giovedì 29 febbraio 2024

'Arie per voce sola' di Barbara Strozzi in disco; dal vivo a Cremona, per il Monteverdi Festival. Solista Giulia Bolcato

 Barbara Strozzi

Arie per voce sola Op.8
Giulia Bolcato, Soprano
Remer Ensemble
Doppio album Arion dicembre 2023, distribuito in Italia da marzo 2024
 
 
Giulia Bolcato dal vivo 2024
16 e 17 Marzo Teatro Comunale di Bolzano
Dorian Gray 
Musica di Matteo Franceschini
Libretto di Stefano Simone Pintor
Giulia Bolcato nel ruolo di Sybil
 
21, 23, 25, 27, 30 Giugno Teatro La Fenice di Venezia
R. Strauss Ariadne auf Naxos
Giulia Bolcato nel ruolo di Echo
 
MonteverdiFestival Cremona Sabato 22 giugno Palazzo Guazzoni Zaccaria
CHE SI PUÒ FARE 
VENEZIA NEL RACCONTO DELLA “VIRTUOSISSIMA CANTATRICE"
Musiche di B. Strozzi 
GIULIA BOLCATO – SOPRANO 
REMER ENSEMBL
 
Il giovane soprano vicentino Giulia Bolcato ha scelto per il suo debutto discografico, nel pieno di una carriera in crescita sui migliori palchi internazionali, una produzione rara e sfidante: il primo integrale mai pubblicato delle Arie per Voce Sola Op.8 di Barbara Strozzi, caso unico a noi giunto di cantante, compositrice e performer di se stessa nella Venezia del ‘600, simbolo di tenacia e creatività al femminile da riscoprire guidati dall’impeccabile magistero, studio e dedizione di Giulia Bolcato.
 
«[...] e già che tanto non m’arestan le debolezze di Donna che più non m’inoltri il compatimento del Sesso, sopra lievissimi fogli volo devota ad’inchinarmi».
Barbara Strozzi dalla prefazione a Op.5
 
La modernità della frase di Barbara Strozzi, così attuale anche oggi, sarebbe di per sé ragione più che sufficiente per imparare a conoscere la storia di questa donna artista e compositrice eccellente, che sempre più spesso, grazie alla bellezza della sua musica, ricorre in tanti recital vocali, ma mai è stata presentata nell’interezza di un suo progetto musicale come Giulia Bolcato ha voluto fare con l’ensemble Remer (artigiano veneziano che dà forma a remi e forcole), creato appositamente dal soprano vicentino per questo album e la sua ventura declinazione dal vivo, scegliendo tra giovani musicisti esperti non solo di musica barocca, ma soprattutto del milieu culturale veneziano in cui si muoveva la Strozzi, al fine di rendere al meglio ogni sfumatura d senso, musicale e verbale, di ognuna delle dodici bellissime cantate dell’Opus 8.

 

 
Paradossalmente libera di dedicarsi allo studio e all’arte proprio perché figlia illegittima, quindi priva di doveri sociali, Barbara nasce nella casa dell’intellettuale veneziano Giulio Strozzi, membro dell’Accademia degli Incogniti, cenacolo libertino che coltivava idee filosofiche al limite dell’eresia, un gusto letterario anticonformista e scabroso, posizioni oscillanti tra misoginia e proto-femminismo. Giulio ama la figlia e ne sostiene il talento, facendola studiare con Francesco Cavalli e fondando per lei un sottogruppo degli Incogniti dedicato alla musica, dove pare che Barbara, assai attiva e di riconosciuta arte, abbia addirittura avuto occasione di incontrare la star incontrastata del tempo, Monteverdi. Barbara, compositrice e interprete di sé stessa, nonostante il successo, il benessere economico, la stima degli ambienti dominanti per la sua arte, rimarrà comunque sempre nel sentire comune una variante colta e fors’anche stravagante di una prostituta poiché ai tempi, come scriveva l’Aretino, «il sonare è da donna vana et leggera». 
La difficile ambiguità della sua posizione, vissuta però con tenacia ed orgoglio, la forza e finezza del suo lavoro sia letterario sia musicale nei loro infiniti intrecci di senso e di forma, anche l’appartenenza alla stessa terra non potevano che colpire e sedurre il giovane soprano vicentino Giulia Bolcato, la cui versatilità e voce luminosa è già stata ampiamente apprezzata su palchi di grande prestigio, da Salisburgo all’Opera di Firenze, con un repertorio che spazia giustappunto dal Barocco ai ruoli di coloritura fino alla musica contemporanea: profilo dunque perfetto per dar voce alla Strozzi che scrive in quell’alba europea della musica vocale in cui la sensibilità dell’interprete diventa essenziale per una resa corretta e al contempo emotivamente coinvolgente.

 


 
Ensemble Remer è
Federico Gugliemo ed Elisa Imbalzano, violini
Ludovico Armellini, violoncello
Gianluca Geremia, tiorba
Marta Graziolino, arpa
Roberto Loreggiani, organo e clavicembalo
 
Barbara Strozzi sopra lievissimi fogli
Barbara Strozzi (Venezia 1619 – Padova 1677) occupa un posto di rilievo nella storia della musica non tanto in virtù del suo sesso quanto, come qualsiasi compositore, per la qualità e l’innovatività della sua produzione musicale; è lei stessa a rivendicarlo nella prefazione alla sua Op. 5: «[...] e già che tanto non m’arestan le debolezze di Donna che più non m’inoltri il compatimento del Sesso, sopra lievissimi fogli volo devota ad’inchinarmi». Strozzi nasce a Venezia dalla relazione del padre Giulio con Isabella Garzoni detta la Greghetta, forse donna di servizio nella sua casa, forse cortigiana. Essere nata al di fuori di un matrimonio regolare consente a Barbara quanto sarebbe stato quantomeno inconsueto per una legittima figlia di famiglia tradizionale: un’istruzione letteraria e musicale, nonché la possibilità di frequentare i circoli intellettuali di cui suo padre fa parte. Giulio infatti è membro dell’Accademia degli Incogniti, cenacolo libertino fondato dal patrizio veneziano Giovanni Francesco Loredano e ispirato al pensiero di Cesare Cremonini, interprete eterodosso di Aristotele all’università di Padova: lo Stagirita non viene letto come un precursore del messaggio cristiano, come impone l’ortodossia cattolica, ma come un filosofo naturalista, precursore di valori all’epoca ampiamente sul crinale dell’eresia; il senso della vita e del mondo non è da cercarsi nell’altrove, nel Regno dei Cieli e nella metafisica, ma nel qui-e-ora, nelle leggi della natura, nell’appagamento dei sensi. Nella temperie reazionaria del Cattolicesimo controriformato è uno scandalo, quindi una moda irresistibile: chiunque nutra ambizioni intellettuali e politiche nella Venezia esangue del primo Seicento passa dagli Incogniti; chi non vanti almeno un titolo iscritto all’Indice non può dirsi un letterato alla moda. Gli Incogniti coltivano un gusto letterario anticonformista e scabroso che si riversa in un profluvio di scritti e romanzi apertamente immorali, osceni, al contempo misogini e proto-femministi — in una parola: libertini — di capillare circolazione, che si sposano alla perfezione con il sensualismo estenuato della poetica marinista imperante nell’Europa del Seicento — che innerva da cima a fondo anche la poesia intonata da Strozzi; vale la pena ricordare che proprio il Loredano è autore della fortunata Vita del cavalier Marino (1631). Giulio nutre un amore sincero per la figlia elettiva: non la riconosce formalmente — nell’atto di battesimo è registrata come Barbara Valle — e si prodiga per farla studiare con il compositore più in vista a Venezia dopo Claudio Monteverdi: Francesco Cavalli, che domina le scene veneziane in tutto il medio Seicento. È l’epoca aurorale della monodia accompagnata — il canto a voce sola che da inizio secolo assurge allo status di musica d’arte — e del melodramma, autentico teatro sperimentale che nasce a inizio secolo nelle camerate fiorentine e trova in Venezia dal 1637 la dimensione pubblica che ancora oggi gli riconosciamo. Nonostante l’anticonformismo libertino, le donne non sono ammesse alle riunioni degli Incogniti nei palazzi in cui si riuniscono, così Giulio Strozzi fonda l’Accademia degli Unisoni, un sottogruppo musicale degli Incogniti — alle cui sessioni sembra aver preso parte anche Claudio Monteverdi – forse con lo scopo precipuo di favorire l’attività musicale della figlia che, dal 1644, inizia a pubblicare le proprie composizioni. Il talento di Barbara Strozzi fiorisce e viene riconosciuto: in una raccolta di brani vocali del compositore Nicolò Fontei contenenti testi di Giulio (Delle bizzarrie poetiche…, 1636) Barbara viene già indicata come la «di lui [di Giulio] virtuosissima cantatrice» e, in una lettera privata, Giovanni Francesco Loredano scrive «che se fosse natta in altro secolo, haverebbe al sicuro ò usurpato ò accresciuto il luogo alle muse». Come ogni aspetto della vita pubblica nel Seicento, le sessioni delle accademie sono rigorosamente formalizzate: i membri decidono un tema di discussione su cui argomentare e su cui esercitare la propria retorica. Pare che nelle riunioni degli Incogniti non vi fosse spazio per la musica, ma presso gli Unisoni essa è parte del dibattimento, tanto da creare il contesto specifico in cui sorge l’intera produzione di Barbara Strozzi. Lo testimoniano Le veglie de’ signori Unisoni (1638), tre resoconti manoscritti delle attività accademiche e dedicate a lei, che anima le riunioni cantando accompagnandosi con la viola, la tiorba o la tastiera, distribuendo premi e deliziando gli ospiti con la sua singolare, ricercata presenza. Quella che noi oggi annoveriamo tra i maggiori compositori del Seicento è verosimilmente una cortigiana; lo testimonierebbe il suo ritratto — invero non identificabile con assoluta certezza — in cui compare adorna di fiori, il seno prominente appena coperto, una viola da gamba in pugno e un violino appoggiato di fronte, come ad attendere un compagno di duetto. Il fatto di comporre e intonare poesie accompagnandosi su strumenti musicali in salotti privati doveva innalzare non di poco la sua fama, permettendole sicurezza economica e un certo rispetto sociale, sempre e comunque al di fuori della moralità comunemente accettata: l’attività musicale — men che mai professionale — non si addice a una ragazza di buona famiglia poiché «il sonare è da donna vana et leggera» (Pietro Aretino, Primo libro de le lettere, 1538); esibirsi viene considerato dalla morale comune alla stregua della prostituzione e con questa di frequente associato. Le notizie sulla sua vita rimangono estremamente lacunose e frammentarie; dopo la morte del padre (1652) continua la sua attività musicale e gode di una situazione economica e sociale di un certo prestigio; lo si evince dal fatto che — per un’incombenza amministrativa — riceve in casa sua un notaio, anziché recarvisi. Ha una relazione illegittima ma continuativa con il patrizio Giovanni Paolo Widmann: non si sposano e Barbara dà alla luce almeno quattro figli, battezzati nella chiesa di San Pietro di Castello, l’allora cattedrale patriarcale di Venezia. Muore a Padova nel 1677 e viene sepolta nella chiesa degli Eremitani. La produzione musicale di Barbara Strozzi è ampia e concentrata pressoché completamente sulla monodia accompagnata. Tutta la sua musica che conosciamo è pubblicata in otto raccolte di brani per soprano e basso continuo, pressoché interamente di argomento amoroso, a eccezione dell’Op. 5 che raccoglie arie spirituali. Si tratta prevalentemente di brani denominati cantate e arie: le prime ampie e ambiziose, dall’eloquio solenne e dall’ornato prezioso; le seconde brevi e perlopiù strofiche, di grande varietà stilistica, per un totale di oltre ottanta brani. La cantata come genere vocale da camera si sta in questi anni formando, affrancandosi dal madrigale in un processo di mutamento radicale avviato da Monteverdi già nel secondo decennio del Seicento; è, come l’opera, un ferro rovente che si va forgiando tra le mani di compositori come Monteverdi, Manelli, Strozzi e altri. Quando dà alle stampe la sua ultima raccolta, l’Op. 8 (1664), Venezia è in piena Guerra di Candia contro i vicini Ottomani che porterà alla perdita di Creta e a un salasso erariale da cui la Serenissima non si riprenderà più; è necessario dare un’immagine sontuosa di sé e iniziare a cercare mecenati anche fuori Venezia. La raccolta è dedicata a Sofia Amalia di Brunswick in occasione della sua prima visita nella Dominante; qui l’aristocratica tedesca, regina consorte di Danimarca, è folgorata dal melodramma veneziano e si adopererà per importarlo nell’austera corte di Copenhagen. In sua lode Strozzi concepisce l’elaborata cantata che apre l’Op. 8, virtuosistica e sfarzosamente ornata, su testo di Giuseppe Artale, poeta e cavaliere a servizio della famiglia della dedicataria. La raccolta è ambiziosa e contiene dodici brani per soprano e basso continuo, con ogni probabilità concepiti per l’estensione e per la tessitura di Barbara, per essere da lei stessa cantate accompagnandosi, elemento comune delle otto raccolte. Tra i brani dell’Op. 8 spicca la serenata Hor che Apollo, una delle rare composizioni di Strozzi che comprendono l’intervento di una coppia di violini e che svelano una scrittura strumentale preziosa, come preziosa è la costante ricerca di idee originali, bizzarre, stupefacenti. Un esempio lampante di mise en abîme è L’Astratto, cantata meta-musicale in cui Strozzi immagina un compositore che prova e scarta ripetutamente idee musicali in una sorta di soliloquio dai tratti beffardi e dagli effetti comici sul potere della musica di lenire le pene d’amore. Una ricerca di continua varietà nei concetti e nella musica governa la raccolta e ci mette di fronte a una compositrice di debordante inventiva. Le declinazioni del tema amoroso messe in campo nell’Op. 8 sono innumerevoli e allineate alla poetica seicentesca di rappresentazione degli affetti: dalla furia impetuosa d’ispirazione teatrale dell’aria È pazzo il mio core al trasognato intimismo del lamento Che si può fare? con il suo rimuginare interrogativo. Entrambi — la follia e il lamento — sono stati dell’animo che i frequentatori dei primi teatri d’opera attendono con impazienza di veder rappresentati dai divi che calcano il palcoscenico; Strozzi — per quel che è dato sapere — non scrive per il teatro ma è un mondo che conosce da vicino: ne frequenta gli esponenti e ne padroneggia gli stilemi, li fa propri e li impiega nel nuovo genere monodico alla moda, contribuendo così all’affermazione della cantata che, tra Sei e Settecento, diventa il genere vocale cameristico per eccellenza. È il testo poetico che guida la mano della compositrice, attenta a descriverlo o a potenziarne il significato con la musica, secondo la tradizione madrigalistica che filtra nella produzione cameristica e nell’opera. La sua musica vede il susseguirsi frequente e talvolta improvviso di passaggi misurati e non misurati, nel tentativo di fissare sulla pagina scritta un intento interpretativo massimamente libero, vin - colato al significato e alla passione cui si vuol dar voce più che al rigore ritmico, del resto ancora del tutto recente all’epoca. Allo stesso modo anche il suo linguaggio musicale riserva continue sorprese: al gusto per il concetto, per l’arguzia, per la sfumatura di senso presente nel testo corrispondono scarti armonici inaspettati, cromatismi, dissonanze; tutte risorse tese ancora una volta all’espressione, più che a una funzionalità logica del ritmo, com’è familiare all’orecchio contemporaneo. Nel suo contesto privato ai margini dell’accettabilità sociale Barbara Strozzi dà vita a un corpus di musica imponente e originale, con la libertà di chi si libra con disinvoltura sulla carta pentagrammata. 
                                                                                          Mauro Masiero

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