giovedì 12 dicembre 2019

Il LATINORUM maccheronico di politici e giornalisti

Si capisce subito che  le scuole non le hanno fatte da allievi diligenti; e che quelli che le hanno frequentate fino ad un certo punto, hanno preferito agli studi classici ed alle scuole pubbliche, quelli scientifici - cosiddetti, considerando i tanti svarioni nei loro discorsi o scritti - o le serali.

 Da tempo è di moda infarcire discorsi e scritti con  citazioni latine non sempre azzeccate. Sbagliano le citazioni - non si avventurano nelle attribuzioni non sapendo dove parare - e sbagliano anche la pronuncia.

Ieri, sera, ad esempio, nella trasmissione de La7 , Piazza Pulita di Corrado Formigli, è intervenuto Alessandro De Angelis,vice direttore di Huffington, il quale ha osato una famosissima citazione latina, sbagliando clamorosamente l'accento del verbo: Usque tandem abutére patientia nostra - è la pronuncia corretta, mentre lui ha detto abùtere.

La memoria ci rimanda alle tante citazioni di una espressione latina, che somiglia per la massa degli ignoranti  ad una italiana: sua sponte - che potremmo tradurre in tanti modi, perfino con una semplice parola. spontaneamente, oppure : di sua volontà, senza che nessuno glielo abbia chiesto ecc.. Molti giornalisti che la usano, come anche i loro colleghi di analfabetismo, i politici, la citano  come fosse una espressione italiana, così: di sua sponte. Inutile spiegare che  quella espressione è nel caso 'ablativo', ed  è un complemento di modo ecc... e perciò così com'è si traduce : di sua spontanea volontà o altrimenti.

Dobbiamo notare , a suo onore, che ad esempio Enrico Mentana è uno che spesso  fa citazioni latine, ed anche che non ne sbaglia nessuna. Bravo Enrico! Si capisce che , pur non avendo frequentato l'università, ha rimediato, applicandosi 'privatamente' per non sfigurare.

Come, però, non possiamo tacere  che dal telegiornale de La7 abbiamo ascoltato qualche suo redattore, di recente, citare: quid pro quo (formula antica, di ambito farmaceutico, oggi in disuso), mentre l'espressione latina  oggi più usata e dunque di uso comune è: qui pro quo (trad.: una cosa al posto di un'altra, un equivoco))

Tempo fa avemmo una discussione,  via mail, nientemeno che con Ezio Mauro, con rispetto parlando: lui direttore di giornali e  giornalista di razza, mentre noi, umili cronisti, per giunta  relegati all'ambito della musica che non interessa a nessuno, ma sicuramente più ferrati nella lingua latina. 

In un suo editoriale citò una espressione presa dalla regola gesuitica e riferita al tipo di obbedienza che un religioso della Compagnia deve avere nei riguardi dei suoi superiori o della regola. L'espressione, ben nota, suona: perinde ac cadaver, che Mauro aveva tradotto, ad sensum: fino alla morte, toppando clamorosamente.

E' vero che un gesuita deve obbedire fino alla morte, o meglio finchè è vivo. Ma quell'espressione della regola della Compagnia dice una'altra cosa.  Dice cioè che un gesuita deve obbedire ai suoi superiori (o alla regola), come fosse un cadavere, cioé  deve fare esattamente ciò che gli viene chiesto, senza discutere, e senza nulla opporre, perchè non ha una volontà propria da opporre, esattamente come un cadavere, che non può reagire a nulla e nessuno,  e al quale si può far fare ciò che si vuole.

Non riuscimmo a far capire a Ezio Mauro la differenza abissale fra il senso di quella espressione e la interpretazione errata che lui ne aveva dato. Forse perchè era seccato per esser stato colto in castagna. Chissà che la prossima volta che ne farà uso non la traduca  correttamente. Lo speriamo.




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