


giovedì 18 gennaio 2018

La Repubblica è il quotidiano del 'rincoglionito e vanitoso' Scalfari e del direttore Calabresi,' don Abbondio'. Parola di Carlo De Benedetti

Forse la Direzione ed il CDR di Repubblica-L'Espresso  nelle prossime ore, se non l'hnno fatto già questa mattina (non abbiamo ancora letto i giornali), dovranno intervenire per la terza volta nel giro di  poche settimane per smarcarsi dall'imprenditore Carlo De Benedetti, fino a poco fa proprietario del gruppo editoriale, ora passato, brevi manu e senza pagamenti di sorta, nelle mani di Marco, suo figlio.

Ieri sera Carlo De Benedetti è stato ospite di Lilli Gruber, nel salotto de La 7, a 'Otto e mezzo', senza altri invitati, lui e Lilli  in un faccia a faccia condotto con grande professionalità dalla giornalista - una vera intervista! -  e  con l'imprenditore, che ha superato gli ottanta, senza  più pudori e freni inibitori.

La ragione dell'invito era la riforma delle banche popolari che ha fruttato all'imprenditore, nel giro di pochi giorni, un guadagno in borsa di 600.000 Euro circa, su un investimento 'di spiccioli' per uno come lui, di appena 5.000.000 di Euro. Investimento a seguito di quella che viene interpretata come una 'soffiata' all'amico imprenditore, da parte di Renzi e Panetta, con i quali l'ing. De Benedetti, alla luce del sole, ha sempre avuto regolari frequenti rapporti.  Lì'imprenditore, messo in croce dai giornali, ieri ha fatto l'elenco dei capi di stato e di governo di tutto il mondo, dall'Italia all'America, e delle autorità massime delle istituzioni con i quali ha sempre intrattenuto rapporti, con ospitalità reciproche anche attorno ad una tavola ben imbandita.

 Dunque, chiuso il capitolo 'banche popolari'  dall'ing. De Benedetti,  Lilli 'la rossa' s'è buttata sul capitolo 'La Repubblica', il grande amore di De Benedetti, anzi l'unico suo amore, oltre la moglie - s'è spinto anche a dire che lui è 'monogamo' - che troppo gli è costato  negli anni.

 La prima volta sull'argomento, De Benedetti era intervenuto sul 'Corriere', intervistato da Cazzullo, all'indomani della dichiarazione-scandalo di Scalfari, da Floris: ' fra Berlusconi e Di Maio sceglierei Berlusconi'. De Benedetti bollò l'uscita di Scalfari come quella di un 'incontinente, data l'età, e di un vanitoso'. Ieri ha rincarato la dose chiarendo: ' Scalfari è ormai un povero vecchio ed è affetto da vanità', in risposta ad una affermazione di Scalfari, sempre in tv, dove da tempo è ospite fisso, che aveva affermato, senza mezzi termini: 'di quello che dice De Benedetti me ne fotto'.
 De Benedetti ha precisato che Scalfari è anche un ingrato perchè dovrebbe ricordare:
1. che quando nacque Repubblica lui diede a Scalfari 50.000.000 di Lire  a fondo perduto, senza pretendere azioni in cambio, per il timore che una volta finiti i soldi il giornalista tornasse a bussare alla sua porta;
2. che quando Repubblica stava sull'orlo del fallimento, lui tirò fuori  miliardi per salvarla, divenendone azionista per il 15%;
3. e che quando Scalfari volle essere liquidato, gli costò parecchi miliardi.
 Dunque, zitto e mosca, Scalfari.

Ma De Benedetti, scegliendo il foglio dell'altra parrocchia editoriale, era intervenuto sul 'Corriere'  anche per dire che Scalfari con quella dichiarazione improvvida  su Berlusconi e Di Maio, aveva recato danno alla 'Repubblica' quotidiano. E ieri, dopo aver risposto a Lilli che l'eventuale vittoria dei
Cinquestelle sarebbe una sciagura per il nostro paese - "avete visto il curriculum di Di Maio, come può uno così governare l'Italia?", non  ha risparmiato critiche feroci alla 'Repubblica' di suo figlio, quella attuale, guidata da un direttore che è come "don Abbondio che, se il coraggio non ha non può inventarselo". E poi ha aggiunto:. "un tempo La Repubblica che io conosco faceva in Italia ' LA  POLITICA ', ORA è ASSOLUTAMENTE ININFLUENTE, DEVE CAMBIARE PER TORNARE AD ESSERE LA REPUBBLICA".

 A stretto giro, sul giornale di ieri, l'ennesima presa di posizione e di distanza dall'ing, De Benedetti,  della direzione e del CDR dell'ex 'Repubblica - Partito', con l'ennesimo comunicato del CDR del giornale.




mercoledì 17 gennaio 2018

Sul Fatto Quotidiano una vignetta INFAME su Papa Francesco

All'interno di un pezzo, sul giornale di ieri, dedicato a Papa Francesco, in viaggio in Cile, intitolato: " "Papa apocalittico: a un passo dalla guerra atomica", compariva la vignetta, di Natangel,o  siffatta:
 titolo: 'Il papa contro la guerra nucleare'. Papa Francesco mostrando la terribile foto del bambino di Nagasaki che ha sulle spalle il fratellino morto, mentre lo  porta a bruciare il cadavere, dice, rivolto al Crocifisso: " guarda. ho portato le foto di questi bambini che a Nagasaki..." e dal Crocifisso una voce ammonisce il pontefice: " Francè... fossi in te non me ne andrei in giro con foto di bambini addosso. E' un consiglio eh...".

 Sulla pedofilia e sull'accusa velata che la vignetta sembra muovere all'attuale pontefice, non si può scherzare. Un pontefice può essere accusato perfino di apostasia,  accusarlo cioè di tradire il Vangelo di Cristo - come hanno già fatto i cosiddetti tradizionalisti che si annidano anche fra alcuni  noti giornalisti nostrani - e di qualunque altro peccato o misfatto, anche di... omosessualità, come ogni tanto è circolata in passato voce  su precedenti pontefici; ma di pedofilia, che è il più grave peccato anche per il Vangelo - chiunque ... avrà scandalizzato .... un bambino,  meglio che si leghi una pietra al collo e anneghi in mare (recita più o meno il Vangelo) -, di pedofilia, no.

Il Fatto Quotidiano, pur con tutto il diritto alla satira, anche la più feroce, su tutto e tutti,  fino a tanto non può spingersi. La sua vignetta di ieri su Papa Francesco è INFAME.

martedì 16 gennaio 2018

Mollicone. Ridateci Mollicone

Mollicone, quasi omonimo di Morricone, se non fosse per due misere consonanti discordanti, è stato il presidente della Commissione Cultura del Campidoglio, nell'era Alemanno. Il suo nome è divenuto popolare - impopolare! - per due episodi. Il primo, quando accusò Fuortes di truccare i bilanci di Musica per Roma, venendo dall'accusato sfidato a ritirare l'accusa, perchè i bilanci erano certificati da una società esterna. E lui tacque. La seconda quando si oppose alla concessione della cittadinanza a Riccardo Muti, adducendo come ragione il fatto che venendo egli a lavorare all'Opera non aveva  accettato un impegno di peso, come aveva  lasciato intendere nei  mesi precedenti lo sbarco romano.
 Fu a quel punto che Muti, quando gli riferirono il caso, rispose, spiritosissimo: io a Roma conosco Morricone e nessun Mollicone. Ed anche in questo caso, coperto di ridicolo, si ritirò, sebbene spesso lo si  sia visto successivamente all'Opera, nel corso di incotnri pubblici con la stampa. Non era il Presidente della Commissione Cultura del campidoglio?

Perchè il suo ritorno in auge sarebbe auspicabile? Perchè  dovrebbe fare le pulci a Franceschini- soprannominato 'mezzo disastro' e ministro dei 'mali culturali' - ed al suo Ministero, come intese quella volta farle a Fuortes che lo fece ritirare con la coda fra le gambe.

Negli ultimi tempi Franceschini ed il suo Ministero sparano  cifre di vittorie quasi giornaliere (forse per questo a Franceschini sta molto simpatico Fuortes, che nei suo proclami vittoriosi dall'Opera usa la medesima tecnica). Aumentano i visitatori dei nostri musei, aumentano gli introiti, aumenta tutto: viva Francechini!

L'altro ieri Vittorio Emiliani, sul 'Fatto' gli ha fatto le pulci, opponendo, cifre alla mano, che i conti di Franceschini erano sballati per eccesso.  E noi ora abbiamo i conti di Franceschini contro quelli di Emiliani. Chi ha ragione? Mollicone potrebbe tornare  nel suo ruolo di censore e chiedere a gran voce - la sua voce  la ascolterebbero tutti con riverenza, a causa dei suo gloriosi trascorsi - che un soggetto 'terzo'  ci dica quali sono regolari e quali gonfiati ad arte.

Mollicone, lasci i campi dove si è ritirato a coltivare le sue proprietà, moderno Cincinnato, e torni a Roma. Urge la sua preenza per mettere ordine e fare chiarezza.

Gianandrea Noseda, musicologo, studioso di Puccini, presenta la VERA (?) TURANDOT secondo Puccini

Questa sera, al Teatro Regio di Torino, va  in scena Turandot di Giacomo Puccini, diretta da Gianandrea Noseda.

 Torino, dopo il successo 'di clamore'  per il finale mutato, anzi stravolto, della Carmen fiorentina, definita da tutti una vera IDIOZIA, si appresta a dire la sua sulla Turandot di Puccini che, a differenza dell'opera di Bizet, sembra avere tuttora aperti alcune interrogativi, ai quali Noseda, dal podio, intende dare personalissima  risposta, sperando in analogo chiasso mediatico. Al quale una giornalista di Repubblica cerca di dare una mano.

Noseda non intende mutare il finale di Turandot, che semplicemente non c'è, ma  troncare la rappresentazione laddove, per sopraggiunta morte del compositore, Turandot restò incompiuta.  Ricusando, di conseguenza, i 'finali'  affidati a due compositori, a distanza di molti anni l'uno dall'altro. A Franco Alfano, all'epoca della 'prima' scaligera, e cioè nel 1926 - Puccini era morto nel 1924 -  e la seconda a Luciano Berio all'inizio degli anni Duemila - far notare timidamente che il nuovo finale di Berio serviva a non far cadere la protezione del diritto d'autore su un'opera rappresentatissima, è solo pura cattiveria, anzi totale idiozia?

Val la pena riflettere sulla conclusione della composizione e della prima rappresentazione di Turandot.

Puccini  ai primi di novembre del 1924,  affetto da cancro alla gola, si decide a partire per Bruxelles per farsi curare ed operare da un celebre medico. Alla viglia della partenza, scrive all'amico Riccardo Schnabl: " Elivra è troppo in tocchi per intraprendere il lungo viaggio... e Turandot? Mah! Non averla finita quest'opera mi addolora. Guarirò? Potrò finirla in tempo? E' già pubblicato il cartellone della Scala" (da Giacomo Puccini, sonatore del Regno, edizioni Clichy, 2016).

Si sa come andò a finire. Il 29 novembre Puccini muore a Bruxelles, e con la sua scomparsa, sfuma il completamento della Turandot, al quale il musicista teneva. Forse, avrebbe  anche deciso anche di  finire con la morte di Liù, ma nessuno può dirlo. Neanche Gianandrea Noseda, che si appresta ad adottare tale soluzione esecutiva che ha un unico precedente, quello della 'prima' diretta da Toscanini.

" Il 25 aprile 1926 alla Scala di Milano viene presentata la Turandot, completata da Franco Alfano. Dopo la morte di Liù, a sipario alzato, nel silenzio generale, Toscanini, evidentemente commosso, si girò verso il pubblico e disse: ' Qui finisce l'opera lasciata incompiuta dal Maestro, perché a questo punto il Maestro è morto'. Il sipario calò, Toscanini lasciò il podio, il pubblico si levò in piedi, e nella sala del Piermarini, si udì una voce gridare: Viva Puccini! L'opera con il finale scritto da Alfano, venne eseguita solo a partire dalla recita successiva" (da Giacomo Puccini, sonatore del Regno, edizioni Clichy, 2016).

 (Una annotazione, anzi due, di carattere linguistico. Prima annotazione. A proposito della 'prima' scaligera, Leonetta Bentivoglio, che l'ha evocata nel suo articolo di sostegno alla soluzione proposta dal Noseda 'musicologo e studioso pucciniano', scrive che quella prima scaligera ebbe luogo con la conduzione di Toscanini. Come si vede una novità assoluta nella linguistica 'direttoriale'  nella quale già altre volte la giornalista si è lanciata.
Seconda annotazione.Un nostro amico, economista di vaglia, musicologo e musicofilo per passione, in un suo recente articolo, ha scritto a proposito del direttore del titolo in programma questi giorni all'Opera di Roma, e cioè I masnadieri di Giuseppe Verdi, testualmente: Roberto Abbado alla bacchetta - come si legge spesso: Maurizio Pollini al pianoforte,  Mariella Devia alla voce, e banalità consimili. Che non si deve fare per non scrivere: direttore Roberto Abbado, come dio e la lingua italiana comanderebbero).

 Tornando alla Turandot sembrerebbe chiaro che Puccini, che si era fermato alla morte di Liù, stava riflettendo su come chiudere l'opera che con la morte della fanciulla aveva raggiunto l'apice emotivo ed anche musicale. Non aveva ancora trovato la soluzione, al sopraggiungere della morte imprevista,  ma alla ricerca di una soluzione sembrava intenzionato.

 Perciò Puccini  non la riteneva affatto conclusa, come il musicologo Noseda sembra pensare. Tant'è che sì 'era portato appresso la trentina di pagine della partitura' che sperava di completare a  Bruxelles durante l'eventuale convalescenza.

Sugli appunti di quelle ultime pagine lavorarono prima Alfano, su incarico dell'editore Ricordi, e anche Berio a distanza  di quasi settant'anni.
 E il fatto che  Toscanini alla prima dell'opera abbia terminato l'esecuzione/ rappresentazione  dove  e come sappiamo,  non deve autorizzare Noseda a fare altrettanto. Per due ragioni, semplicissime. Noseda non è Toscanini, e questo è persino una ovvietà, e poi il 16 gennaio 2018, oggi, non è il 25 aprile del 1926, quando ebbe luogo la celebre, storica 'prima'.

 Infine, mettere fra parentesi la lunga tradizione esecutiva con il finale (secondo) di Alfano, iniziata nelle repliche successive alla 'prima' del 1926,  mai interrotta, e che neppure la ricostruzione di Berio è riuscita a scalzare (ad oggi sembra essersene avvalso quasi esclusivamente Riccardo Chailly), è solo puro arbitrio. Ed anche mania di protagonismo. Come altre volte, e su altri capolavori della storia della musica lasciati, per sopraggiunti casi di crudele destino, incompiuti - pensiamo al Requiem mozartiano -  ci è capitato di leggere: Anche in quel caso, il finale confezionato dall'amico allievo,  mai nessuno  è riuscito a scalzare, e nessuno ha proposto  l'esecuzione dell'opera così come fu lasciata incompiuta.

Noseda ci sembra intenzionato a far parlare di sè con questa inutile soluzione. Infatti, interrogato dalla giornalista Bentivoglio sull'operazione di 'falsificazione' del finale di Carmen a Firenze,  guizza via come un'anguilla: " sarebbe ingiusto dare pareri su uno spettacolo cui non ho assistito...ogni strada interpretativa va contestualizzata". E prosegue, pro domo sua:" Applico il rispetto dell' originale a Turandot (come mai  non l'ha invocato a proposito della Carmen fiorentina, ndr), in quanto i  nuovi finali non funzionano (benché abbiano funzionato per un secolo circa, avallati da molti autorevoli interpreti e studiosi, ndr), ma ciò non significa che si debba assumere quel criterio come norma totalizzante. Spesso noi direttori non facciamo quanto sta scritto in partitura, sorvolando sui tempi metronomici o sulle dinamiche richieste dall'autore. Senza però che il pubblico se ne renda conto".

Noseda, Lei si rende conto che la mancata osservanza di tempi  e dinamiche, come prescritte dal compositore, alla  quale Lei si appella, e che apparterrebbe alla cosiddetta 'libertà dell'interprete, è cosa ben diversa dal cambiare il finale di un'opera al punto che l'assassino diventi vittima, e la vittima dell'opera assassina? Di questo capovolgimento/tradimento anche il pubblico di Firenze s'è accorto, mentre Lei nicchia.















domenica 14 gennaio 2018

Il Galateo, istituzionale e personale, della Serracchiani che ci ha sorpresi

Ha sorpreso tutti, a dire il vero, ma noi forse per una ragione  diversa dagli altri, quel vademecum di comportamento, istituzionale e non (sì, anche personale, perchè si leggono consigli ed anche norme che riguardano la persona) rivolto dalla Serracchiani agli amministratori della sua regione, Friuli -Venezia Giulia, il cui governo sta per lasciare, per tornare a ' non far parlare' di sé in Parlamento.  Perchè potrebbe indurre a pensare che esistano i 'comunisti' " sporchi, mal vestiti, e maleducati", riprendendo quanto un comunista 'al profumo di cachemire', Bertinotti, andava rimproverando al pensiero borghese. E che, a quei comunisti, sia necessario insegnare l'educazione: come ci si veste, come si sta a tavola, come ci si comporta in pubblico.

Il galateo si rivolge ovviamente ad  amministratori maschi e femmine. Alle quali ultime, ad esempio , consiglia di 'profumare' ma con discrezione - meglio abbondare con il sapone che con i profumi, secondo la Serrcchiani - di non indossare tacchi a spillo e minigonne, 'stile Bellomo' - che, scendendo da una macchina le costringerebbero a mostrare 'piazza sanpietro e la basilicavaticana' - e di esibire scollature non vertiginose - che le esporrebbero agli sguardi degli amministrati, come fa ai turisti 'la terrazza del Pincio su Piazza del Popolo'. Insomma tutti consigli di buon senso, ma forse inutili. Come inutili sembrano anche i consigli  su come si sta a tavola, e l'ordine tassativo, attraverso  decreto regionale, di evitare il 'risucchio'  mangiando minestre e brodaglie che, nelle regioni fredde come la sua, si consumano frequentissime.

 Di norme e consigli  il vademecum della Serrachiani ne contiene una cesta, e qui non possiamo elencarli tutti, ci vorrebbe un post lungo una ventina di pagine. Vogliamo invece soffermarci su un aspetto che ci fa ritenere il suo vademecum del tutto inutile, salvo che...

... Lei non conosca a fondo molti dei suoi amministratori e non ne condivida  i comportamenti esteriori, perchè quelli del suo partito, per quanto non siano più comunisti doc, non sono diventati ancora come il loro portabandiera Bertinotti, 'comunisti in cachemire', e perciò continuano ad essere, secondo la tipologia borghese: 'sporchi, mal vestiti e maleducati'. E dunque la disciplina di partito impone di educare.

 Ci perdoneranno i lettori, se per dimostrare la nostra tesi, ci occuperemo di forma, di esteriorità; ad esse si rivolge la Serracchiani. Lei teme che  amministratori ed amministratrici non possano far fare alle rispettive amministrazione bella figura, perché si comportano da 'burini', si vestono da 'burini' come si dice a Roma. E' qui  che, forse, sbaglia.

Basterebbe che Lei, in prima persona, riguardasse le foto degli anni in cui è entrata in politica e le confrontasse con quelle di oggi per dire a se stessa che la politica fa bene agli amministratori, e meglio ancora alle amministratrici, per capire quale metamorfosi abbia Lei medesima subito.
Insegna loro la Politica come vestirsi, come comportarsi, quale taglio di capelli incornici meglio il loro bel faccino ecc...  Certo se alla base c'è l'idiozia e la scarsa intelligenza, a quella non può portare rimedio l'ingresso in politica, quella resta, anche se  mimetizzata.

Alla lettura del vademecum della Serracchiani, c'è passata davanti agli occhi la sequenza fotografica di molte delle donne impegnate in questi ultimi anni in politica, permettendoci di rafforntare la loro immagine di oggi a quella degli esordi. Non c'è paragone.

Il caso per noi più emblematico è quello della ex governatrice del Lazio, Renata Polverini. Chi potrebbe giurare, guardandola oggi, che Lei sia la stessa governatrice di un tempo? Non si offenda la Polverini. Quando si candidò alla regione Lazio, sembrava una operaia od impiegata di  qualche cantiere edile, dal quale senza trucco e parrucco era arrivata direttamente in tv. Osservatela ora. A Roma si direbbe è una 'strafiga' nell'esteriorità: è sempre ben vestita, anche griffata, ben truccata, con i capelli in perfetto ordine. Insomma un'altra persona. Lo stesso potremmo dire della Lorenzin, e ancor di più dell'aspirante governatrice del Lazio, la 'Cinquestelle' Lombardi, come anche dell'attuale commissaria alle zone terremotate, Paola De Micheli che, finalmente, hanno ben consigliato soprattutto sul taglio di capelli, che un tempo esibiva in stile 'squinzia', ma anche a Mariastella  Gelmini, davvero irriconoscibile che ha imparato anche a parlare, pur confermandosi fra le più insopportabili.

Passando in rassegna tutte queste signore che ora sanno almeno come conciarsi e come vestirsi, come certamente non sapevano fare prima di entrare in politica, abbiamo un sogno, quello di vedere quale trasformazione l'ingresso in politica potrebbe produrre su Susanna Camusso. Se non siete ancora del tutto convinti della nostra tesi, e cioè che l'ingresso in politica fa bene, almeno all'aspetto esteriore  delle persone impegnate, pensate a come si sia addolcito il viso della ministra Pinotti che, quando fu scelta per fare il Ministro della Difesa, la scelta fu motivata soprattutto dal fatto che sembrava un generale, con tutti gli attributi, e perciò nessuno dei suoi sottoposti dalla ultima recluta al generale di Stato Maggiore avrebbero potuto mai dire: noi non ci facciamo comandare da una donna!

 Chi ancora non siamo riusciti a convincere della nostra tesi, si faccia una passeggiata in centro,  a Roma, dalle parti del Parlamento, nei giorni in cui si svolgono lavori in aula, e assisterà ad una  sfilata di donne, parlamentari e assistenti, griffate dalle testa ai piedi, truccate come si deve, qualcuna con un pò di esagerazione, e appena uscite dal parrucchiere... come dovessero andare  a compiere qualche missione di tutt'altro genere e non una seduta parlamentare dove affrontare e risolvere i problemi del paese.

 Ci sono, naturalmente,  parlamentari delle quali non abbiamo potuto seguire la evoluzione 'esteriore',  e che si sono  sempre presentate come signore, vestite di tutto punto. Quelle stanno in Parlamento da secoli e perciò da tempo si sono adeguate allo stile 'politico' ( pensiamo ad Anna Finocchiaro, ex magistrato, catanese, in Parlamento dal 1987, da trent'anni,  e di anni ne ha appena più del doppio, vestita sempre in stile 'via Condotti').

E poi  ci sono anche molte  parlamentari giovani e giovanissime che fin dalla prima apparizione sono apparse come le loro compagne meno giovani, dopo il trattamento  imposto e 'pagato' dalla politica. Ma quelle sono in genere signorine o signore che  vengono dal mondo dello spettacolo ( un esempio su tutte, la Carfagna) - dove l'apparenza conta più della sostanza', o delle professioni  ( modello Boschi), dove da subito hanno imparato che occorre sapersi presentare, altrimenti non possono  godere della fiducia dei loro clienti. Che è poi ciò che la Serrachiani si propone con i suo Vademecum.

Abbiamo volutamente tralasciato di occuparci dei politici maschi, perchè questi, quando provengono dalla campagna - dove alcuni avrebbero fatto meglio a restare - recano indosso un distintivo, che li marchia a vista: la camicia con i polsini, e nell'abbinare pantaloni e giacca o camicia e cravatta, sembrano aver attinto da  stampelle e cassetti diversi.

 Dunque la politica sembra far bene ai politici, donne soprattutto. E allora che bisogno c'era per la Serracchiani, alla fine del suo mandato di governatrice, di  distribuire quel Vademecum di comportamento, quel galateo istituzionale e personale. Due le ragioni, le uniche che lo giustificherebbero semmai, ai nostri occhi. Forse i politici  (amministratori) locali non subiscono la stessa trasformazione di quelli nazionali, rispetto ai quali sono certamente svantaggiati anche sotto il profilo degli emolumenti (loro non sono ben pagati come in Parlamentari, e per questo spesso li si becca con le mani nel barattolo della marmellata delle tangenti: hanno bisogno di arrotondare); o forse quelli friulani ai quali la Serracchiani si rivolge, sono particolarmente bifolchi o 'burini',  detto alla romana. Questo solo Lei può saperlo.

sabato 13 gennaio 2018

NOTIZIE AL VOLO DALLA RETE @

@ E' stata inaugurata a Londra la nuova Ambasciata degli Stati Uniti, di recente costruita, in sostituzione di quella antica venduta ad uno sceicco del Golfo da Bush. L'enorme cubo, come si presenta il nuovo edificio, non è piaciuto a Trump che non ha voluto essere presente al taglio del nastro. In compenso gli inglesi  si sono evitati la visita di un 'CESSO' di PRESIDENTE.

@  Francesco Schettino, l'idiota comandante della 'Concordia', la cui stupidità fece incagliare la nave all'Isola del Giglio,  processato,   ha subito la condanna definitiva a 16 anni di carcere, mezz'anno per ognuno dei 32  passeggeri periti nel naufragio.

@ La signora Sandra Lonardo, moglie dell'ex ministro della giustizia ora sindaco di Benevento, Clemente Mastella, ha abbandonato l'attività commerciale di pasticciera alla quale aveva deciso di dedicarsi, per tornare alla politica. Si vede che l'ha ritenuta di gran lunga più redditizia e meno logorante. Come non essere d'accordo? Mica scema la signora che ora vuol dare una mano al marito, portando a casa ogni fine mese più soldi di lui.

@ Luigi Lusi, il tesoriere della Margherita che aveva preso qualche soldo alla cassa del partito, una ventina di milioni circa, che naturalmente aveva fatto fruttare acquistando subito una lussuosa residenza ai castelli romani e facendo investimenti anche esteri, è stato finalmente ritenuto colpevole e condannato con condanna definitiva  a  sei ( ?) anni.

@ Oggi  Emanuela Orlandi avrebbe compiuto 50 anni, ma ancora  la storia e le modalità del suo rapimento,  avvenuto nel lontano 1983, non sono ancora chiare. Quella data, 1983 - mutatis mutandis - ci ha fatto venire in mente che Pierferdinando Casini entrò in Parlamento per la prima volta, proprio quell'anno, cioè trenta cinque anni fa, QUANDO AVEVA 28 ANNI, ED ORA NE HA 62.
  In conseguenza di ciò, questa volta si dava per certo che ne sarebbe uscito, non ricandidandosi, tanto che si stava ipotizzano una sua collocazione a Bologna, a capo di una fondazione bancaria - diversa dalla commissione parlamentare che presiede; ed invece ci hanno ripensato e lui  s'è trovato d'accordo con gli altri. Sarà ricandidato, diventando forse uno dei parlamentari più longevi. Non è ora che  si ritiri?

@ Nuovi Accademici a Santa Cecilia. Accademico effettivo il direttore d'orchestra Gianandrea Noseda, Accademico onorario Alfred  Brendel. Auguri

@Orietta Berti è ritenuta capace di spostare una montagna di voti da destra a sinistra e da sinistra ai Cinquestelle, solo dichiarando per chi voterà. E perciò dopo la sua partecipazione ad una trasmissione radiofonica in cui ha dichiarato che alle prossime elezioni voterà per il partito dell'amico Grillo- "perché glielo ha promesso"-  i solerti  difensori  PD della corretta informazione,  suggeriscono anzi sostengono che Lei non può più partecipare alla tavolata di Fabio Fazio. Il cui contratto Rai è ora sotto osservazione della Corte dei Conti. E se chiedessero i giudici contabili di tagliarlo? Lui tirchio ma ormai ricchissimo ligure, accetterà o se ne andrà?  Come si comporterà Fazio a seguito della sentenza della Corte dei Conti sarà interessante vedere.

@ Macron vuole riscrivere la storia dell'architettura antica. Ha cominciato, timidamente ma con un immediato svarione, qualche giorno fa visitando la Domus Aurea che ha attribuito al genio 'EUROPEO' quando dovrebbe sapere che si trattò del genio 'ROMANO'. Una tendenza alla scrittura - prima di quella recentissima alla 'riscrittura', il giovane Macron la mostrò ben presto, ancora studente, come ha rivelato nella sua autobiografia  sua mogli, Brigitte. Al tempo in cui egli era allievo di sua moglie, e compagna di scuola di sua figlia, Macron fece battere a macchina da una sua amica un romanzo che conteneva pagine 'osé'. Osé quanto? Poco, molto? Forse quelle in cui il giovane studente rivelava i suoi sogni proibiti sulla sua professoressa? Ora Gallimard che ha rinunciato, 'pro bono pacis', a pubblicare alcuni testi antisemiti di Céline, potrebbe chiedere al presidente francese quel manoscritto per pubblicarlo.Il successo editoriale sarebbe enorme.


LA DELIBERA DELL'AGCOM SEMBRA USCITA DAL MINISTERO DI UNA DITTATURA ignorante e repressiva

 Ma in nome e in difesa della corretta informazione dei cittadini in ordine alle candidature ed ai programmi per le prossime politiche. All'informazione politica si vuole garantire pluralità e correttezza.  Invocano la difesa dei consumatori 'elettori' esattamente come i politici invocano la difesa degli interessi del paese. e cioè , senza parole, ma con il ben noto gesto dell'ombrello.
 L'Autority per le comunicazioni, nominata da Monti - che ci ha messo due suoi fedelissimi bocconiani - è composta da Angelo Marcello Cardani ( presidente), e, secondo bocconiano, Antonio Nicita -  dal sociologo Mario Morcellini( PD),  Antonio Martusciello ( FI, già dirigente Publitalia) e Francesco Posteraro ( UDC, vice segretario generale Camera dei Deputati).

A leggere la delibera che abbiamo in parte riprodotta nel post precedente, risalta il deficit di chiarezza, di logica ed anche di indipendenza. I membri dell'Autority, divisi in due commissioni ( formate rispettivamente da due membri e dal Presidente) sono stati nominati in barba ed in disprezzo di ogni competenza del settore, e si vede. E, alla faccia della professione di docenti universitari di molti di essi, si capisce dal linguaggio assolutamente nebuloso ed improbabile, ricco di locuzioni  non semplice da sbrogliare, che il deficit di preparazione che gli istituti di ricerche  segnalano nei neo laureati scaturisce dall'altrettanto deficit di logica, lingua e chiarezza dei docenti. 
A bollare come idiota quella direttiva relativa ai giornalisti  invitati ai dibattiti politici non c'è bisogno che aggiungiamo anche la nostra firma in calce, mille altre  ve ne sono e tute dello stesso tenore. I membri dell'Autority che sono emanazione di partiti e di accordi fra partiti, senza nessuna competenza nella materia di cui dovrebbero essere garanti, pretendono dagli altri, in questo caso i giornalisti, che siano come loro  e cioè  con il distintivo in petto, e non che siano competenti e capaci di ragionare.
 Ovvio che l'AGCOM, non fa eccezione fra le autority, fra le  quali non ve ne è una della quale  ci si possa  pienamente  fidare quanto a competenza ed indipendenza.


AGCOM. delibera del 10 gennaio 2018 sul PLURALISMO INFORMATIVO





...a norma del citato art. 8 laddove il format della trasmissione preveda l’intervento di un giornalista o di un opinionista a sostegno di una tesi, uno spazio adeguato anche alla rappresentazione di altre sensibilità culturali in ossequio al principio non solo del pluralismo, ma anche del contraddittorio, della completezza e dell’oggettività dell’informazione stessa, garantendo in ogni caso la verifica terza e puntuale di dati e informazioni emersi dal confronto;



...le emittenti radiotelevisive nazionali oggetto del monitoraggio dell’Autorità a provvedere, in maniera rigorosa e con effetto immediato, alla corretta applicazione dei principi del pluralismo informativo così come declinati dalle norme e dai regolamenti richiamati in premessa, assicurando la parità di trattamento tra soggetti politici e l’equa rappresentazione di tutte le opinioni politiche nel corso dell’intera campagna elettorale, nonché la puntuale distinzione tra l’esercizio delle funzioni istituzionali, correlate alla completezza dell’informazione, e l’attività politica in capo agli esponenti del Governo. Ciò al fine di garantire il corretto svolgimento del confronto politico su cui si fonda il sistema democratico secondo i criteri e le modalità declinate in premessa. L’Autorità si riserva di verificare l’osservanza del presente richiamo attraverso il monitoraggio di tutte le testate, con riferimento sia ai notiziari sia ai programmi di approfondimento informativo, procedendo alle valutazioni di competenza secondo quanto previsto dall’art. 8 della delibera n. 1/18/CONS. La presente delibera è notificata a tutte le emittenti radiotelevisive ed è trasmessa alla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. La presente delibera è pubblicata sul sito dell’Autorità all’indirizzo: www.agcom.it. Roma, 10 gennaio 2018 

venerdì 12 gennaio 2018

Per Aldo Cazzullo del 'Corriere della sera', e per l'assessore romano alla 'monnezza', Pinuccia Montanari

In questi giorni i giornali hanno ospitato molte lettere  riguardanti la pazza idea del Sovrintendente di Firenze di mutare,  Chiarot, a fini 'etici' - per condannare il femminicidio - il finale della Carmen di Bizet; e noi stessi su questo blog siamo intervenuti più di una volta.
 Sul 'Corriere', ancora oggi,  oltre un lungo articolo di Valerio  Cappelli che avrebbero dovuto intitolare 'Stranezze', meglio ancora 'Idiozie' all'opera!' e hanno preferito titolare con il più morbido, asoslutorio: 'Stravaganze'; e  alcune lettere alle quali,  sinteticamente Aldo Cazzullo ha inteso rispondere riconoscendo la libertà dell'artista. Sotto un paragrafo intitolato: 'Opere liriche. Mutare il finale fa parte della libertà artistica', dopo due lettere, Cazzullo, così sintetizza il suo pensiero: " Cari lettori, penso che faccia parte della libertà artistica anche la libertà di un regista di cambiare il finale di un'opera".

No, caro Cazzullo, occorre intendersi sul ruolo del regista che è, prevalentemente, quello di chi 'mette in scena' opere di altri,  che sono e restano i veri ed unici artisti,  e cioè gli autori di un'opera, di una pièce teatrale, di un romanzo ecc... A lui si concede la libertà di ambientare, come ha fatto Leo Muscato a Firenze, Carmen  in un campo rom dei nostri giorni. E fin qui, se la storia ha poi una sua coerenza, nella trasposizione del regista, possiamo anche accettarla e magari condividerla. Ma nessun regista può e deve cambiare il finale di una storia. Se la storia si conclude con il protagonista che ammazza la protagonista, non può nessun regista farla terminare con la protagonista che ammazza il protagonista, mutando anche il libretto, anche se solo per una battuta.

Se intende fare qualcosa del genere, allora si inventi lui una Carmen,  un'altra Carmen che chiameremo 'di Muscato'; ma non può cambiare i connotati  a quella di Bizet, che deve restare quella.
Faccia come fa ad esempio Emma Dante che costruisce da sè il suo teatro, se lo inventa; o come, tanto per citare un nome che conosciamo,  Cristoph Marthaler, che anni fa ha inventato al Festival di Salisburgo, uno spettacolo su Giacinto Scelsi.
 Si tolga dalla testa  di farsi chiamare 'autore' di un'opera, l'autore che si conosce, l'unico,  è quello che l'opera ha scritto.

Veniamo  ora al caso di Spelacchio, l'albero di  Natale più sfortunato e più conosciuto al mondo, che è quello che l'amministrazione Raggi ha messo in Piazza Venezia, pagandolo più di ogni altro, e che ha vissuto  così poco da non arrivare neanche a Natale. Ora, prima della rimozione, si è riaccesa l'attenzione su Spelacchio, dopo gli infiniti messaggi ironici lanciati all'indirizzo della sindaca, che Travaglio ha battezzato 'Spelacchia', quasi tutti del seguente tenore: 'neanche l'albero di Natale sanno scegliere gli amministratori Cinquestelle a Roma'.

 Nella discussione sul futuro dell'albero rimosso, è intervenuta, ancora sul 'Corriere', anche l'assessore romano alla monnezza,  Pinuccia Montanari, la quale si occupa di questo importante problema, non avendo  più tanto da fare per il problema principe della città: la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti  che lei ha risolto, a giorni alterni, in due diversi modi. Una volta dice che  non esiste a Roma una emergenza rifiuti, e che la raccolta è indietro solo di qualche unità, pochissime, e che in quasi tutta la città i rifiuti sono spariti; ed un'altra volta  che il problema dei rifiuti a Roma sarà risolto entro breve, nel 2021 (Quando, si spera, sia lei che  Spelacchia non governeranno più la città).

E ora? Non avendo  nulla più  da fare, la Montanari trova il tempo e  manifesta la voglia di occuparsi, dicevamo, della sorte futura di Spelacchio. Dell'albero si sa già la fine, ma dei bigliettini che cittadini  e turisti hanno lasciato attaccati ai rami o ai piedi del povero abete, che sono migliaia e potrebbero costituire un repertorio di barzellette infinito? Lei  e Spelacchia stanno pensando di farne un libro.
Che bella trovata. Con quali soldi? Per  farne cosa? Per aumentare il volume della  raccolta differenziata?