Quella che per noi è solo una patetica polemica da Festival, a Kyiv è una faccenda diplomatica. Subire una censura preventiva sarebbe stato un affronto che il leader dell'Ucraina non avrebbe potuto tollerare: meglio una lettera, e basta così.
Prima lo invitano, nella speranza che aiuti lo share. Poi un po’ lo schifano, perché Twitter non vuole, Salvini s'oppone, la Meloni chissà. Quindi pretendono di “editarlo”. Infine, la trovata più tipica della mentalità del buon funzionario medio della Rai, quello che sa che a Viale Mazzini la risposta migliore tra il sì e il no è il "boh": “Ci mandi pure una lettera, la leggiamo noi”. Tutto così italiano, certo. Solo che quella che per noi è solo una patetica polemica da Festival di Sanremo (e poco importa se, come si dice, la pensata è stata suggerita dall’ubiquo Bruno Vespa), a Kyiv è anche una faccenda diplomatica. E quindi si capisce la sorpresa, il fastidio, manifestati dallo staff di Zelensky per com’è stata gestita questa buffa trattativa. E tale è stato il risentimento, che s’è resa necessario perfino un intervento di mediazione prima da parte di Palazzo Chigi e della Farnesina, poi della stessa Rai: tutti ansiosi di spiegare a Zelensky che sì, va bene, lui starà pure sotto le bombe di Putin, ma qui Amadeus ha un Festival da mandare avanti, un auditel da affrontare a mani nude. E insomma alla fine più che un compromesso, quello della lettera è stato un atto di sdegno. Nel senso che proprio Zelensky avrebbe deciso che conveniva chiuderla così, in modo inglorioso.
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