Chiudere gli occhi di fronte alla realtà davvero non serve. Causa anche la pandemia, la guerra, l'incertezza del futuro, e mettiamoci anche le nascoste, per ora, mire sovraniste della nuova formazione politica uscita vincitrice dalle elezioni, la crisi economica impossibile da nascondere ormai, l'inflazione ed altro ancora... tutto questo incide , anzi ha già inciso sulla contrazione del pubblico delle istituzioni culturali, che già prima preoccupava i più diretti interessati, artisti e manager.
Nascondersi tale contrazione evidente - come ad esempio ha fatto anche quest'anno l'Opera di Roma al termine della Stagione estiva a Caracalla, con dichiarazioni di vittoria mentre vittoria non c'era stata - è controproducente. E allora che si fa?
Sono sufficienti campagne pubblicitarie che invitano a 'lasciarsi prendere dalla musica', a correre a teatro, perché 'l' amore è salito in palcoscenico', 'innamorati anche tu', senza timori, e perché 'sotto il cielo, mettiamo della Scala, c'è posto per tutti'? Troppo facile. Magari bastassero delle campagne pubblicitarie più o meno azzeccate.
Occorrono politiche culturali forti, radicali.
A cominciare dai prezzi dei biglietti che continuano ad essere alti e certamente non alla portata di molte tasche, anche della borghesia. Ci sono timidi segali di provvedimenti ad hoc ( abbonamenti speciali, alcuni legati all'età del pubblico), ma occorre avere più coraggio.
Occorre prestare attenzione alla programmazione: cartelloni troppo sofisticati non rappresentano un invito efficace ad entrare la prima volta in teatro ( sono troppi i direttori artistici che vogliono accreditarsi senza averne i requisiti come intellettuali; e troppi anche quelli che nessuno li schioda, quando un cambio ai vertici, non in peggio s'intende, sarebbe salutare).
La durata dei concerti che sembrava in qualche modo modificata a causa della pandemia e che sembra essere tornata , per le durate, ai tempi pre pandemici (ad esempio il concerto diretto da Muti, a Loreto, trasmesso da Rai5, era lungo anche per noi, che siamo abituati a tutto). Non si può stare, salvo rarissimi casi, in teatro o in sala da concerto per ore !
Insomma occorre darsi da fare. Non serve far pubblicare all'amatissimo Pappano una sua 'playlist' musicale su Spotify, che fa l'occhiolino ai giovani: o tappezzare il foyer circolare dell'Auditorium di Roma di pannelli enormi che riproducono 'abbracci', di Pappano soprattutto, con altri artisti. Gli abbracci, la loro necessità, miravano a superare la crisi pandemica, non risolveranno i problemi della musica.
Andiamo dicendo da tempo che i direttori artistici sono troppo ben pagati per quello che non fanno. Se uno pensa - non ci stancheremo di ripeterlo - che Michele dall'Ongaro, al vertice di Santa Cecilia, prende lo stesso compenso di Fuortes, amministratore delegato Rai, è lecito pretendere dal primo un impegno giorno e notte per l'Accademia ed anche una riduzione del compenso; la semplice rappresentanza di una istituzione storica non può essere ragione principale nella determinazione di un compenso.
Li vediamo, a Roma, i vertici, presenti come prezzemolo nei salotti o nelle serate speciali. Avranno il tempo per occuparsi seriamente dei veri problemi delle istituzioni, ormai improcrastinabili? Non possono dormire sonni tranquilli solo perchè il finanziamento pubblico assicura una navigazione tranquilla. Serve farla diventare spedita la navigazione, anche se rischiosa.
Vedremo presto se se la caveranno!
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