Accadde
nel 1944, ed io avevo 28 anni. Ero allora comandante di squadra nella batteria
‘A’ ChestnutTroop, Primo Reggimento, R.H.A. Il reggimento fungeva da
artiglieria di sostegno all’indipendente Nona brigata corazzata e i Chestnut
erano d’appoggio al Terzo Ussari. Ricordo che per un certo periodo restammo di
stanza intorno a Città di Castello e che poi muovemmo verso nord. Fu durante
questo spostamento che mi comandarono di trovare un punto d’osservazione che
dominasse Sansepolcro.
Da principio avanzai col mio carro sui declivi
orientali delle colline che davano ad est, poi proseguii a piedi sui crinali,
con un segnalatore ed una radio portatile, fino a raggiungere i più avanzati
pendii. Ricavammo uno spiazzo all’interno di un gran cespuglio, ci sistemammo
nella maniera più comoda possibile – stavamo infatti per trascorrervi l’intera
giornata – e ci mettemmo ad osservare e ad aspettare. Non eravamo in comunicazione
diretta con le nostre batterie (il che può aver avuto una qualche influenza su
ciò che accadde in seguito), perché la nostra radio non ne aveva la portata.
Eravamo, però, in contatto con il carro, la cui radio era sintonizzata con
quella della batteria.
Detti l’ordine che un cannone di una data fila
e portata sparasse un colpo solo da qualche parte nel mezzo della valle; in
questa maniera, se avessi dovuto cannoneggiare all’improvviso, avrei saputo
quali ordini impartire, senza arrabattarmi qua e là con carta geografica e
goniometro. I nostri cannoni si trovavano due o tre miglia a sud.
Restammo quindi in attesa. Sorse il sole nel
cielo terso; davanti a noi si vedeva chiaramente Sansepolcro. C’era il sospetto
che il nemico fosse ancora in città - mi dissero via radio - e, di conseguenza,
dovevo cannoneggiarla prima che le nostre truppe si avvicinassero. Così regolai
il tiro sulla città e feci partire due o tre scariche di batteria. Marcus
Klinton, mio comandante di batteria, mi informò via radio che c’erano
abbastanza munizioni e, perciò, potevo procedere ed anche usarne a mio
piacimento. Il mattino seguente sarebbe stato lanciato l’attacco e nostro
compito era liberare prima la città. Così cominciai a cannoneggiare
Sansepolcro. Intanto con il binocolo scrutavo di lontano la città metro per
metro, senza riuscire a scorgere da nessuna parte il minimo segno della
presenza del nemico, anche se ciò naturalmente non voleva dire che avesse
abbandonato la città.
In quel preciso istante, cominciò a tormentarmi
un dubbio. Ma io il nome di Sansepolcro lo conoscevo già! Perché conoscevo quel
nome? L’avevo sentito da qualche parte? Se me lo ricordavo, doveva essere stato
in relazione a qualcosa di importante? Ma non riuscivo a ricordare bene né dove
né quando.
Nel frattempo io e il segnalatore ricevemmo la
visita di un ragazzo, coperto di stracci, con un cane. Gli dicemmo:”
Tedeschi…Sansepolcro”, indicando la città. Lui scosse il capo, fece una smorfia
e indicò le colline. I tedeschi avevano abbandonato Sansepolcro; era, dunque,
una ulteriore conferma alla mia ipotesi.
Fu allora che mi tornò in mente la ragione per
cui conoscevo già il nome di Sansepolcro: “La più bella pittura del mondo!”.
Dovevo avere diciotto anni circa quando lessi
un saggio di Aldous Huxley . Ricordavo con chiarezza la descrizione del suo
faticoso viaggio da Arezzo a Sansepolcro e, tuttavia, quanto meritasse farlo
quel viaggio, dato che a Sansepolcro c’era la Resurrezione di Piero della
Francesca, “la più bella pittura del mondo”.
Feci il calcolo dei bossoli sparati e fui
sicuro che, se non avessi ancora distrutto “la più bella pittura del mondo”, avrei
potuto, proseguendo il bombardamento, danneggiarla gravemente. Così feci
cessare il fuoco. L’ufficiale superiore che comandava l’operazione mi chiamò
via radio per sapere perché avevo interrotto il bombardamento; lo rassicurai,
dicendogli che non vedevo postazioni nemiche da bombardare. Non avendo certezze sulla presenza del nemico
a Sansepolcro, mi resi conto che avevo preso una decisione molto coraggiosa ma
rischiosa, che avrebbe potuto costarmi la corte marziale, qualora la fanteria
alleata, entrando a Sansepolcro, fosse stata sorpresa ed attaccata nella sua
avanzata. Ci fu un’interruzione della comunicazione radio che mi salvò dall’obbligo
di fornire una ulteriore spiegazione. Io e il segnalatore ci sedemmo sotto le
fronde che ci nascondevano, scrutammo ancora con il binocolo la città, senza
scorgere ombra del nemico. Quando fece buio, ci ritirammo e tornammo alla
postazione della batteria.
Il giorno dopo facemmo il nostro ingresso a
Sansepolcro, senza perdite per noi e senza incontrare resistenza. Domandai
subito dove si trovava la Resurrezione. Ci andai e vidi che il Palazzo comunale
era intatto. Entrai, ed eccola sana e salva, e magnifica la Resurrezione di
Piero,”la più bella pittura del mondo”,
così come l’aveva descritta Huxley:
“Dipinta ad affresco, i suoi colori chiari
eppure sottilmente sobri risaltano sulla parete con intatta freschezza. Non dobbiamo
ricorrere all’immaginazione per indovinare la bellezza; è là, dinanzi a noi in
tutto il suo splendore. Piero ha fatto della semplice composizione triangolare
il simbolo tematico. La base del triangolo è costituita dal sepolcro; mentre i
soldati che dormono attorno ad esso hanno la funzione di indicare, con le loro
posture, il convergere verso l’alto dei lati, i quali si incontrano al vertice,
sul volto del Cristo risorto. Il quale
si sta ergendo con un vessillo nella mano destra e con il piede sinistro già
alzato e appoggiato sull’orlo del sepolcro, pronto ad incamminarsi per il
mondo. Nessun altra struttura geometrica avrebbe potuto essere più semplice ed
adatta. Ma l’essere che si leva dalla tomba dinanzi ai nostri occhi è molto più
simile ad un eroe di Plutarco che al Cristo della religione cristiana. Il suo
corpo è sviluppato alla perfezione come quello di un atleta greco, ed emana una
tale forza che la ferita sulla massa muscolare del fianco appare quasi
irrilevante. Il volto è deciso, pensieroso; gli occhi freddi. L’intera figura è
espressione del potere fisico ed intellettuale. E’ l’ideale classico che
risorge dalla tomba nella quale era giaciuto per molte centinaia di anni,
incredibilmente più maestoso e bello della stessa realtà classica” (Aldous Huxley)
La
gente aveva cominciato a ripararla con sacchetti di sabbia, ma erano arrivati
solo all’altezza della vita del Cristo risorto. Alzai gli occhi al soffitto e
realizzai che sarebbe stata sufficiente una granata per distruggere quel
capolavoro. Talvolta mi chiedo come mi sarei sentito, ora, se mi fosse capitato
di distruggere la Resurrezione. Per un momento ho pensato di scrivere ad Aldous
Huxley. Ciò che era accaduto avrebbe potuto costituire un bell’esempio del
potere della letteratura, e di come la penna sia più potente della spada!
Sono tornato a Sansepolcro molti anni dopo; il
sindaco Ottorino Goretti (sindaco dal 1964 al 1976) mi consegnò le chiavi della
città, onorandomi della cittadinanza. Così parlò il sindaco Goretti: ”Ricorre
quest’anno il ventennale della Liberazione; e mentre torna alla mente il
ricordo di eventi tristi e tragici, con gioia vogliamo ricordare e celebrare un
avvenimento ispirato da calorosa e profonda umanità, e dal rispetto ed amore per la civiltà e la storia. Quanto accadde in
quel lontano 1944, ad opera del capitano Clarke che salvò la Resurrezione di
Piero della Francesca e Sansepolcro dal bombardamento, sta a ricordarci come
l’attenzione alla cultura e all’arte abbia sconfitto la brutalità della guerra.
Possiamo, perciò, sperare che vedremo un giorno la fine delle guerre, che le
nostre comunità potranno vivere in armonia ,
e che l’arte e la cultura porteranno, finalmente,
la pace fra i popoli”.
(Il capitano inglese, Anthony Clarke, insignito
della Croce militare per ‘valore e
coraggio in combattimento’ è morto nel
1981, a Cape Town, in Sudafrica, dove si era ritirato aprendo una importante
libreria. A Sansepolcro, una via porta
il suo nome, a ricordo di quando la Resurrezione salvò Sansepolcro dal
bombardamento).(Testo raccolto e rielaborato da Pietro Acquafredda)
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