Comunque la si pensi, e per quante ragioni si possano cercare per giustificare l'uno e l'altro comportamento, la storia non è per nulla edificante. Sono rispuntati - dunque erano solo assopiti nel terpore del niente - i fans di Abbado e della 'sua' Scala - capeggiati da Repubblica ( Foletto) che con Muti non ha mai avuto rapporti se non di creanza, salvo l'eccezione di Bentivoglio che invece ne è portavoce privilegiata, in tandem con Cappelli , per il Corriere - e quelli di Muti che hanno da sempre sostenuto l'italianità orgogliosa del direttore (s'è rifatto vivo anche Renato Farina, su Libero) e lo hanno reclutato, non si sa se con il consenso dell'interessato, nella destra politica, se non altro per fare da contrappeso al reclutamento , manifesto, di Abbado, ai suoi tempi, nella sinistra.
Ciò che è riemerso anche in questa occasione - prendendo a pretesto l'anniversario toscaniniano dell'11 maggio fissato per il concerto di Muti con i Wiener, e la coincidenza con la riapertura al pubblico del teatro, che con orgoglio l'orchestra ( ?) ha voluto rivendicare a sè - che la ferita di ormai 15 anni fa procurata dalla Scala a Muti non si è ancora rimarginata e che, stando alle cronache di queste ore, è lecito immaginare che mai si rimarginerà.
C'è anche chi ha tirato fuori la storia della nomina a senatore a vita del direttore, che già interessò i giornali all'epoca in cui Abbado ne fu insignito, con grande disappunto dell'attuale presidente del Senato (Elisabetta Casellati) che al direttore ma anche a Piano, a Rubbia e Cattaneo non riconosceva meriti tali da meritarsela. Verrebbe proprio da dire: senti chi parla. Ma lasciamo stare!
Ora, per venire ad anni recenti, non si può non constatare che gli inviti rivolti a Muti nei lunghi anni di Lissner, a differenza di quelli ad Abbado che sortirono immediato effetto, erano finti. Nessuno della dirigenza scaligera voleva e caldeggiava veramente il suo ritorno, nè Lissner, nè la direzione artistica e neppure Barenboim. E che sia tutto vero, lo conferma anche la recente polemica, sempre con Lissner, al Teatro San Carlo di Napoli, dove gli ha cassato una tappa della tournée con i Wiener ed anche un'opera mozartiana che avrebbe dovuto fare con la figlia Chiara regista.
Qualcosa di molto simile si è verificato alla Scala, anche in epoca Pereira, quando c'era già Chailly che sicuramente, tuttora, con tutto l'entusiasmo di Meyer (vero o presunto?), non ama certo assistere al ritorno trionfale di Muti.
Abbiamo scritto l'altro ieri di aver nutrito la segreta speranza che qualcosa cambiasse in meglio, forti delle dichiarazioni che andavamo ascoltando nei lunghi mesi della tragica chiusura, e, invece, siamo costretti a constatare che la tragedia pandemica non ha cambiato nulla, che tutto è rimasto come prima in ogni settore, che anzi non risolto ma incancrenito situazioni già compromesse.
Muti, in conclusione non ha nessuna intenzione di tornare alla Scala e non ci tornerà se non a capo di altre orchestre, come è già accaduto prima dell'altro ieri; questa è la verità.
D'altro canto alla Scala, Chailly in capo, non vuole che torni Muti che certamente gli farebbe ombra - quella stessa ombra che lui mai e poi mai avrebbe potuto fare a Karajan, motivo per cui che il vecchio direttore l'aveva chiamato a Salisburgo per sostituirlo in un caso di impedimento per ragioni di salute .
Insomma continueremo ad assistere a questo teatrino stucchevole ed anche un pò disgustoso, specie per chi, come noi, ha sempre pensato che, al di là delle meschinità di ogni esser umano, la musica è capace di purificare i suoi sacerdoti massimi. Invece non è così; e le eccezioni, che pur non mancano, sono davvero troppo poche per contare.
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