Nel novembre del 2019 tre ricercatori dell’Institute of Virology di Wuhan, la città-innesco della pandemia, si ammalano contemporaneamente e finiscono in ospedale. Lo rivela un rapporto dell’intelligence americana, di cui dà notizia il Wall Street Journal. I sintomi, precisa la relazione finora tenuta «top secret», sarebbero «compatibili sia con il Covid-19 sia con l’influenza stagionale».
Secondo le fonti raccolte dal quotidiano americano, «le informazioni in mano ai servizi segreti provengono da varie testimonianze e sono di comprovata qualità. Notizie molto precise, anche se non si sa ancora quale sia stata la causa della malattia che ha colpito i tre medici cinesi». Naturalmente è un particolare cruciale. Le autorità di Pechino confermarono il primo caso di Covid-19, l’8 dicembre 2019, ma si presume che il virus avesse cominciato a circolare già dalla metà di novembre nella Cina centrale. Da allora la comunità scientifica si interroga sull’origine del virus.
L’Amministrazione guidata da Donald Trump aveva iniziato a raccogliere materiale fin dall’inizio, tanto che il presidente aveva cavalcato politicamente le illazioni, accusando esplicitamente la Cina di aver nascosto la scoperta dei primi focolai. Inoltre la Casa Bianca trumpiana non aveva mai escluso che il «virus cinese» si fosse sviluppato nelle provette dell’Institute of Virology di Wuhan. Nel maggio del 2020 l’Organizzazione mondiale della Sanità ha promosso uno studio congiunto con gli scienziati cinesi. Il risultato è un rapporto di 313 pagine, pubblicato sul sito il 30 marzo 2021, sulla base di dati esaminati tra il 14 gennaio e il 10 febbraio 2021.
L’analisi conclude che «è molto probabile» che l’infezione sia stata trasmessa dai pipistrelli agli esseri umani; mentre è «decisamente improbabile» che il virus sia sviluppato nei laboratori di Wuhan. In realtà non ci sono prove sufficienti a sostegno né dell’una né dell’altra tesi. Nessun passo in avanti neanche con la missione di un team internazionale a Wuhan, nel febbraio 2021. «Poco più di una farsa», era stato il giudizio del Dipartimento di Stato americano, con Joe Biden, nel frattempo, insediato alla Casa Bianca.
Ecco allora che il 13 maggio, 18 scienziati provenienti da centri studi di alto livello (14 Usa, 2 Canada, 1 Regno Unito e 1 Svizzera) hanno pubblicato una lettera sulla rivista Science, criticando a fondo il rapporto dell’Organizzazione mondiale della Sanità, scritto con i virologi cinesi: «La ricerca è stata costruita sulla base dei dati forniti dagli scienziati locali; gli altri non hanno avuto accesso diretto agli accertamenti sul campo. Inoltre, nonostante non ci siano prove in un senso o nell’altro, il rapporto è estremamente sbilanciato.
Su 313 pagine, solo 4 sono dedicate all’ipotesi di un incidente in laboratorio; tutto il resto esplora la possibilità di «una trasmissione tra animali e uomini». I medici americani stanno cercando, comunque, di tenere separati scienza e politica. Nei giorni scorsi, Anthony Fauci, conversando con i giornalisti nella residenza dell’Ambasciata italiana a Washington, aveva mantenuto una linea di prudenza: «Non sappiamo ancora come sia nato questo virus. È necessario condurre un’indagine internazionale, aperta a tutti gli scienziati del pianeta. Spero che i cinesi siano d’accordo e che, anzi, accettino di collaborare». È una richiesta condivisa anche dall’Unione europea e da altri 13 Paesi. Ed è d’accordo anche Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms. Il problema è che il governo di Pechino ritiene di aver già detto tutto.
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