domenica 11 settembre 2022

Primo giorno di scuola . Lettere ai ragazzi

 

La scuola e il sogno di un anno normale. Lettera ai ragazzi che tornano in classe



 

Vi insegneremo a essere felici

Oggi è un primo giorno di scuola molto particolare

Dopo due anni le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi rientrano in una scuola “normale”, non più sottoposta a disposizioni sanitarie di vario tipo. Io me lo ricordo benissimo venerdì 21 febbraio 2020, quando a Milano abbiamo salutato le nostre classi pensando che ci saremmo rivisti il lunedì successivo. E invece siamo piombati in un incubo fatto soprattutto di lontananza, di mancanza di relazioni, di impoverimento dei sentimenti, di impossibilità di guardarsi in faccia. Quanto è stato tolto alle studentesse e agli studenti di ogni tipo di scuola in questi due anni? Tantissimo e noi che viviamo nella scuola sappiamo benissimo che abbiamo ancora moltissimo da risarcire ai nostri ragazzi. A partire dalle troppe cose che non sono state fatte in questi due anni per migliorare sensibilmente la scuola e porla finalmente al centro della vita politico/amministrativa del Paese. Allora, ancora una volta, iniziamo noi insegnanti, educatori, dirigenti scolastici e personale della scuola a risarcire le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi.

 Accogliamoli sorridendo, abbracciamoli, stiamo vicini a loro, mettiamoli a loro agio. Ma, soprattutto, ascoltiamoli e prestiamo loro tutta l’attenzione di cui siamo capaci. E anche di più. Rendiamoli protagonisti assoluti di questa giornata e facciamo in modo che, a questa, ne seguano tantissime altre. Facciamo in modo che la scuola diventi un luogo erogatore di benessere e di felicità. Ogni giorno. Per chi la vive e per il territorio che la circonda. Io oggi sarò circondato da bambine e bambini di sei anni che iniziano la loro avventura alle elementari. Non smetterò un secondo di sorridere e so che faranno lo stesso le mie colleghe e i miei colleghi. Perché, a scuola, bisogna sorridere di più. E, oggi, saremo anche senza mascherina…

Paolo Limonta “Tutti i bambini devono essere felici” racconta la sua esperienza (Terredimezzo)

                                                                                   

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 Da qui si può cambiare tutto

E così si ricomincia. Ricominceranno le macchie di gesso sui vestiti, il rumore delle sedie che si spostano, le mani alzate, gli "Scusi prof, non sapevo che fosse per oggi!". Ricominceranno le facce assonnate, gli scambi di bigliettini più efficienti e puntuali della FedEx, le risate trattenute giù al banco in fondo, che più le trattieni più ti viene da ridere. Ricomincerà l'odore di pulito e l'ordine geometrico appena entri in classe, sostituiti dal disastro da deflagrazione di ordigno bellico all'ultima campanella. Di nuovo vedremo gli occhi impauriti di quelli del primo anno, le facce sicure e altezzose da "Qua comando io" di quelli dell'ultimo. Al cancello, riecco già i "dammi il cinque" in stile rapper del ghetto, e all'uscita le corse giù per le scale in stile Fuga per la vittoria .

Già ti sembra di sentire le cuffie nelle loro orecchie appena scesi dalla corriera, quelle a volume talmente alto che sapresti riconoscere la canzone anche a un metro di distanza, come vedi già le tue mani sporche d'inchiostro, mentre nel naso hai già l'odore della carta plastificata dei libri nuovi di zecca, il profumo dei caffè bevuti per svegliarsi e dei tè presi per calmarsi, e poi, e poi, i cuoricini, le foto dei cantanti e i meme nei diari, le merendine scartate di nascosto sotto il banco, gli sguardi pieni di mestizia di quello chiamato alla lavagna, i "Quest' anno ci darò dentro, glielo prometto prof!", le scuse per non aver studiato a cui farai finta di credere, i giorni in cui vorresti ammazzarli e quelli in cui vorresti adottarli, le sopracciglia aggrottate minacciose della bidella sceriffo e il sorriso buono della bidella buona, le secchiate di vita vera, di terrore, di sogni, di rabbia e di desideri che ti piovono addosso ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo. Ogni volta che ricomincia questo, ricomincia tutto. Nell'unico posto rimasto in cui, quando riesci a cambiare qualcosa, hai la sensazione di poter cambiare tutto.

Enrico Galiano "Scuola di felicità per eterni ripetenti" (Garzant                                                                                      

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Sorprese già al primo appello

Il primo giorno di scuola è sempre uguale. Che sia dopo un'estate sola o dopo due anni di pandemia, dopo un anno all'estero, dopo una promozione folgorante o una bocciatura bruciante, dopo una nomina inaspettata o un'assegnazione provvisoria o la sospirata immissione in ruolo, il primo giorno di scuola abbiamo tutti, alunni e professori, la faccia di chi avrebbe voluto starsene ancora un'oretta sotto le coperte. Quelli di prima si aggirano circospetti cercando di mimetizzarsi un po' con le pareti, quelli di seconda hanno l'aria di chi pensa "com' è possibile che io sia di nuovo qui", quelli dell'ultimo anno guardano l'uscita pregustando il giorno in cui la varcheranno per l'ultima volta. I supplenti cercano un cassetto vuoto in sala insegnanti, chi è a un passo dalla pensione si chiede sotto sotto se tra un anno avrà nostalgia dell'atrio affollato. Probabilmente no.

Facciamo l'appello e scopriamo di avere in classe il fratello di un ex alunno, un volto che ce ne ricorda un altro; li ritroviamo più alti, più grandi, quasi donne, uomini in itinere. La prima ora serve per mettere in moto la macchina, rimettersi in pari con le novità, trasferimenti, morose, tagli di capelli. La seconda ora si tira fuori con cautela qualche arma di distrazione di massa: i libri (che tanto quelli che servono mai una volta che siano già arrivati), la cancelleria nuova comprata perché se proprio si deve venire a scuola, almeno sia con gli evidenziatori nuovi. Alla terza ora «Prof, vorrà mica spiegare?» chiede qualcuno appellandosi a un regio decreto mai abrogato secondo cui partire con il programma il primo giorno di scuola è considerato crimine contro l'umanità.

«Perché non dovrei?». Rispondere alle domande con altre domande è una tecnica che si impara a scuola. «Perché oggi non ce la facciamo». E invece ce la facciamo, eccome. È sempre così, tutti gli anni. Arriva il primo giorno di scuola, dopo un'estate sola o dopo due anni di pandemia, e ce la facciamo sempre.

Valentina Petri insegna Lettere. "Va al posto" (Rizzoli) è il suo ultimo libro.

 

 


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