Davide e Golia, atto secondo. India e Sudafrica tornano alla carica con una nuova proposta all’Organizzazione mondiale del commercio per sospendere i brevetti sui vaccini anti-Covid. A differenza della precedente, bocciata dal muro dei Grandi, stavolta, lo stop ha un limite di tempo certo: tre anni.
L’iniziativa, inoltre, verrà presentata alla riunione preliminare di lunedì – per essere poi discussa l’8 e 9 giugno – da una cordata di una sessantina di Paesi. Ce la faranno? Il sostegno degli Usa di Joe Biden modifica gli equilibri. Ma l’opposizione di Big Pharma è forte. «Per questo è importante la mobilitazione della società civile. Sabato abbiamo promosso una giornata di raccolta firme, ai banchetti e online, in tutta Europa», spiega Vittorio Agnoletto, medico e portavoce italiano della campagna Diritto alla cura, nessun profitto sulla pandemia, di cui fanno parte 110 realtà oltre a testimonial illustri come Silvio Garattini, don Luigi Ciotti, Gino Strada e Riccardo Petrella. L’obiettivo è raggiungere il milione di adesioni.
«Prima ci arriviamo prima la Commissione Europea e il Consiglio Europeo, in base allo strumento dell’Ice-Iniziativa Cittadini europea, saranno obbligati a discutere le nostre proposte in modo pubblico e trasparente. È inaccettabile lasciare il destino di 7,8 miliardi di persone nelle mani di un piccolo numero di multinazionali che, secondo le previsioni di vari istituti finanziari, ricaveranno, solo per i vaccini del Covid, oltre 10 miliardi all’anno per i prossimi 4-5 anni. Non chiediamo la luna, ma solo un equilibrio tra i profitti di pochi e la vita di molti».
Le aziende del farmaco, però, insistono che, anche senza brevetti, la produzione non aumenterebbe poiché pochi hanno competenze e tecnologia necessarie per realizzare i vaccini. «In realtà, molte imprese in Europa, ma anche in India, Sudafrica, Corea, Brasile ce le hanno, solo non possono farlo per via dei brevetti», sostiene Agnoletto. Politico ha svelato che quattro case farmaceutiche – la canadese Biolyse; Incepta del Bangladesh; l’israeliana Teva e la danese Bavarian Nordic – si sono offerte di contribuire alla fabbricazione dei sieri anti-Covid per incrementare il numero di dosi. Senza ricevere risposta da Big Pharma.
«I brevetti garantiscono ai detentori vent’anni di monopolio e il potere di decidere il prezzo; ne conseguono costi alti e una limitata capacità produttiva. Secondo la logica del più forte, chi offre di più, si assicura più dosi possibili e gli altri restano senza». La conseguenza è sintetizzata da due numeri: nelle nazioni a basso reddito, è stato distribuito lo 0,30 per cento delle fiale; in quelle ad alto reddito, oltre il 40 per cento.
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