Umano, meravigliosamente umano
Chiamasi concentrazionaria la musica di qualsiasi genere creata nei Campi e sub-Campi di
prigionia, transito, internamento civile, lavori forzati, concentramento, sterminio, penitenziari per la
detenzione civile o destinati all’internamento militare, POW Camps, Stalag, Oflag, Campi di
detenzione della NKVD e Gulag aperti dal 1933 (apertura del Lager di Dachau) al 1953 (morte di
Josif Stalin e amnistia concessa a civili e militari) da musicisti di qualsiasi estrazione artistico-
professionale provenienti da qualsiasi contesto nazionale, sociale e religioso che abbiano subìto
limitazioni totali o parziali della libertà individuale, discriminazioni su basi pseudo-razziali o
ideologiche o sociali o inerenti scelte sessuali o riguardanti disabilità fisiche, persecuzioni, ingiusta
detenzione e che siano stati trasferiti contro la propria volontà in tali siti, deportati, uccisi o che
siano sopravvissuti.
Trattasi di ebrei, cristiani di qualsiasi confessione, Sinti e Roma e altri gruppi sociali del popolo
Romanò, Euskaldunak o del popolo basco, sorabi inquadrati nella Wermacht o nella Resistenza
serba a seconda della loro collocazione geografica, Sufi presenti in territorio metropolitano italiano,
Bahá’í presenti in territorio polacco e di lingua esperanto, Bibelforscher residenti nel territorio
metropolitano del Reich ossia Testimoni di Geova residenti in Paesi occupati dal Reich, mongoli o
tatari o baschiri e altri gruppi sociali dell’Unione Sovietica, comunisti e attivisti politici, prigionieri
civili, militari di ogni grado e membri di organizzazioni militari impegnati in operazioni belliche.
In breve, chiamasi concentrazionaria la musica creata in cattività o in condizioni parziali ed
estreme di privazione dei diritti fondamentali dell’uomo; essa è tra le più importanti eredità della
Storia universale di incommensurabile valore storico e artistico, Letteratura dotata di pertinenti
prerogative.
Nel periodo più tragico della Storia del sec. XX il genere umano avviò i meccanismi più evoluti
della conservazione del pensiero e dell’immaginario scatenando una esplosione di creatività e
producendo un Testamento dell’intelletto e del cuore.
Tale musica è definita concentrazionaria ai fini di una ricerca storica e geografica attualmente a
uno stadio molto avanzato ma lontana da una esauriente perimetrazione dell’intera fenomenologia
musicale dal 1933 al 1953; un giorno occorrerà riferirsi ad essa unicamente come musica, non più
necessitando di elementi di veicolazione storica e geopolitica inerente Seconda Guerra Mondiale,
deportazioni civili e militari, catastrofi umanitarie dalla Shoah al Porrajmos sino allo Holodomor.
Presso Lager e Gulag, siti del Paleolitico contemporaneo nei quali la Storia ha conosciuto il suo
baratro umanitario e si è letteralmente annichilita, i musicisti cementarono con la loro creazione
artistica una nuova letteratura; questa musica ettava le fondamenta di una nuova Europa che
sarebbe andata oltre la resa dei conti storica e militare di Norimberga consegnando alle future
generazioni una nuova Fenice di Venezia, un modo nuovo di pensare la Scala di Milano.
In linea generale il musicista trasformava la perdita di libertà accusata con la deportazione in
enorme potenzialità e risorsa di perfezionamento delle proprie attitudini musicali e ciò è
unicamente spiegabile alla luce delle intrinseche capacità dell’artista di adattarsi all’ambiente
circostante, attingere linfa vitale laddove sembrava prosciugata ogni goccia esistenziale, lasciarsi
ispirare dai limiti spaziali e nell’immaginario trasformare in giardini pensili una landa desolata
oppure – usando un’immagine del musicologo Piero Rattalino – in garçonnière una antica abbazia
medioevale e ciò non è romanticismo dell’anima bensì reale, razionale attitudine che in numerosi
Campi si è solidificata, ottimizzata attribuendo un senso a se stessa e al luogo di prigionia.
L’attività musicale nei Campi produsse percorsi della mente e dello spirito che aiutarono a meglio
sopportare oggettive situazioni di disagio e sofferenza, non di rado divennero veicolo di umana
solidarietà; più pragmaticamente, divenne fonte di approvvigionamento alimentare o fonte di
reddito per i musicisti, lo sbigliettamento dei concerti creò un utile economico per acquisto di
materiali e strumenti musicali, carta-musica, spartiti, partiture e parti staccate oppure – nel caso di
numerosi Stalag e Oflag – alla copertura dei costi per il giornale del Campo a uso dei prigionieri di
guerra.
Combattenti repubblicani baschi in fuga da Franco e riparati nel Campo profughi di Gurs
rimodulato in Campo di internamento sotto Vichy; Bibelforscher tedeschi che si opposero sia alla
leva militare obbligatoria che ai principii dottrinali del nazionalsocialismo; civili internati per aver
espresso idee ostili al Reich o al regime fascista italiano; olandesi e cittadini di altri Paesi europei a
Singapore e nelle Indie Orientali Olandesi sotto occupazione militare giapponese; civili residenti in
territori coloniali nei quali fosse subentrata autorità occupante; militari di ogni ordine e grado
appartenenti ai Paesi in conflitto catturati e trasferiti in Oflag, Stalag, POW Camp e altri siti di
cattività militare.
In virtù della trasversalità del linguaggio musicale nonché della sua capacità di coinvolgere uomini
e contesti storico-geografici distanti tra loro, chiunque di essi abbia creato musica in cattività ha
pieno diritto di cittadinanza nella letteratura musicale concentrazionaria.
Dal punto di vista strettamente demografico e nel periodo di maggior flusso, i Campi somigliavano
a insediamenti urbani in scala ridotta; prigionieri civili non di rado insieme a prigionieri di guerra
sovietici dopo il 1941 (il Reich non applicò loro le Convenzioni di Ginevra) e deportati di varia
tipologia a pochi Block di distanza l’uno dall’altro.
Musicisti ebrei nei Lager scrissero opere destinate alla preghiera o a momenti topici del calendario
religioso ebraico, in un periodo storico nel quale l’ebraico non era lingua corrente come lo divenne
dopo la nascita dello Stato d’Israele; a Bergen-Belsen, Józef Z’vi Pinkhof stese canti con testo
ebraico trasliterrato in caratteri latini in calce alla linea musicale, il testo riproduceva la pronuncia
ebraica tipicamente askenazita con “Surò” in luogo di “Torà”, “Umain” in luogo di “Amen” e così via.
A Theresienstadt il compositore tedesco Zigmund Schul scrisse Cantata Judaica op.13 per coro
machile (pervenuto il Finale) e lo struggente Mogen Owaus per coro misto, soprano, baritono e
organo; l’organo suonato durante lo Shabbath nonché cantanti solisti e coro misto (uomini e donne
che cantano fianco a fianco) ritornano in altre partiture religiose, accondiscendendo alle aperture
dell’ebraismo riformato e al gusto operistico dell’epoca.
Nel Campo di transito aperto dal Reich a Westerbork (Paesi Bassi), Hans Krieg scrisse canti per la
festa di Channukkà mentre, presso la colonia penale del medesimo Campo, l’ebreo olandese Hans
van Collem compose Psalm 100 sul terriccio del campo di patate dove svolgeva i lavori forzati e
poi lo stese su carta igienica; la domenica successiva, approfittando dell’assenza delle guardie per
il turno di riposo, lo eseguì con un coro maschile nelle latrine della colonia.
Presso il Campo di internamento australiano di Tatura il rabbino della sinagoga Brunenstrasse di
Berlino, Boaz Bischofswerder (emigrato nel 1933 in Gran Bretagna, internato allo scoppio della
Guerra poiché classificato enemy alien) scrisse Shevà Berachot per baritono e pianoforte; nel
1943 presso il Campo di internamento civile slesiano VIIIZ di Kreuzburg (oggi Kluczbork, Polonia),
su richiesta degli internati cattolici, il pianista e compositore quacchero britannico William Hilsley
scrisse una Missa in festo nativitatis per coro maschile a cappella (dopo la guerra Hilsley affermò
in una intervista di essere di origine ebraica e che il suo vero nome era Josef ben Mendel Hallevi).
Dachau fu l’epicentro della musica religiosa cristiana, ivi entrarono 2.579 sacerdoti, vescovi e
monaci, 109 pastori evangelici, 22 prelati greco-ortodossi e altri della Chiesa riformata e
veterocattolica; di essi, 1.034 morirono per inedia, malattia, impiccagione, fucilazione o crocifissi a
testa in giù, 300 di essi subirono esperimenti medici o perirono sotto tortura.
Il benedettino Gregor Schwake scrisse la Dachauer Messe per coro maschile, quartetto d’ottoni e
organo eseguendola clandestinamente presso il Block 26 con il solo accompagnamento di
harmonium; il coro di sacerdoti era diretto dal boemo Karl Schrammel in seguito accusato di
spionaggio, trasferito a Buchenwald e colà impiccato.
Nell’aprile 1939 presso il Campo pirenaico di Gurs il compositore ebreo franco-tedesco Kurt Levy
creò una revue in 22 quadri con l’accompagnamento dell’orchestra Tommy Green und seine
Camping Boys (il termine inglese Camping giocava con il significato di Campo) mentre il
compositore basco Regino Sorozábal scrisse pezzi e diresse la sua orchestra basca.
Nato a Bologna dallo scrittore afghano Jusuf Roberto Mandel e della scrittrice ebrea Carlotta
Rimini, Gabriele Mandel abbracciò il sufismo ed era altresì flautista e violinista, pubblicò novelle
sufi sul Corriere dei Piccoli ma nel 1940 fu espulso dall’Albo dei giornalisti poiché figlio di madre
ebrea; verso la fine della Guerra fu imprigionato insieme a suo padre e torturato dai tedeschi a San
Vittore, nella cella 8 del quinto raggio scrisse un meraviglioso Canto per tenore e pianoforte.
Nell’estate 1940 l’ebreo austriaco Charles Abeles fu internato presso la Casa Rossa di Alberobello
ma, grazie alla famiglia Nardone che gli mise a disposizione un pianoforte, scrisse il Valzer Rondo
Felicità op.282 per pianoforte; oggi il manoscritto si trova presso la fondazione Istituto di
Letteratura Musicale Concentrazionaria a Barletta insieme ad altre 10.000 opere tuttora in fase
catalogazione.
In un viaggio metastorico dal primo Lager nel 1933 all’ultimo Gulag nel 1953 con diramazioni nella
Jugoslavia di Tito, nell’Albania di Hoxha, nella Spagna di Franco e nella Cina di Mao, questa
letteratura musicale ha sviluppato profili di transdisciplinarietà; uno tsunami di creazione musicale
e teatrale che rende l’idea della forza incrollabile dell’ingegno umano.
Scrisse Emile Goué, compositore francese prigioniero di guerra nell’Oflag XA Nienburg/Weser
deceduto nel 1946 per una malattia contratta nel Campo: “La musica non era un intrattenimento o
un gioco ma la stessa espressione della nostra vita interiore. Facevamo musica molto seriamente,
senza alcuna ironia. Era impossibile fare grandi cose senza convinzione e questa convinzione che
l'artista deve portare al suo lavoro non è altro che credere nella necessità di ciò che scrive”.
Buchi neri capaci di divorare carne e civiltà riportando la clessidra della Storia alla barbarie, i
Campi divennero fabbrica di sogni, industrie di arte e scienza musicale capaci di riavviare l’orologio
della vita dell’intelletto e il tempo collassato in Ghetti, Lager e Gulag.
Chi salva una vita salva il mondo intero, è scritto nel Talmud Bavli; non abbiamo potuto salvare la
vita di gran parte di questi musicisti ma abbiamo salvato la loro musica e questo equivale ad
avergli salvato la vita nel suo significato, universale, metastorico e metafisico.
Sulle ceneri della ex Distilleria di Barletta nascerà nei prossimi anni la Cittadella della Musica
Concentrazionaria; oceani di musiche, pensieri, storie e sofferenze di interi popoli confluiranno in
quello che sarà l’Hub mondiale della musica più geniale del Novecento.
Recuperare musica scritta da uomini perseguitati, imprigionati e deportati non è soltanto agire da
musicisti: tutto ciò è umano, meravigliosamente umano.
Tanta amara verità,, ma anche tànta creatività. Informazioni su cui riflettere. Storia tragica ed opere sublimi...
RispondiEliminaGrazie mille al prof Pietro Acquafredda.