Quel famosissimo brano, dall'enigmatico titolo 'In C' - che vuol dire in Do (maggiore), perchè quella lettera, nella notazione alfabetica in uso nel mondo anglosassone, sta ad indicare appunto il punto di partenza della più nota scala musicale, alla base di tutte le altre – che abbiamo ieri avuto la ventura di ascoltare per la prima volta dal vivo, nel corso di una bella, ma fredda e pur affollatissima, serata (buona parte di platea e tribuna della Cavea dell'Auditorium stracolme) del REF (orrenda e piuttosto stupidissima sigla che sta per RomaEuropa Festival) ha ormai quasi sessant'anni di vita.
Il suo autore, Terry Riley, ha superato anche gli Ottanta, e chiunque potrebbe scambiarlo per un pacioso frate cappuccino, anche per via di quella lunga barba bianca.
Il brano, al suo battesimo pubblico a San Francisco, novembre 1964, fu salutato come 'musica come nessun altra sulla terra', per la gioia soprattutto del giovane autore, che mai avrebbe pensato di aver scritto un curioso brano, che risulta ad oggi fra i più eseguiti, rivolto a complessi di ogni dimensione e formazione, i cui esecutori possono andare dagli archi ai fiati alle chitarre elettriche, alle voci, alle percussioni, a qualunque mezzo con cui sulla terra viene prodotto un suono, nel numero disponibile, e la cui durata è libera.
Quel brano, tipico prodotto di radice americana, che erroneamente è stato indicato come fra i primi del cosiddetto 'minimalismo', che Riley rifiuta, era un manifesto di libertà e di protesta contro l'Europa la cui musica era imbrigliata e costretta da regole e leggi di vario genere, impartite, in buona parte, da alcuni profeti sul 'Monte Sinai' di Darmstadt, dove periodicamente si riunivano.
Eppure quel manifesto di libertà e 'socialità' che doveva essere 'In C' di Terry Riley, era un concentrato di regole ed indicazioni. Vero, era rivolto a qualunque numero di esecutori e con ogni strumento. Però a tutti si offriva un percorso, che bisognava fare dall'inizio alla fine, fatto di 53 tappe - se così si possono chiamare quei 53 brandelli di melodia che lo costituiscono da cima a fondo e che partono appunto da un Do, e che tutti gli esecutori sono tenuti ad eseguire - mentre la durata di ognuno la stabiliscono loro.
Gli attacchi sono affidati alla libera scelta, ma sotto la guida di un pizzardone, anzi una vigilessa ( nella prima esecuzione, tale ruolo fu consigliato a Riley da Steve Reich, ed affidato ad una giovane donna, che era poi la fidanzata di Reich) che aveva il compito di avviare l'esecuzione ma anche di battere il tempo. Riley nella partitura, costituita da una sola pagina uguale per tutti, la cita espressamente, ne indica il compito e dice di preferirla 'giovane e bella'.
Nell'esecuzione di ieri, affidata all'Ensemble Casella, un gruppo di 12 giovani musicisti studenti del Conservatorio 'Casella' dell'Aquila (dove abbiamo insegnato per molti anni e che era poi la ragione che ci ha spinti ad uscire di casa in una serata, la prima d'autunno, in cui si battevano i denti dal freddo), il ruolo della 'vigilessa' era affidato a Oscar Pizzo, che non è una 'fanciulla' , e neanche 'giovane e bella'; ma al quale si deve il coinvolgimento del Conservatorio aquilano, dove ora insegna, e la 'concertazione' del brano.
(Oscar Pizzo, riassunto delle puntate precedenti. Dopo aver lavorato in anni lontani a Musica per Roma, ai tempi di Fuortes, per la rassegna di musica contemporanea, era passato alla guida 'artistica' del Teatro Massimo di Palermo, da dove per dissensi con il Sovrintendente Giambrone che lo aveva chiamato, è andato via prima della scadenza del suo mandato, ed ora lavora ad 'insonorizzare' la 'Nuvola' di Fuksas, all'Eur, dove ha prodotto una stagione multiforme e non priva di fantasia progettuale).
Tornando alla serata di ieri, l'esecuzione del brano, di per sé non difficile, e della durata di un'ora circa, non ha mancato di manifestare il suo fascino, anche se - lo confessiamo - se trascinata ancora a lungo avrebbe stancato anche noi, era la base per una coreografia, battezzata in primavera a Berlino, di Sasha Waltz, ed affidata al suo gruppo, mantenendo il nome del brano di Riley sul quale era costruita ed al quale era destinata.
Lasciamo il commento agli specialisti, anche se ci permettiamo di notare come la composizione in gruppi e scomposizione dei singoli danzatori, ci è sembrata una riproduzione nello spazio, attraverso i movimenti, della musica di Riley.
La attuale edizione del RomaEuropa Festival, pochi giorni fa, si è aperta con un'altra coreografia, di Anne Teresa de Keerssmaeker, che aveva preso il titolo da un famoso pezzo di musica per percussioni, Drumming di Steve Reich, scritto agli inizi degli anni Settanta, dunque quasi coevo di quello di Riley, sul quale era costruito.
Prima di terminare, vogliamo manifestare ancora una volta la nostra immensa sorpresa nel constatare - lo facemmo anche l'anno scorso, nelle serate che frequentammo il festival – che, anche a Roma, dopo la pandemia, e nonostante la guerra in atto, c'è un migliaio, - o forse due , quanti erano forse ieri sera - di cittadini che non intendono rinunciare a ricaricarsi con la bellezza dell'arte.
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