martedì 16 gennaio 2018

Gianandrea Noseda, musicologo, studioso di Puccini, presenta la VERA (?) TURANDOT secondo Puccini

Questa sera, al Teatro Regio di Torino, va  in scena Turandot di Giacomo Puccini, diretta da Gianandrea Noseda.

 Torino, dopo il successo 'di clamore'  per il finale mutato, anzi stravolto, della Carmen fiorentina, definita da tutti una vera IDIOZIA, si appresta a dire la sua sulla Turandot di Puccini che, a differenza dell'opera di Bizet, sembra avere tuttora aperti alcune interrogativi, ai quali Noseda, dal podio, intende dare personalissima  risposta, sperando in analogo chiasso mediatico. Al quale una giornalista di Repubblica cerca di dare una mano.

Noseda non intende mutare il finale di Turandot, che semplicemente non c'è, ma  troncare la rappresentazione laddove, per sopraggiunta morte del compositore, Turandot restò incompiuta.  Ricusando, di conseguenza, i 'finali'  affidati a due compositori, a distanza di molti anni l'uno dall'altro. A Franco Alfano, all'epoca della 'prima' scaligera, e cioè nel 1926 - Puccini era morto nel 1924 -  e la seconda a Luciano Berio all'inizio degli anni Duemila - far notare timidamente che il nuovo finale di Berio serviva a non far cadere la protezione del diritto d'autore su un'opera rappresentatissima, è solo pura cattiveria, anzi totale idiozia?

Val la pena riflettere sulla conclusione della composizione e della prima rappresentazione di Turandot.

Puccini  ai primi di novembre del 1924,  affetto da cancro alla gola, si decide a partire per Bruxelles per farsi curare ed operare da un celebre medico. Alla viglia della partenza, scrive all'amico Riccardo Schnabl: " Elivra è troppo in tocchi per intraprendere il lungo viaggio... e Turandot? Mah! Non averla finita quest'opera mi addolora. Guarirò? Potrò finirla in tempo? E' già pubblicato il cartellone della Scala" (da Giacomo Puccini, sonatore del Regno, edizioni Clichy, 2016).

Si sa come andò a finire. Il 29 novembre Puccini muore a Bruxelles, e con la sua scomparsa, sfuma il completamento della Turandot, al quale il musicista teneva. Forse, avrebbe  anche deciso anche di  finire con la morte di Liù, ma nessuno può dirlo. Neanche Gianandrea Noseda, che si appresta ad adottare tale soluzione esecutiva che ha un unico precedente, quello della 'prima' diretta da Toscanini.

" Il 25 aprile 1926 alla Scala di Milano viene presentata la Turandot, completata da Franco Alfano. Dopo la morte di Liù, a sipario alzato, nel silenzio generale, Toscanini, evidentemente commosso, si girò verso il pubblico e disse: ' Qui finisce l'opera lasciata incompiuta dal Maestro, perché a questo punto il Maestro è morto'. Il sipario calò, Toscanini lasciò il podio, il pubblico si levò in piedi, e nella sala del Piermarini, si udì una voce gridare: Viva Puccini! L'opera con il finale scritto da Alfano, venne eseguita solo a partire dalla recita successiva" (da Giacomo Puccini, sonatore del Regno, edizioni Clichy, 2016).

 (Una annotazione, anzi due, di carattere linguistico. Prima annotazione. A proposito della 'prima' scaligera, Leonetta Bentivoglio, che l'ha evocata nel suo articolo di sostegno alla soluzione proposta dal Noseda 'musicologo e studioso pucciniano', scrive che quella prima scaligera ebbe luogo con la conduzione di Toscanini. Come si vede una novità assoluta nella linguistica 'direttoriale'  nella quale già altre volte la giornalista si è lanciata.
Seconda annotazione.Un nostro amico, economista di vaglia, musicologo e musicofilo per passione, in un suo recente articolo, ha scritto a proposito del direttore del titolo in programma questi giorni all'Opera di Roma, e cioè I masnadieri di Giuseppe Verdi, testualmente: Roberto Abbado alla bacchetta - come si legge spesso: Maurizio Pollini al pianoforte,  Mariella Devia alla voce, e banalità consimili. Che non si deve fare per non scrivere: direttore Roberto Abbado, come dio e la lingua italiana comanderebbero).

 Tornando alla Turandot sembrerebbe chiaro che Puccini, che si era fermato alla morte di Liù, stava riflettendo su come chiudere l'opera che con la morte della fanciulla aveva raggiunto l'apice emotivo ed anche musicale. Non aveva ancora trovato la soluzione, al sopraggiungere della morte imprevista,  ma alla ricerca di una soluzione sembrava intenzionato.

 Perciò Puccini  non la riteneva affatto conclusa, come il musicologo Noseda sembra pensare. Tant'è che sì 'era portato appresso la trentina di pagine della partitura' che sperava di completare a  Bruxelles durante l'eventuale convalescenza.

Sugli appunti di quelle ultime pagine lavorarono prima Alfano, su incarico dell'editore Ricordi, e anche Berio a distanza  di quasi settant'anni.
 E il fatto che  Toscanini alla prima dell'opera abbia terminato l'esecuzione/ rappresentazione  dove  e come sappiamo,  non deve autorizzare Noseda a fare altrettanto. Per due ragioni, semplicissime. Noseda non è Toscanini, e questo è persino una ovvietà, e poi il 16 gennaio 2018, oggi, non è il 25 aprile del 1926, quando ebbe luogo la celebre, storica 'prima'.

 Infine, mettere fra parentesi la lunga tradizione esecutiva con il finale (secondo) di Alfano, iniziata nelle repliche successive alla 'prima' del 1926,  mai interrotta, e che neppure la ricostruzione di Berio è riuscita a scalzare (ad oggi sembra essersene avvalso quasi esclusivamente Riccardo Chailly), è solo puro arbitrio. Ed anche mania di protagonismo. Come altre volte, e su altri capolavori della storia della musica lasciati, per sopraggiunti casi di crudele destino, incompiuti - pensiamo al Requiem mozartiano -  ci è capitato di leggere: Anche in quel caso, il finale confezionato dall'amico allievo,  mai nessuno  è riuscito a scalzare, e nessuno ha proposto  l'esecuzione dell'opera così come fu lasciata incompiuta.

Noseda ci sembra intenzionato a far parlare di sè con questa inutile soluzione. Infatti, interrogato dalla giornalista Bentivoglio sull'operazione di 'falsificazione' del finale di Carmen a Firenze,  guizza via come un'anguilla: " sarebbe ingiusto dare pareri su uno spettacolo cui non ho assistito...ogni strada interpretativa va contestualizzata". E prosegue, pro domo sua:" Applico il rispetto dell' originale a Turandot (come mai  non l'ha invocato a proposito della Carmen fiorentina, ndr), in quanto i  nuovi finali non funzionano (benché abbiano funzionato per un secolo circa, avallati da molti autorevoli interpreti e studiosi, ndr), ma ciò non significa che si debba assumere quel criterio come norma totalizzante. Spesso noi direttori non facciamo quanto sta scritto in partitura, sorvolando sui tempi metronomici o sulle dinamiche richieste dall'autore. Senza però che il pubblico se ne renda conto".

Noseda, Lei si rende conto che la mancata osservanza di tempi  e dinamiche, come prescritte dal compositore, alla  quale Lei si appella, e che apparterrebbe alla cosiddetta 'libertà dell'interprete, è cosa ben diversa dal cambiare il finale di un'opera al punto che l'assassino diventi vittima, e la vittima dell'opera assassina? Di questo capovolgimento/tradimento anche il pubblico di Firenze s'è accorto, mentre Lei nicchia.















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