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Un’ipotesi che il governo guidato da Mario Draghi ha valutato. E lo ha fatto ancora una volta (lo aveva già fatto nel Def) nel testo della Nadef, ovvero la Nota di aggiornamento del Def che ha ottenuto il via libera del Consiglio dei ministri. «Per quanto riguarda gli approvvigionamenti - si legge nel documento - lo scenario tendenziale sconta un’ulteriore discesa delle importazioni di gas russo, non un loro completo azzeramento. Si è pertanto elaborato uno scenario alternativo di completa interruzione degli afflussi dalla Russia a partire dal mese di ottobre».

Se nel Def di fine marzo sono stati presi in considerazione due scenari di rischio incentrati su uno shock di prezzo con o senza una carenza di gas, «gli sviluppi degli ultimi mesi - si legge nella Nadef - sono stati più simili allo scenario di shock di prezzo allora elaborato: gli afflussi di gas russo sono continuati ma sono stati accompagnati da forti rialzi dei prezzi a fronte di una campagna di stoccaggio da parte di tutti i Paesi europei. Allo stato attuale - si legge ancora nel documento -, data una percentuale di riempimento degli stoccaggi prossima all’obiettivo del 90% e la continuazione in settembre delle importazioni dalla Russia, sia pure con volumi molto inferiori al passato, lo scenario di rischio che appare più rilevante è quello di un completo arresto delle forniture dal mese di ottobre in poi. Al pari dello scenario tendenziale, si è ipotizzato che il livello mensile di stoccaggio non possa scendere mai al di sotto della riserva strategica dell’Italia».

Che cosa potrebbe allora accadere in questo scenario, ovvero nel caso in cui a ottobre la Russia decidesse di chiudere il rubinetto del gas verso l’Italia? La parola ancora una volta va alla Nadef: nella simulazione effettuata «si è ipotizzato che il completo venir meno degli afflussi dalla Russia porti ad un aumento del 20 per cento dei prezzi medi del gas naturale, dell’elettricità e del petrolio rispetto allo scenario tendenziale nel quarto trimestre di quest’anno e nel 2023. Nel 2024 e nel 2025 i prezzi sarebbero più elevati del 10% e del 5%, rispettivamente. I risultati della simulazione indicano una contrazione cumulata nel 2022 e nel 2023 del 4,9% (e del 7,7% nel periodo 2022-2025), solo lievemente inferiore a quanto ritenuto necessario ma che potrebbe essere integrata da comportamenti comportamentali in risposta al Piano di contenimento del Mite».

Ecco allora gli impatti macroeconomici connessi allo scenario di rischio: «minor crescita del Pil in confronto al tendenziale pari a 0,2 punti percentuali nel 2022 (quindi +3,1%, ndr) )e 0,5 punti percentuali nel 2023 (+0,1, ndr), mentre risulterebbe superiore di 0,4 punti percentuali nel 2024 e 0,2 punti percentuali nel 2025 per un effetto di rimbalzo. Il tasso di crescita del Pil nominale si ridurrebbe più moderatamente per via di una dinamica più sostenuta del deflatore, scendendo di 0,1 punti percentuali quest’anno rispetto al tendenziale, 0,3 p.p. nel 2023 ed aumentando di 0,2 p.p. e di 0,1 p.p. rispettivamente nel 2024 e nel 2025. Si tratta - si legge ancora nella Nadef - di impatti molto inferiori a quelli stimati negli scenari di rischio al Def. Ciò riflette i progressi fatti sull’approvvigionamento da fonti alternative, nonché la continuazione degli afflussi di gas naturale dalla Russia».