L’assassinio del giudice Giovanni Falcone, della moglie e di tre agenti della scorta il 23 maggio del 1992 nella strage di Capaci fu uno dei più mostruosi attentati della mafia guidata da Salvatore Riina, che venne poi condannato all’ergastolo con i suoi complici – Insieme a Borsellino Falcone segnò una svolta decisiva nella lotta alla mafia e pagò con la vita
Sono passati 29 anni da una delle più grandi ferite della storia repubblicana italiana, probabilmente mai del tutto rimarginata: era il 23 maggio quando il magistrato antimafia Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro persero la vita su un tratto dell’autostrada A29, che collega l’aeroporto di Punta Raisi alla città di Palermo, all’altezza di Isola delle Femmine, vittime di un attentato di stampo mafioso noto come “strage di Capaci”, dal nome dello svincolo autostradale più prossimo al luogo della tragedia. Vi furono anche 23 feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza.
Le vittime transitavano in varie automobili, quando alle 17.57 esplose una bomba nascosta sotto il manto stradale e composta da 500 kg di tritolo. A progettare ed eseguire l’attentato fu Cosa Nostra, decidendolo nel corso di alcune riunioni delle “Commissioni” regionale e provinciale di Cosa Nostra, avvenute tra il settembre-dicembre 1991, e presiedute dal boss Salvatore Riina, mentre il coordinatore dell’operazione fu Giovanni Brusca. Il processo ai vertici mafiosi iniziò nel 1995 e nel 1997 la Corte d’Assise di Caltanissetta, presieduta dal giudice Carmelo Zuccaro, condannò in primo grado all’ergastolo Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Bernardo Brusca, Leoluca Bagarella, Raffaele e Domenico Ganci, Giovanni Battaglia, Salvatore Biondino, Salvatore Biondo, Giuseppe Calò, Filippo e Giuseppe Graviano, Michelangelo La Barbera, Salvatore e Giuseppe Montalto, Matteo Motisi, Pietro Rampulla, Bernardo Provenzano, Benedetto Spera, Antonino Troia, Benedetto Santapaola e Giuseppe Madonia mentre vennero assolti Mariano Agate, Giuseppe Lucchese, Salvatore Sbeglia, Giusto Sciarrabba, Salvatore Buscemi, Giuseppe Farinella, Antonino Giuffrè, Francesco Madonia e Giuseppe Agrigento (che però venne condannato per detenzione di materiale esplosivo); i collaboratori Santino Di Matteo, Gioacchino La Barbera, Giovanni Brusca, Salvatore Cancemi, Giovan Battista Ferrante, Antonino Galliano e Calogero Ganci vennero invece condannati a pene tra i quindici e i ventuno anni di carcere.
Nell’aprile 2000 la Corte d’assise d’appello di Caltanissetta confermò tutte le condanne e le assoluzioni di primo grado ma condannò all’ergastolo anche Salvatore Buscemi, Francesco Madonia, Antonino Giuffrè, Mariano Agate e Giuseppe Farinella. Nel maggio 2002 infine la Corte di Cassazione annullò con rinvio alla Corte d’assise d’appello di Catania le condanne di Pietro Aglieri, Salvatore Buscemi, Giuseppe Calò, Giuseppe Farinella, Antonino Giuffrè, Francesco Madonia, Giuseppe Madonia, Giuseppe e Salvatore Montalto, Matteo Motisi e Benedetto Spera. Rimase l’ergastolo per il boss Totò Riina, poi morto nel carcere di Parma il 17 novembre del 2017.
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