lunedì 26 febbraio 2024

Dov'è la casa di Stradivari? Boh ( da Cremona Sera, di Marco Bragazzi)

 

1887, quando il console degli Stati Uniti chiese della casa di Stradivari e finì in questura. E la stampa americana parlò del disinteresse di Cremona per i violini

Un adagio vecchio di oltre un secolo racconta che, per capire in parte l'Italia anche da parte degli italiani, sarebbe buona cosa leggere le notizie sul Belpaese pubblicate dai giornali esteri. L'adagio non si riferiva solo al mero concetto di informazione o di come venivano trattate le notizie ma voleva rivolgersi al fatto che, spesso, i turisti o diplomatici riportavano e raccontavano sui più importanti giornali esteri la loro esperienza in Italia. Non sempre le cose andavano bene durante quei viaggi, ci mancherebbe altro, spesso capitava che qualcuno puntualizzasse, tramite quotidiani locali o regionali, alcune questioni che riguardavano l'arte o la storia italiana, di solito erano piccole questioni che raccoglievano solo l'interesse dei lettori locali. Per Cremona queste puntualizzazioni erano, invece, ben più corpose, ne sapeva qualcosa il famoso storico inglese Hugh Reginald Haweis il quale, nel 1884 dopo la sua visita nella città del Torrazzo, dalle colonne dei quotidiani nazionali Derry Journal e del Washington Post, tirò una serie di improperi verso la città colpevole, a suo dire, di aver dimenticato Antonio Stradivari. “Antonio Stradivari chi? A Cremona c'è uno Stradivari, ma è un avvocato” era la risposta che otteneva sempre Reginald parlando con i cittadini cremonesi tra piazza Roma e piazza del Duomo, per cui dalla esaltazione delle bellezze urbane lo storico inglese veniva calato nel girone infernale di quei turisti persi tra ciò che sognano di vedere e ciò che viene loro proposto. In pratica come accade, soprattutto oggi, in quasi tutto il mondo. Ma Haweis andava capito, era uno storico che stava scrivendo la più importante enciclopedia nella storia della musica, Cremona per lui era una tappa fondamentale e non fu tra le più felici se si escludono le bellezze architettoniche cittadine. Il presidente degli Stati Uniti Grover Cleveland riponeva una enorme e incondizionata fiducia in William Livingston Alden, avvocato, scrittore e, soprattutto, colui che aveva dato vita alla canoa negli Stati Uniti. Alden era un talento sotto molti punti di vista; aveva occhio per la politica e una passione enorme per la storia e l'arte italiana. Grover Cleveland aveva bisogno di una persona di fiducia in Italia e, nel 1885, inviò Alden a Roma – con il titolo, mica da poco, di Console Generale degli Stati Uniti – dando a William la possibilità di vivere tra quella bellezza storica che aveva sempre ammirato. L'Italia era il suoi suo sogno, il suo diario racconta di quella parte – di certo unica – della storia e della cultura che si potevano incrociare in ogni angolo, anche il più remoto, viaggiando attraverso la penisola. Gli anni italiani del Console, secondo gli articoli che venivano regolarmente pubblicati sui due periodici più importanti al mondo, il New York Times e l'Harper's Magazine, erano intensi, affascinanti e produttivi, l'Italia era tutta da vedere e da vivere tranne che a Cremona. Un attimo: perché l'Italia è tutta un sogno tranne che Cremona? Durante i suoi viaggi il Console aveva notato di come, dal più disperso paese appenninico fino alle maggiori città, c'erano negozi che vendevano strumenti musicali, prodotti di vario tipo ovviamente, ma spesso si potevano trovare vetrine che esponevano strumenti di vario tipo e di diversi colori. Fermamente convinto del fascino trasmesso da quelle vetrine nel 1887 arrivò a Cremona con la certezza di vedere una città viveva nel nome dell'arte e dei violini. Le cose non andarono esattamente così, anzi andarono malissimo. Il suo peregrinare per le vie del centro storico lo aveva portato davanti alla casa di Antonio Stradivari; casa anonima, vuota, dove non vi era nulla che ricordasse l'importanza del Maestro cremonese all'interno della storia della musica. Più perplesso che affranto comincia a chiedere ai cittadini dove si trovavano botteghe o luoghi dedicati alla storia dei violini. Tra un “Non so nulla” e un “Quali violini?” viene fermato da un agente di Polizia che lo invita a non fare domande senza senso ai cittadini. Alder spiega all'operatore l'oggetto della sua infruttuosa ricerca e l'agente, poco convinto dagli argomenti del Console, lo invita a seguirlo in Questura. Alder chiarisce la sua posizione all'agente e ottiene come risposta “Se lei è il Console io sono Giuseppe Garibaldi”, allontanando Alder da piazza del Duomo e intimandogli di sparire dalla circolazione.

La gita poteva diventare un pezzo antologico in materia di relazioni diplomatiche, sarebbe da archivio l'eventuale telegramma che il Console avrebbe dovuto inviare al Presidente degli Stati Uniti “Caro Grover perdonami, non ho potuto incontrare sua Maestà il Re d'Italia perché sono trattenuto in Questura a Cremona a causa di Antonio Stradivari e di Giuseppe Garibaldi”. Un telegramma del genere avrebbe cambiato la storia della città. Dalle righe del diario di viaggio si capisce che il Console ha vissuto con rabbia il paradosso di una città d'arte unica abitata da persone disponibili e della totale indifferenza verso la storia dei violini e, soprattutto, verso il suo liutaio più rappresentativo, Antonio Stradivari. L'inciso finale dato alle stampe a fine '800 dei due tra i più importanti periodi di allora, poi ripreso anche da molti altri quotidiani, è eloquente; Alder spiega di come, nella patria dei violini, gli strumenti siano quasi un'eredità scomoda da valorizzare ma il suo augurio, per il bene della città di Cremona, è quello che all'ombra del Torrazzo si potesse tornare a dare il giusto lustro a quelle persone che avevano cambiato la storia della musica. Secondo il Console, valorizzando il percorso della liuteria, una città già affascinante come Cremona avrebbe trovato il modo di portare avanti una tradizione unica nei secoli a venire.

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