Le interpretazioni errate delle informazioni sulla salute aumentano durante epidemie e spesso hanno un impatto negativo, aumentando l'esitazione nei confronti dei vaccini e ritardando anche l'accesso alle cure. Lo mostra una revisione di studi pubblicata sul Bollettino dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, che evidenzia come il il 51% dei post associati ai vaccini veicolava disinformazione. Ma allo stesso tempo, se sfruttata bene, la comunicazione sui social è una contromisura all'infodemia, o diffusione di una grande mole di notizie sul web, spesso inaccurate o false.
La revisione sistematica ha utilizzato 31 studi condotti in precedenza sul tema. In particolare, comparando i risultati di 4 incentrati sulla percentuale di disinformazione sanitaria su Twitter, Facebook e Instagram, è emerso che conteneva informazioni imprecise o fuorvianti fino al 51% nei post associati ai vaccini, fino al 28,8% nei post sul Covid-19 e fino al 60% in post sulle pandemie. Tra i video di YouTube sulle malattie infettive emergenti, il 20-30% conteneva informazioni imprecise o sbagliate.
Dieci studi hanno contribuito a esaminare gli effetti della disinformazione, mostrando che questi includono aumento dell'interpretazione errata delle conoscenze scientifiche, polarizzazione delle opinioni, escalation di paura, ridotto accesso alle cure, più esitazione sui vaccini e maggior uso di trattamenti non provati. Tuttavia, non tutti gli effetti dei social media sono stati negativi in pandemia: alcuni degli studi analizzati hanno rilevato come diverse piattaforme abbiamo generato conoscenze migliore, maggiore conformità alle raccomandazioni sulla salute e comportamenti più positivi rispetto ai modelli classici di informazione. Durante i momenti di crisi, scrivono gli autori della revisione, "la sovrapproduzione di dati da più fonti, la qualità delle informazioni e la velocità con cui le informazioni vengono diffuse creano impatti sociali e sanitari". Quindi "promuovere e diffondere informazioni sanitarie affidabili è fondamentale per superare le informazioni sanitarie false o fuorvianti". (ANSA).
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