Di Roberto Furcht, morto di recente all'età di novant'anni, molti ricordi si accavallano nella nostra memoria, anche se lontani, l'ultimo dei quali al principio del 1990, perciò 30 anni fa. Tutti legati alla nascita del mensile Piano Time, che noi poi dirigemmo, dopo averlo progettato ed articolato, per un lungo fruttuoso ed anche, permetteteci di dirlo, glorioso settennato.
Roberto Furcht non era solo un commerciante di pianoforti, importatore di alcuni grandi marchi; era anche persona colta, amante della musica, senza comunque perdere il pallino degli affari. ( a tal proposito, mi è capitato spesso di riflettere sul fatto che anche a me fece pagare, proprio negli anni in cui dirigevo Piano Time, un verticale Kawai, secondo il listino).
Piano Time nacque su suo suggerimento, in un'epoca in cui il mercato dei pianoforti sembrava stagnare, dopo un periodo di grande effervescenza. Lui intendeva adoperarsi per rivitalizzalo con ogni mezzo.
All'epoca si incontrava spesso a Milano con Enzo Perilli, giovane editore romano, che già pubblicava una rivista di strumenti musicali, Fare Musica, e che divenne poi l'editore di Piano Time - la cui casa editrice prese il nome di Publitarget.
La prima redazione aveva sede in un palazzo di Viale Mazzini, quasi all'incrocio con Viale Angelico, che poi dopo il trasferimento a Piazza Mancini, lo prese Bruno Vespa come suo ufficio.
Roberto Furcht convinse Enzo Perilli a partecipare a quella che lui immaginava come una vera e propria crociata in favore del pianoforte, come strumento.
Perilli, tornato a Roma, ci parlò del suo incontro con Furcht e della sua idea. Si era alla fine del 1982.
Noi gli dicemmo subito che non ci interessava nè progettare - come ci chiese espressamente - e neppure, di conseguenza, dirigere una rivista dedicata al pianoforte come strumento. E che la nostra idea era fare una rivista prevalentemente musicale, privilegiando quella pianistica, dalla quale poteva venire una spinta anche al mercato dei pianoforti.
Immaginiamo che in quella fase Perilli si tenesse in continuo contatto con Furcht, che deve aver accettato il progetto e incoraggiato Perilli a proseguire, affidandolo a noi (pur non conoscendoci).
E così pensammo come articolare la rivista. Fino a quel momento noi, mettendo a frutto i nostri studi musicali( Conservatorio di Bari, Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma, Accademia Chigiana di Siena), avevamo scritto di musica per Paese Sera, poi per Banchetto Musicale, una rivista che ebbe vita breve ed anche difficile, diretta da Gabriele Rifilato, edita in un secondo momento da Perilli e che fu il luogo della nostra conoscenza; per la Rivista Musicale Italiana, per la Treccani ( Dizionario enciclopedico) e, nel frattempo, avevamo cominciato ad insegnare Storia della Musica in Conservatorio
Vi chiamammo a collaborare le maggiori firme: giornalisti, musicisti, studiosi, a cominciare da Piero Rattalino, inventammo rubriche che poi si rivelarono di grande successo: ci piace ricordare quella assai seguita 'Allegro assai', affidata a Piano Zac; o come quella intitolata 'Fogli d'album' ( vi pubblicavamo brevi pezzi pianistici scritti appositamente per Piano Time, da notissimi musicisti: da Berio a Sciarrino, da Stockhausen - che ci fece pubblicare prima di editarlo ufficialmente un suo Klavierstuck - a Bussotti, Manzoni, Togni, Clementi, Donatoni - il pezzo che poi diede vita alle ormai famossime 'Francoise Variationen' lo scrisse proprio per Piano Time - Einaudi, Ferrero, Pennisi, Castiglioni ecc...
Piano Time visse un settennato di grandi trionfi - dall'aprile del 1983 a marzo 1990 - al quale contribuirono innanzitutto i lettori, ma anche gli inserzionisti che appartenevano sia al mondo della musica sia a quello dell'industria del pianoforte.
In quegli anni con Roberto Furcht ci sentivamo molto spesso, anche indipendentemente dal nostro editore, e spesso lo incontravamo di persona, in occasione di importanti fiere internazionali (da quella di Lipsia e Francoforte, al SIM di Milano). Avemmo modo di conoscerne ed apprezzarne la cultura e personalità. Possiamo dire che i nostri rapporti si fecero anche amichevoli, mentre quelli con il nostro editore andavano deteriorandosi.
Perchè l'editore si sentì via via espropriato del suo ruolo, giacchè si rendeva sempre più conto che noi potevamo gestire la rivista, anche in sua assenza, in ogni sua fase, compresa quella degli inserzionisti. Di tutto ciò parlavamo spesso anche con Furcht, lamentandocene.
Ma Furcht una volta - non siamo mai riusciti a capirne la ragione, ma siamo fermamente convinti che dopo se ne sia pentito amaramente visti gli esiti negativi - rivelò a Perilli i nostri apprezzamenti nei suoi confronti men che lusinghieri (va anche detto che anche Perilli, seppure non con la stessa crudezza con cui ci eravamo espressi con Furcht in una telefonata privatissima e riservata, era a conoscenza di quello che noi pensavamo di lui, come editore) e lui, tornato a Roma, per dimostrare che era lui a comandare', ci inviò un telegramma, davvero inatteso, con il quale ci inibiva l'ingresso in redazione e ci destituiva da direttore, pur intimandoci di restare 'a sua disposizione'. Che pretese!
Le sorti di Piano Time, dopo quella botta di testa di Perilli, che si rivelò poi dannosa anche per lui e pure costosa; ed anche per quella l' inspiegabile leggerezza di Roberto Furcht, sono note a tutti: peggiorarono via via fino alla chiusura.
Mentre Perilli era certo che Piano Time sarebbe andato avanti bene anche senza di noi, siamo certi che Furcht, subito dopo quella inutile leggerezza, capì che per Piano Time le cose sarebbero andate malissimo. Come poi accadde.
Perilli affidò la rivista a diversi direttori - ma non tutti i direttori sono uguali !- tanto che dopo pochi anni di declino inarrestabile dovette chiudere.
Quel suo errore, oltre che la distruzione di un gioiello editoriale, gli costò anche molti soldi, perchè noi gli facemmo causa e la vincemmo con la richiesta di consistenti danni. Che comunque non ci hanno ripagato della passione e dedizione che avevamo messo nella progettazione e direzione di Piano Time.
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