Novantadue minuti di applausi. Convinti. Senza scomodare quelli provocati da Fantozzi con il suo giudizio su La corazzata Potëmkin, è il tributo che ogni appassionato di cinema dovrebbe rivolgere, con standing ovation, a Woody Allen. E non solo per i gioielli che ha saputo regalare nel corso della sua meravigliosa carriera, ma, soprattutto, per quanto annunciato in una recente intervista al quotidiano spagnolo La Vanguardia, rilasciata in occasione della promozione del suo libro di racconti Zero Gravity, pubblicato in Italia da La Nave di Teseo. Ovvero, di dire basta a questo cinema usa-e-getta. Con la deriva di una settima arte che ha perso ogni senso, della misura e artistico, consacrandosi ad un concetto di «serialità» un tanto al chilo, dove l'opera passa in secondo piano e dove i titoli si cannibalizzano, alterandosi con la velocità di un rimpasto di Governo. Tanto che li vedi e dopo cinque minuti ti dimentichi titolo e trama.
Non è più il cinema di Woody Allen quello fagocitato dallo streaming, come aveva confessato, qualche mese fa, durante una lunga intervista con Alec Baldwin. «Gran parte dell'entusiasmo è sparito. Un tempo, quando facevo un film, questo andava al cinema in tutto il Paese. Ora fai un film e rimane in sala per un paio di settimane. Magari quattro o sei settimane e poi finisci in streaming o sulla pay-per-view. Non è lo stesso, non è altrettanto piacevole per me». Che poi, quelli che rimangono più di due settimane nelle sale li conti sulle punta delle dita.
Woody Allen, a 86 anni, ha annunciato, insomma, di smetterla con un cinema nel quale non si riconosce più. Non è il solo. In tanti, nostalgici, la pensano come lui, memori dei tempi nei quali i film non si scrivevano con la fotocopiatrice come avviene oggi. Tutti uguali, politically correct, fatti con lo stampino. Meglio uscire con dignità dalla porta di una Hollywood che, in fondo, non lo ha mai capito e sopportato, piuttosto che ostinarsi in una terapia del dolore che serve solo ad alleviare, ma non a curare. Un malessere portato avanti per anni e che trovava espressione, anzi incarnazione, nei suoi protagonisti maldestri e impacciati, insofferenti e mai a loro agio.
«La mia idea, in linea di principio, è quella di non fare più film e concentrarmi sulla scrittura», ha confessato. In pratica, le riprese del prossimo film di Allen, Wasp 22, che inizieranno a Parigi nelle prossime settimane, saranno le ultime della sua carriera da regista. «Sarà un film eccitante, drammatico e anche molto sinistro. Lo possiamo paragonare a Match Point». Quando avrà dato l'ultimo ciak, poi Allen si dedicherà ad un romanzo.
Insomma, Big Ben, per lui, ha detto stop. «Non mi diverto più come prima quando faccio un film e lo porto in sala. Era una bella sensazione sapere che c'erano 500 persone a vederlo. Non so come mi fa stare ora fare film». Anche perché 500 persone a vedere un film, adesso, non le raduni nemmeno se le spingi dentro a forza, pagando loro il biglietto. Per vedere cosa, poi?
Allen, quindi, ha ammesso, con sincerità, di non divertirsi più a lavorare, non sente le «farfalle nello stomaco», come accade tra innamorati. L'amore si è spezzato e sicuramente lo scandalo delle molestie sessuali, con Hollywood e, soprattutto, il movimento #MeToo che lo hanno trattato da pària, sono le classiche gocce che hanno fatto traboccare il suo vaso. I sospetti di abusi sessuali nei confronti della figlia adottiva Dylan Farrow, una vicenda risalente al 1992, per la quale Allen non fu mai arrestato o perseguito, lo hanno segnato, anche nella carriera, trasformandolo, a Hollywood, in una persona (ancor più) non gradita. Le sue memorie rifiutate, un contratto da 68 milioni di dollari per quattro film strappato, i suoi lavori non distribuiti negli Usa e una docuserie, Allen v. Farrow, trasmessa, di recente, in tv, senza contraddittorio. La sua ultima pellicola, il simpatico Rifkin's Festival, ha raccolto solo 2,3 milioni di dollari, raggiungendo gli Stati Uniti in una versione limitata. MPI Media Group ha distribuito il film, dopo la decisione di Amazon Studios di mettere fine all'accordo di distribuzione siglato con Allen nel 2019.
Woody Allen ha detto basta a tutto questo. Si ritira da vincitore, con più di 50 film girati, 4 premi Oscar su 24 candidature, 4 Golden Globes, 2 premi al Festival del cinema di Venezia e altri riconoscimenti. Ci vuole talento anche a saper dire basta. Che non è da tutti. 92 minuti di applausi. Convinti.
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