In questi giorni i giornali hanno ospitato molte lettere riguardanti la pazza idea del Sovrintendente di Firenze di mutare, Chiarot, a fini 'etici' - per condannare il femminicidio - il finale della Carmen di Bizet; e noi stessi su questo blog siamo intervenuti più di una volta.
Sul 'Corriere', ancora oggi, oltre un lungo articolo di Valerio Cappelli che avrebbero dovuto intitolare 'Stranezze', meglio ancora 'Idiozie' all'opera!' e hanno preferito titolare con il più morbido, asoslutorio: 'Stravaganze'; e alcune lettere alle quali, sinteticamente Aldo Cazzullo ha inteso rispondere riconoscendo la libertà dell'artista. Sotto un paragrafo intitolato: 'Opere liriche. Mutare il finale fa parte della libertà artistica', dopo due lettere, Cazzullo, così sintetizza il suo pensiero: " Cari lettori, penso che faccia parte della libertà artistica anche la libertà di un regista di cambiare il finale di un'opera".
No, caro Cazzullo, occorre intendersi sul ruolo del regista che è, prevalentemente, quello di chi 'mette in scena' opere di altri, che sono e restano i veri ed unici artisti, e cioè gli autori di un'opera, di una pièce teatrale, di un romanzo ecc... A lui si concede la libertà di ambientare, come ha fatto Leo Muscato a Firenze, Carmen in un campo rom dei nostri giorni. E fin qui, se la storia ha poi una sua coerenza, nella trasposizione del regista, possiamo anche accettarla e magari condividerla. Ma nessun regista può e deve cambiare il finale di una storia. Se la storia si conclude con il protagonista che ammazza la protagonista, non può nessun regista farla terminare con la protagonista che ammazza il protagonista, mutando anche il libretto, anche se solo per una battuta.
Se intende fare qualcosa del genere, allora si inventi lui una Carmen, un'altra Carmen che chiameremo 'di Muscato'; ma non può cambiare i connotati a quella di Bizet, che deve restare quella.
Faccia come fa ad esempio Emma Dante che costruisce da sè il suo teatro, se lo inventa; o come, tanto per citare un nome che conosciamo, Cristoph Marthaler, che anni fa ha inventato al Festival di Salisburgo, uno spettacolo su Giacinto Scelsi.
Si tolga dalla testa di farsi chiamare 'autore' di un'opera, l'autore che si conosce, l'unico, è quello che l'opera ha scritto.
Veniamo ora al caso di Spelacchio, l'albero di Natale più sfortunato e più conosciuto al mondo, che è quello che l'amministrazione Raggi ha messo in Piazza Venezia, pagandolo più di ogni altro, e che ha vissuto così poco da non arrivare neanche a Natale. Ora, prima della rimozione, si è riaccesa l'attenzione su Spelacchio, dopo gli infiniti messaggi ironici lanciati all'indirizzo della sindaca, che Travaglio ha battezzato 'Spelacchia', quasi tutti del seguente tenore: 'neanche l'albero di Natale sanno scegliere gli amministratori Cinquestelle a Roma'.
Nella discussione sul futuro dell'albero rimosso, è intervenuta, ancora sul 'Corriere', anche l'assessore romano alla monnezza, Pinuccia Montanari, la quale si occupa di questo importante problema, non avendo più tanto da fare per il problema principe della città: la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti che lei ha risolto, a giorni alterni, in due diversi modi. Una volta dice che non esiste a Roma una emergenza rifiuti, e che la raccolta è indietro solo di qualche unità, pochissime, e che in quasi tutta la città i rifiuti sono spariti; ed un'altra volta che il problema dei rifiuti a Roma sarà risolto entro breve, nel 2021 (Quando, si spera, sia lei che Spelacchia non governeranno più la città).
E ora? Non avendo nulla più da fare, la Montanari trova il tempo e manifesta la voglia di occuparsi, dicevamo, della sorte futura di Spelacchio. Dell'albero si sa già la fine, ma dei bigliettini che cittadini e turisti hanno lasciato attaccati ai rami o ai piedi del povero abete, che sono migliaia e potrebbero costituire un repertorio di barzellette infinito? Lei e Spelacchia stanno pensando di farne un libro.
Che bella trovata. Con quali soldi? Per farne cosa? Per aumentare il volume della raccolta differenziata?
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