La musica italiana sta sparendo per colpa dei manager
italiani che la gestiscono.
La morte o la
distruzione della musica in Italia, con sentenza inappellabile, l’hanno
decretata alcuni fra coloro che, due anni fa, si stracciavano le vesti e si
dichiaravano pronti a bruciarsi vivi in
Piazza del Parlamento - l’avessero fatto, la musica italiana sarebbe salva! -
qualora il governo Berlusconi avesse drasticamente tagliato i finanziamenti
statali a questo settore, di antiche
gloria e tradizione. Al loro fianco scesero noti esponenti politici, non
parlamentari ( leggi: Gianni Letta per l’Accademia di Santa Cecilia); li
convinsero a non mettere in atto azioni dimostrative plateali e definitive,
come le dimissioni (salutari!) dopo decenni di ininterrotta gestione di
istituzioni musicali di prestigio. Le vesti subito se le ricomposero a
copertura delle vergogne fisiche, il fuoco rigeneratore in Piazza del
Parlamento non fu neanche acceso e le dimissioni, ventilate a mò di minaccia,
praticamente negate. E, passata la tempesta, tutti si tornò a far festa,
compatibilmente con i tempi di vacche magre in cui viviamo.
Quelle azioni dimostrative erano, ipocritamente,
dettate dall’imperativo di difendere la nostra grande tradizione musicale.
Quale? Quella dei nostri grandi compositori richiesti ed apprezzati nel mondo,
quella dei nostri bravissimi interpreti, vanto un tempo della nostra scuola
musicale, oggi un po’ meno, ma pur sempre capace di accudire talenti che non
mancano, esattamente come non mancano in tante altre categorie – come
l’affermazione internazionale di molti di loro, riuniti sotto l’etichetta di
‘cervelli ‘in fuga’, sta a dimostrare.
Ma, intanto, che fine hanno fatto tutti i nostri
ottimi compositori, i nostri bravi interpreti?
Un paio di esempi lo chiariranno.
Risparmiamo
al lettore i nomi di direttori e solisti (vocali e strumentali) impegnati nelle
due stagioni sinfoniche più prestigiose del nostro paese: l’Accademia di Santa
Cecilia a Roma e l’Orchestra sinfonica nazionale della Rai, con sede a Torino,
della quale ultima, nel numero precedente di Music@, abbiamo fornito
l’inimmaginabile elenco: italiani, solo
un paio di direttori e neanche un solista. Santa Cecilia per la stagione appena
iniziata non è da meno. Diranno che gli italiani sono presenti; sì, le prime
parti solistiche dell’orchestra - tutti bravissimi, senza dubbio!- ma ad essi
si ricorre solo perché non si hanno i soldi per pagare solisti esterni. Perché
non l’hanno fatto anche negli anni
passati? E’ dal 2002 che quei bravissimi solisti siedono stabilmente nell’orchestra ceciliana. Vanno a suonare altrove ma nella loro
orchestra mai. O quasi.
Negli stessi giorni in cui venivano presentate le
stagioni - con giusto anticipo! - sui
giornali italiani imperversava la polemica attizzata dagli architetti francesi
i quali lamentavano la loro bocciatura nei concorsi per le grandi opere in
patria. E una archistar italiana, Fuksass, riportando il discorso in casa
nostra, attribuiva al ‘provincialismo’ italiano - ed ora si scopre essere anche francese - una
situazione analoga in campo architettonico. E, noi aggiungiamo, anche musicale.
Quale può
essere la ragione profonda di tale evidente ed inammissibile assenza? La superiore bravura degli artisti stranieri,
sempre più bravi degli italiani? Tesi difficile, comunque, da difendere, ed
ancor meno dopo che un giudice super partes, come Salvatore Accardo, ha difeso
i giovani violinisti italiani, ritenendoli
più bravi e più colti di tantissimi stranieri. E lui di violinisti nelle
sue classi di perfezionamento ne ha visti passare tanti, forse tutti!
Gli stranieri costituiscono, forse, un vantaggio per
le casse delle nostre istituzioni musicali? Assolutamente no; anzi, è vero il
contrario; con gli italiani si può forse trattare meglio, specie agitando il
capestro della crisi terribile di questi anni. Ma allora, perché? C’entrano le
agenzie internazionali, quelle più potenti che hanno artisti per ogni esigenza?
Una delle
ragioni andrebbe ricercata proprio nello strapotere delle agenzie, che in
Italia - paese nel quale i cachets sono più alti che in tutto il resto del
mondo - fanno il bello e cattivo tempo, vantando la rappresentanza di molti
direttori d’orchestra che sono a capo di importanti istituzioni e che perciò
possono contare sulle scritture anche di molti solisti; e nel teatro d’opera
l’influenza è ancora più evidente. I casi di alcuni agenti del passato e
presenti che in Italia hanno trovato l’America, o il ‘Nuovo mondo nel Vecchio
continente’ sono ben noti a tutti coloro che si occupano di organizzazione
musicale, il che ci esime dal fare i loro nomi, tante altre volte fatti. Che ci
siano interessi economici o di altro genere - musicisti di poco valore che
hanno responsabilità artistiche potrebbero giovarsene, nella logica di scambi,
lontani dagli occhi attenti del proprio teatro d’azione - sì è spesso parlato,
oggi come ieri; e qualche volta si è anche ipotizzato, a carico di grandi personalità dell’organizzazione
musicale italiana, il loro
cointeressamento nelle grandi agenzie internazionali, a livello societario,
magari attraverso prestanomi di comodo. Certo se anche non è vero e non si può
dimostrare, il sospetto viene.
C’è anche qualche altra ragione? Sicuramente, e
forse più d’una. Ma prima di qualunque altra l’incapacità di molti (troppi!) direttori artistici di
giudicare un solista o un direttore attraverso audizioni. Non è un’ accusa, è
semplice constatazione. Chi non sa
discernere una voce da un’altra, e la sua idoneità a sostenere un ruolo, come
può fare di mestiere il direttore artistico? Per questo ricorre all’agenzia, la
quale è ben felice della situazione in cui versano molte istituzioni musicali
che hanno a capo persone incapaci, ai quali prestare soccorso con le loro
proposte che fanno gli interessi degli artisti ed anche quelli propri, ossia
delle agenzie. Queste non sono farneticazioni. Quante volte leggiamo, perfino
nei resoconti giornalistici di colleghi che hanno anche rapporti di lavoro con
le stesse istituzioni, che il cast di questa o quell’opera non era all’altezza,
che non era stato scelto come si doveva. E per dirlo loro, che poi sono ‘ a
libro paga’ delle istituzioni, vuol dire che non potevano farne a meno, ed anche
per evitare di essere lapidati nella pubblica piazza. Con questo si spiega come
mai alcuni direttori artistici gestiscano contemporaneamente più istituzioni:
queste possono fregiarsi di un nome altisonante al loro vertice, ed i direttori
artistici, facenti funzione, offrire un ventaglio ancora più ampio alle agenzie
che sono i veri gestori, a tutti gli effetti, di tali istituzioni.
Chi qualche
volta ha tentato di porre all’attenzione tale problema ed avanzato la necessità
di risolverlo, anche a livello ministeriale, è stato accusato di voler
incatenare la libertà del direttore artistico. No, quella proposta voleva solo
liberare numerosi direttori artistici dalle catene della loro incapacità e
della inevitabile schiavitù nei confronti delle agenzie.
Ancora oggi
la musica in Italia esiste, perché ci sono i finanziamenti pubblici, senza i
quali - assenti quasi del tutto quelli privati - il sistema collasserebbe.
Allora il Ministero, le cui commissioni centrali ‘consultive’ offrono pareri al Ministro sulla distribuzione dei
finanziamenti, potrebbero introdurre il parametro‘artisti italiani’, come
elemento incentivante per la determinazione dei finanziamenti medesimi. Non per
favorire gli inetti, semplicemente per non assistere più all’indecente
spettacolo di vedere intere stagioni costruite esclusivamente con artisti
stranieri, mentre i nostri bussano invano alle porte o emigrano. Gli esempi dai
quale ci siamo mossi, dell’Accademia di Santa Cecilia e dell’Orchestra
sinfonica nazionale della Rai, non traggano in inganno, facendo concludere che
si tratta di casi isolati e casuali che variano da stagione a stagione.
Sono esempi eclatanti, certamente i più
eclatanti; ma basta dare un’occhiata anche a istituzioni meno blasonate ma
ugualmente importanti per rendersi conto
della esistenza di fatto di
piccoli potentati, province dell’impero raggruppate a due o a tre, a capo delle
quali esistono ufficialetti con l’ordine perentorio del generale che gli ha
affidato tale missione, di smistare sul territorio, quanto proposto dalle agenzie. Sempre loro, in
assenza di direttori artistici capaci e dediti al loro lavoro.
(Da
Music@ n. 35 novembre–dicembre 2013) Francolina del Gelso
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