Cinquecentonovantotto milioni. Una goccia in apparenza, poco più dell’1% dell’avanzo commerciale annuo nazionale verso i paesi extra-Ue. La svolta è tuttavia epocale, una rivoluzione copernicana tenendo conto che quel minimo saldo attivo realizzato nei confronti della Russia rappresenta per l’Italia una novità assoluta. Mai registrata nelle serie storiche Istat, che dal 1992 avviano la nuova classificazione tenendo conto della dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Russia che da allora, ininterrottamente, ha sempre presentato per l’Italia valori maggiori dal lato dei nostri acquisti, quasi interamente legati all’energia. Serie storica monotona che si interrompe ora per effetto di una scelta strategica ben precisa: l’abbandono del gas di Putin all’indomani dell’invasione dell’Ucraina, con un riorientamento degli acquisti verso altri paesi. Scelta (italiana ma anche europea) che se non ha prodotto un tracollo dell’economia russa e un conseguente “pressing” risolutivo su Mosca per porre fine alla guerra, ha comunque raggiunto il duplice obiettivo di non alimentare le casse del Cremlino con miliardi di euro aggiuntivi e allo stesso tempo di smarcarci da un fornitore ad alto tasso di rischio e ostile all’Occidente.
Il valore della svolta del 2023 è percepibile gettando lo sguardo indietro. Riavvolgendo il nastro di 30 anni, nei numeri del 1993 era già evidente uno squilibrio commerciale, per quanto limitato. L’export verso Mosca valeva poco più di un miliardo ma già allora le importazioni erano di valore quasi triplo, soprattutto per effetto dei 13 miliardi di metri cubi di gas che a quei tempi acquistavamo dal paese. Dipendenza energetica rilevante (era il nostro primo fornitore di gas, con il 40% dei volumi importati) e che negli anni non si è mai ridotta in modo significativo. Arrivando al picco nel triennio precedente il covid, tra 2017 e 2019, quando i 33 miliardi di metri cubi sistematicamente importati da Mosca rappresentavano quasi il 50% dei nostri acquisti totali di gas dall’estero...
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